INTERCESSIONE
. Questa parola è adoperata dai Romani in varî significati: nel diritto privato si ha intercessio quando il terzo assume l'obbligazione liberando il debitore (intercessione privativa) ovvero si obbliga con il debitore (intercessione cumulativa). Nel diritto pubblico essa indica opposizione, veto. E nella ricostruzione di questo concetto d'intercessio conviene distinguere quella esercitata da un magistrato, da quella di cui si può valere il tribuno.
L'intercessio del magistrato può essere diretta contro il collega avente una par potestas o contro un magistrato munito di una minor potestas. Nel primo caso, l'intercessio, non è altro se non l'aspetto negativo della collegialità (v.). Nel secondo caso l'intercessio si fonda sulla logica prevalenza della maior potestas su quella inferiore. Ciò fu dapprima nel caso del dittatore in confronto al console, sì che il funzionamento di questo, durante la dittatura, finì col considerarsi come sospeso. Ma poi lo stesso principio venne applicato quando, via via, gli uffici minori vennero ad assumere il carattere di magistratura. Finché quelli mantennero il carattere di uffici ausiliarî e i loro titolari quello di mandatarî del magistrato, era naturale che la volontà del mandante potesse paralizzare quella del mandatario. Ma quando ciascun ufficio minore assunse la figura di magistratura, con una sfera di competenza e con la presentazione dei candidati ai comizî, ogni magistratura superiore, così, ad esempio, il console di fronte al pretore (Val. Max. VII, 7, 6) o al questore o all'edile, esercitò l'intercessio contro la magistratura minore. Ma dove non esiste - escluso il caso del veto tribunizio - un rapporto di maior o di par potestas, l'intercessio non è ammissibile: così il console non può opporla al censore, né il questore all'edile.
L'intercessio ha così nella vita pubblica romana un larghissimo campo di applicazione. Essa può opporsi anzitutto alle proposte fatte dai magistrati ai comizî dal momento in cui la rogatio era discussa nella contio preliminare sino a quello dell'annuncio dell'esito della votazione. Era parimenti esposta all'intercessio l'attività del magistrato tendente a porre in essere un senatoconsulto; essa può qui opporsi non solo al momento della relazione, ma anche dopo la votazione per divisione (discessio), purché prima che siano state compiute tutte le formalità necessarie perché la deliberazione si trasformi in un senatoconsulto. Tutti gli atti dei magistrati che colpiscono il cittadino possono essere sottoposti a intercessio, quando essa sia richiesta dal cittadino interessato: l'intercessio cioè si compie in seguito ad appellatio. A questa categoria di atti appartengono tutti quelli compiuti dai magistrati nel campo amministrativo, come in quello della giurisdizione civile e penale.
L'intercessio del tribuno si fonda sul suo ius auxilii, cioè sul diritto d'impedire qualunque atto del magistrato patrizio che possa produrre nocumento alla plebe o a un singolo plebeo. L'intercessio è così lo strumento dell'opposizione plebea, e con essa il tribuno può fermare e frustrare gli ordini, i decreti e le leve del console, le deliberazioni del senato, le proposte di legge; arrestare le elezioni e le convocazioni dei comizî; può opporsi a ogni atto dei pubblici poteri, arrestare la macchina dello stato. L'intercessio è esercitata o di libera iniziativa del tribuno o in seguito all'appello; e aumentò di energia quanto più crebbe il potere della plebe. Ma mentre l'intercessio del magistrato si fonda sull'imperium, cioè su un potere positivo, quella del tribuno deriva dall'auxilium, dalla sua azione negativa di opposizione al magistrato.
L'effetto dell'intercessio non è quello di cassare o annullare l'atto al quale essa è opposta, bensì quello d'impedire l'esecuzione o la prosecuzione di esso. L'effetto di essa si manifestava sotto un doppio aspetto: anzitutto il magistrato non poteva proseguire nell'azione iniziata; inoltre, nel caso in cui proseguisse, la sua azione non poteva produrre alcuna conseguenza giuridica. Così quando l'intercessione sia avvenuta in tempo contro una progettata deliberazione del popolo o del senato, questa non può conseguire nessuna efficacia. Se l'intercessio è stata diretta contro un decreto di magistrato, tutti gli atti che su quello si fondano sono privi di effetto: nel caso, ad esempio, in cui un cittadino fosse stato, in seguito a quel decreto, imprigionato, egli deve essere tosto messo in libertà.
Intorno al procedimento si deve ricordare che il magistrato e il tribuno, che volessero opporre la loro intercessio, dovevano intervenire personalmente e dichiarare oralmente il veto. Quanto all'appello da parte dell'interessato contro un decreto di magistrato, deve ritenersi che esso fosse interposto immediatamente a seguito dell'atto che lo colpiva e che il magistrato o il tribuno, al quale l'appello era diretto, dovesse poter disporre del tempo necessario per esaminare le ragioni e la fondatezza dell'appello. Ma è dubbio se il termine di tre giorni da quello dell'appellatio, che incontriamo nella legge municipale di Salpensa, sia stato applicato anche in Roma. Quando poi l'appello era rivolto a tutto il collegio dei tribuni, questi decidevano previa discussione (ex collegii sententia); però uno di essi poteva pure opporre il suo veto individuale, anche contro il parere degli altri.
Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, 3ª ed., Lipsia 1887, I, p. 266 segg.; O. Karlowa, Römische Rechtsgeschichte, Lipsia 1885, I, p. 140 segg.; L. Lange, Römische Altertümer, 3ª ed., Berlino 1876, I, pp. 594, 685 segg., 730 segg.; E. Herzog, Geschichte u. System der römischen Staatsverfassung, Lipsia 1884, I, pp. 53, 86, 558 segg., 614 segg., 873 segg.; P. Bonfante, Storia del diritto romano, 3ª ed., Milano 1923, I, pp. 87, 105; P. de Francisci, Storia del diritto romano, Roma 1926, I, pp. 156, 188.
Per l'intercessione dei santi, v. santi.