Intercettazioni “casuali” e status di parlamentare
Al fine di realizzare i valori costituzionali sottesi all’art. 68 Cost., la disciplina delle intercettazioni delle comunicazioni dei parlamentari si caratterizza per una peculiare distribuzione di competenze fra autorità giudiziaria e Camere, che ricorda assai da vicino la contrapposizione fra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità. All'autorità giudiziaria spetta in esclusiva la libera valutazione dei presupposti legali dell'intercettazione, ma essa trova un limite nella necessità della motivazione. Alla Camera competente spetta il controllo sulla presenza, completezza e logicità delle motivazione redatta dall'autorità giudiziaria.
È noto che la riforma dell’art. 68 Cost. (l. cost. 29.10.1993, n. 3) abbia rivisto il sistema delle immunità parlamentari per garantire il corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali nei confronti dei parlamentari, e dunque per proteggere l’integrità di composizione e la piena autonomia decisionale delle assemblee legislative da attività giudiziarie illegittime1. Sono stati così individuati una serie di atti – fra cui le intercettazioni dei parlamentari – che per essere compiuti richiedono un’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare sottoposto all’attività processuale.
La nuova disciplina delle intercettazioni delle comunicazioni dei parlamentari (l. 20.6.2003, n. 140) ha tentato dunque di tradurre in regole di dettaglio le scelte costituzionali espresse nell’art. 68. La legge prevede in particolare che l’autorità giudiziaria debba essere autorizzata sia se voglia sottoporre a intercettazione (diretta o indiretta) un parlamentare (art. 4), sia se voglia usare processualmente nei confronti del parlamentare una sua intercettazione casualmente raccolta (art. 6). Nel primo caso l’autorizzazione è “preventiva” alla raccolta della prova e rende il mezzo probatorio legittimo sul presupposto che esso “occorra” (art. 4). Nel secondo caso l’autorizzazione è “successiva” alla raccolta della prova, e rende il dato probatorio (ab origine legittimo) fruibile processualmente nei confronti del parlamentare sul presupposto che esso sia “necessario” (art. 6).
A seguito di questo nuovo assetto è allora “fisiologico” il conflitto fra i due organi ed è quindi naturale che la Corte costituzionale sia chiamata a verificare di volta in volta che uno dei due poteri non abbia leso le attribuzioni dell’altro: l’uno nel richiedere l’autorizzazione, l’altro nel negarla in assenza dei presupposti legali.
E appunto la Corte costituzionale è stata di recente investita di un conflitto di attribuzioni per lesione o menomazione (anche detto da interferenza). Secondo il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, la Camera dei deputati, nel negare l’autorizzazione all’uso di un’intercettazione casualmente raccolta, ha fatto «cattivo uso del suoi potere» e dunque ha agito in «carenza di potere in concreto»2. La Consulta ha riconosciuto tale menomazione: la Camera ha compiuto «valutazioni che trascendono i limiti del sindacato previsto dall’art. 68, co. 3, Cost. e interferiscono con le attribuzioni che l’art. 6, co. 2, l. n. 140/2003, assegna in via esclusiva al giudice penale»3.
La pronuncia dunque si segnala non già per l’eccezionalità del conflitto (essendo invece evenienza fisiologica), quanto piuttosto perché attraverso tale forma di ricorso la Corte costituzionale sta via via disegnando il complesso regime giuridico delle intercettazioni dei parlamentari. Paradossalmente è più la Corte costituzionale la creatrice del diritto vivente della materia, che la Corte di cassazione. L’osservazione scaturisce da una riflessione: «là dove il conflitto di attribuzione si configura come una lesione (e non già una usurpazione) il conflitto diventa una supervisione generale della legittimità di ogni funzione costituzionale, una suprema istanza di legittimità costituzionale su tutti gli atti degli organi costituzionali»4.
Nel 2007 la Corte costituzionale (in sede però di legittimità costituzionale) aveva delineato il confine fra le intercettazioni dirette regolate dall’art. 4 e le casuali regolate dall’art. 6, inserendo fra le prime anche la figura di confine delle indirette (ciò quelle rivolte a intercettare un parlamentare attraverso però il controllo di utenze non appartenenti a esso)5.
