Interesse
Pochi concetti, come quello di interesse, si sono radicati nel campo delle scienze sociali, penetrandovi estesamente e in profondità, affiancando speditamente alle 'comuni' accezioni più diffuse una pluralità di impieghi e di significati 'specialistici', crescendo con rigoglio sia allorché il sistema delle scienze sociali era al culmine della sua fioritura, sia quando esso ha cominciato a scomporsi fino a dar vita a un complesso di discipline in apparenza irrimediabilmente frantumato. E pochissimi altri concetti, come questo, rappresentano una categoria che, mentre sembra, o realmente può essere, elemento assai forte di connessione o intersezione tra le diverse discipline, troppo spesso costituisce invece - dentro la famiglia sempre meno solidale delle scienze sociali - manifestazione o addirittura motivo di ulteriori divisioni e reciproche incompatibilità.
Non vi è forse, nella storia delle teorie sociali, un autore 'classico', un 'protagonista' che, quand'anche non si sia cimentato nella difficile operazione di definire il concetto, non abbia comunque dovuto ricorrere frequentemente all'impiego del termine (v. Huber, 1958). Del resto, per dar conto anche se in forma assai rapida e un po' schematica della rilevanza dell'interesse, non si può non osservare che ancora oggi, ogniqualvolta nelle teorie e nelle ricerche empiriche si riapra o pur tenuemente si profili la questione dell'agire di individui, collettività, gruppi personificati o istituzioni spersonalizzate, quasi inesorabilmente ricompare il vocabolo, costringendo a scegliere tra la necessità di definire il concetto e l'opportunità di fidarsi del suo carattere intuitivo (oppure di una qualche stipulazione linguistica più o meno consolidata o precaria). Dal comportamento elettorale alla propensione al risparmio, dalla fede in un capo allo studio di come 'pensano' e 'si comportano' le burocrazie o gli Stati, l'interesse detiene ancora saldamente una collocazione di supremazia o comunque di rango assai elevato in tutte le strategie conoscitive dell'azione umana, sia essa individuale o collettiva, isolabile più o meno propriamente come 'sociale', 'economica', 'politica', intesa riduzionisticamente (mediante ulteriori variazioni e aggiornamenti degli schemi utilitaristici ed 'economicistici') o, invece, scomposta e riarticolata in aspettative di primo e secondo grado, conseguenze non intenzionali, mediazioni simboliche, identità, risorse cognitive, ecc. Se, per un'ormai lunghissima tradizione filosofica, epistemologica e di sociologia della conoscenza (v. Fuchs e Gerhardt, 1976; v. Habermas, 1968), senza interesse non è possibile operazione alcuna del 'conoscere', l'interesse è anche essenziale per poter possedere, ed essere così in grado di comprendere e spiegare 'reidentificando', 'una teoria del sistema di regole che permettono di dar significato alle singole azioni' (v. Pizzorno, 1989, p. 176).
Nel 1908 Arthur F. Bentley, l'autore a cui poi si richiameranno (e non sempre accortamente) schiere di sociologi e scienziati politici dei 'gruppi di interesse' e dei 'gruppi di pressione', ricordava che nel mondo politico 'se si considera l'interesse in sé come una qualità psicologica, non avremo che un indefinito e inaffidabile fuoco fatuo che può indurci in errori fatali' (v. Bentley, 1908, tr. it., p. 260; v. Dewey, 1896). Oggi che, forse, il rischio di uno 'psicologismo' dell'interesse si è attenuato (e, anzi, una seria indagine psicologica dell'interesse potrebbe saggiare l'ampiezza e la rilevanza delle effettive aree di intersezione tra le scienze sociali e la psicologia, sia essa sociale o politica), per nulla diminuito è tuttavia il pericolo di autoconvincersi che, al decomporsi del concetto, lo stesso termine rappresenti poco più di una metafora, una sintetica allusione, o, appunto, 'un indefinito e inaffidabile fuoco fatuo'. Anche per questo motivo una 'storia' del concetto, sebbene non surroghi affatto la ricerca di una definizione rigorosa, è non solo utile, bensì indispensabile (v. Orth, 1982), soprattutto per capire finalmente perché, dentro il pensiero 'moderno' e poi nelle scienze sociali fino ai nostri giorni, l'interesse abbia goduto del rarissimo privilegio di attraversare del tutto indenne i rivolgimenti storici, ideologici, dottrinali, e le trasformazioni culturali, di mentalità, e anche di significato delle parole 'ordinarie' e 'scientifiche', che hanno invece coinvolto, mutandoli più o meno in profondità e talvolta stravolgendoli, i lessemi costitutivi del vocabolario politico e sociale dell'Europa moderna.
Interesse è la forma sostantivata dell'infinito latino inter-esse, il quale, se propriamente è un 'essere tra' (quindi 'essere parte' e 'partecipare'), significa anche, impersonalmente, 'esserci una differenza tra' (da cui il valore - già in età classica - di 'essere d'importanza' e 'importare'). Il termine volgare 'interesse' o 'interesso' si presenta, sin dalle sue origini, in una forma ambivalente. Nella sua prima accezione, preservatasi intatta sino ai nostri giorni, esso indica il 'frutto del denaro' (ciò che i Greci chiamavano τόϰοϚ e i Latini faenus). Nella seconda, 'interesse' è invece inteso come 'danno, 'detrimento', 'svantaggio' (un'accezione, come si vede, diametralmente opposta a quella che la soppianterà, e da cui deriva il significato - per noi più usuale e familiare - di 'vantaggio', 'utilità', 'attrattiva').
Per trovare se davvero esistano elementi in grado di indicare e spiegare una qualche originaria unità dei due opposti significati di 'danno' e di 'vantaggio' (presenti anche nel francese intérêt, nell'inglese interest, nel tedesco Interesse, anche se la lingua tedesca - conta ricordarlo - per indicare il 'frutto' del denaro conserva il termine Zins, prestito dal latino census), filologi e giuristi si sono arrovellati non poco. Nella voce Interesse della Paulys Realencyclopädie der klassischen Altertumswissenschaft, l'autore, per illustrare la storia e la straordinaria rilevanza della nozione giuridica di 'interesse', prende correttamente avvio dalla formula quod (quantum, quanti) interest (v. Steinwenter, 1916). Il concetto di interesse sembra già racchiuso interamente in una tale formula (e scolpito, soprattutto, dalla fondamentale contrapposizione del diritto romano tra id quod reipublicae interest e id quod privatim interest), anche se poi è chiamato a rivelare tutta la sua importanza - quale stipite, più o meno riconosciuto e bene accetto, della massima parte delle definizioni e degli impieghi del termine che si diffonderanno nell'età moderna - all'interno delle Pandette: è qui, infatti, che esso viene a indicare, in contrasto alla vera rei aestimatio, il 'valore' che un bene riveste per una determinata persona.
L'ambivalenza di 'interesse' si dispiega appieno quando il termine, ormai usato in forma di sostantivo a partire dal XIII secolo, diventa un concetto chiave per indicare il danno derivante da un obbligo di risarcimento: se un interesse comporta - visto dalla parte del debitore - un qualcosa da pagare (e s'identifica quindi con uno 'svantaggio'), questo stesso interesse comporta invece - considerato e desiderato dalla parte del creditore - un qualcosa da ricevere (e coincide pertanto con un 'vantaggio'). Secondo la maggior parte degli studiosi, proprio qui vanno cercate le principali radici, da allora mai più estirpate, di quel dualismo che scandisce l'intera vicenda 'moderna' del concetto di interesse, e che ancor oggi sembra costituire l'obbligato punto d'arrivo di quasi tutte le indagini filosofiche e semantiche. La voce latina connota difatti assai poco. Evoca però moltissimo: si pensi soltanto alle implicazioni spaziali, e soprattutto alle potenti suggestioni temporali, contenute ed emanate da inter (v. Manigk, 1928; v. Van der Ven, 1974).
Se le origini incerte e non immacolate di un termine bastassero a giustificare i suoi svolgimenti avventurosi, la lunga storia del 'moderno' interesse forse sarebbe sufficiente per comprendere perché si siano fatte così elevate, in quest'ultimo secolo particolarmente, le difficoltà di definire in modo univoco un tale proteiforme concetto.