Oggi invece la Corte6 – dando per scontata tale delimitazione – torna a occuparsi dei presupposti che legittimano l’uso di questo mezzo di ricerca della prova quando sia raccolto casualmente, riprendendo e approfondendo quanto già affermato nel 2010 in un precedente conflitto di attribuzioni7.
La Corte, dunque, in prima battuta sottolinea come la legge subordina l’uso processuale delle intercettazioni casuali a due fondamentali requisiti: i) devono contenere “specifiche emergenze processuali” (art. 3), vale a dire devono essere “pertinenti” in analogia a quanto prescrive l’art. 189 c.p.p.; ii) devono essere “necessarie” (art. 4), vale a dire devono essere “rilevanti” e “non superflue” in analogia a quanto prescrive l’art. 190 c.p.p. Non si tratta dunque di misurare la “decisività” della prova raccolta, né di anticipare giudizi di merito sul risultato probatorio: bisogna invece appurare che le conversazioni captate abbiano a oggetto direttamente o indirettamente i temi probatori, non siano sovrabbondanti e siano dotate di attitudine dimostrativa.
Ancora: la Corte precisa come le due valutazioni siano strumentali all’accertamento di un eventuale intento persecutorio nei confronti del parlamentare. Infatti il bilanciamento fra i due opposti valori costituzionali – parità di trattamento di fronte alla giurisdizione e tutela dell’attività parlamentare – viene effettuato attraverso delle presunzioni. Se l’intercettazione è rilevante e necessaria, si presume la legittimità dell’agire dell’autorità giudiziaria; se invece i due presupposti mancano, vale la presunzione contraria dell’illegittimità del comportamento.
Ma quel che qui interessa sottolineare è come alla sola autorità giudiziaria sia riservata la valutazione di tali elementi, monopolio che tuttavia trova compensazione nella indefettibilità della motivazione: «il giudice deve dare adeguato conto delle relative ragioni, con motivazione non implausibile». Di contro la Camera investita della richiesta di autorizzazione, non può svolgere un riesame, né adottare criteri extralegali discrezionali o politici: essa deve solo verificare che «la richiesta sia motivata, sia congrua e sia non impluasibile rispetto ai due parametri legali codificati».
Le distinte attribuzione possono allora essere ricondotte: a un giudizio di merito la prima; a un giudizio di legittimità sub specie di controllo sulla motivazione la seconda. All’autorità giudiziaria spetta in esclusiva la libera valutazione dei presupposti legali, ma essa trova un limite nella necessità della motivazione. Alla Camera competente spetta il controllo non sul merito della valutazione, ma sulla sua legittimità, che si esplica attraverso il classico controllo sulla presenza, completezza e logicità della motivazione (in analogia agli artt. 125 e 606 c.p.p.).
Il quadro che emerge è dunque che l’intercettazione delle conversazioni casuali dei parlamentari è sottoposta a un regime giuridico assai simile a quello previsto in generale per ogni altra prova: la peculiarità risiede soprattutto nella titolarità in capo alla Camera competente del controllo sulla loro legittimità. A ben vedere si potrebbe affermare che la disciplina non renda immuni i parlamentari, ma sia piuttosto volta a controllare con maggiore attenzione e rigore il corretto esercizio delle funzioni giurisdizionali nei loro confronti. Da questo punto di vista vale anche la pena osservare che la Corte costituzionale nel 2007 aveva escluso dal raggio di attuazione dell’art. 68 Cost. le intercettazioni casuali, ritenendo che il legislatore ordinario nel regolare tale forma di captazione avesse voluto tutelare il diverso valore della riservatezza delle comunicazioni parlamentare8; mentre oggi9, non richiamando mai tale aspetto della sua precedente pronuncia, essa supera quell’obiter dictum, e riconduce le previsioni dell’art. 6 alla tutela del corretto esercizio della funzione giurisdizionale nei confronti dei parlamentari.
1 Cfr. C. cost., 23.11.2007, n. 390 e C. cost., 3.6.2010, n. 188.
2 Ricorso 6.6.2011, Registro dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato (merito), n. 10/2011.
3 C. cost., 23.4.2013, n. 74.
4 Zagrebelsky, G., Processo costituzionale, in Enc. dir., XXXVI, Milano, 1987, 675 s.
5 C. cost. n. 390/2007.
6 Sempre C. cost. n. 74/2013.
7 C. cost. n. 188/2010.
8 C. cost. n. 390/2007.
9 Sempre C. cost. n. 74/2013.