Ai nostri giorni, in effetti, la frammentazione e la dispersione del concetto sono ormai tali da non risuonare per nulla anomale o preoccupanti. Una rubrica delle molteplici accezioni in cui siamo soliti impiegare 'interesse' finisce, ancor oggi, col risultare largamente incompleta, così numerose essendo sia le specificazioni applicabili al termine (interesse 'della nazione', 'dell'individuo', 'della società', 'dello Stato', 'della comunità', 'del gruppo', 'della classe', 'della categoria', 'della famiglia', 'dell'azienda', e via seguitando in una sequela tanto più interminabile quanto più lungo è l'elenco delle entità che andiamo personificando), sia le qualificazioni a esso attribuibili (ad esempio, con una successione altrettanto limitata della precedente: interesse 'particolare', 'personale', 'privato', 'frazionale', 'corporato', 'pubblico', 'generale', 'collettivo', 'comune', 'sociale', 'diffuso', 'legittimo'; o anche, 'economico', 'ingiusto', 'segreto', 'religioso', 'materiale' e 'ideale', 'reale' e 'fittizio', 'oggettivo', 'riconosciuto', e così via). Del resto, quando ci si sforzi - per arrestarci qui al solo caso della sociologia - di ordinare le varie definizioni ricorrenti nella letteratura cercandone gli elementi di più profonda identità o somiglianza, non resta che registrarle secondo ampi insiemi; come ha fatto, per esempio, il Dizionario di sociologia (v. Gallino, 1978), che ha classificato le principali definizioni nei seguenti sei gruppi: a) definizioni che riconducono l'interesse a un bisogno, un desiderio, una necessità fisica o psichica, una capacità insoddisfatta, collegabile a una serie finita di condizioni d'esistenza dell'organismo umano o dell'essere umano in società; b) definizioni che riconducono l'interesse a un bisogno o una incertezza o una necessità rientrante nei problemi costitutivi dell'azione sociale (in questo caso interesse è sinonimo di orientamento); c) definizioni che identificano l'interesse con ciò che un soggetto desidera, ricerca, trova gratificante; d) definizioni che, come già proponeva Vilfredo Pareto, fanno coincidere l'interesse con qualsiasi spinta, comunque la si motivi, ad appropriarsi i beni materiali utili o gradevoli, nonché onori e considerazioni; e) definizioni che identificano l'interesse con il desiderio, la volontà, il progetto di difendere e migliorare la distribuzione di risorse scarse a favore di una collettività dentro un ordine sociale, economico, politico, ovvero di modificare l'ordine stesso per assicurare alla medesima collettività un'assegnazione di risorse, su basi strutturali, radicalmente migliore; f) definizioni di interesse come destino o finalità della storia.
Insomma, è capitato a 'interesse' quel che di norma succede ai termini che, nel linguaggio di ogni giorno così come in quelli specialistici, appaiono tanto più indispensabili e insostituibili, quanto più si avverte che qualora ricorressimo a sinonimi (nel nostro caso: 'utilità', 'tornaconto', 'vantaggio', 'coinvolgimento', 'attrattiva', e altri ancora) molto perderemmo non solo della potenza specifica del concetto che si intende esprimere, ma anche di quella sua identità che, quantunque assai difficile a definirsi - lo si è appena visto - in modo univoco o almeno sufficientemente condivisibile, è tuttavia inimitabile e viene sentita come incontrovertibile.
L'incoerenza tra la scarsa cristallizzabilità concettuale e un impiego che, seppur ai nostri giorni risulti quasi insopportabilmente esuberante, resta peraltro consapevole dell'insostituibilità del termine non è l'unica antinomia che contrassegna in superficie il concetto di interesse e internamente lo alimenta, rinnovandone senza soste la vitalità. Termine dalle molte e straordinarie qualità, 'interesse' gode di una natura (per dir così) ancipite, la quale, giustificabile in gran parte - come subito si vedrà - con la sua particolare nascita 'moderna', a sua volta spiega invece perché esso sia riuscito non solo a ricoprire il ruolo di protagonista ('interesse di Stato', 'interesse generale', 'interesse di classe', ecc.) in tutte le moderne costellazioni ideologiche conservatrici, liberali o marxiste, ma anche a costituirsi come uno dei pilastri centrali nell'edificazione di pressoché tutte quelle discipline sociali (e giuridiche) che, in sincronia per nulla casuale con il palesarsi e il repentino accelerarsi del declino della moderna unità politico-statale, si costituiscono in scienze proprio nel torno di tempo fra Otto e Novecento.
Si comprende allora il motivo per cui, nel cercare la possibile 'struttura' di un tale proteiforme concetto, occorra prendere avvio da una pur breve rassegna del ruolo che esso ha giocato nell'edificazione del sistema europeo delle scienze sociali e nelle origini di quelle nordamericane (v. Small, 1905). È in questi due insiemi di processi distinti, seppur interdipendenti, che si trovano le ragioni per cui il concetto di interesse risulta tuttora un'inossidabile categoria costitutiva dei discorsi delle scienze sociali. E continua a esserlo nonostante il retaggio delle sue scorribande, 'moderne' e contemporanee, in questa o in quella concezione generale - più o meno 'umanistico'-antropologica, e più o meno candidamente ideologica dietro il suo apparente realismo (v. Hirschman, 1977) - dell'individuo e delle 'razionalizzabili' propensioni di ogni uomo a trafficare e a vivere imponendosi o sottomettendosi ad altri suoi simili.
Nel 1895 viene pubblicata l'opera in due volumi di Wilhelm Ostermann Das Interesse, con la quale l'autore - dopo aver indicato nell''interesse sul capitale', nel 'vantaggio', nell''interesse personale', nel 'valore' attribuito a un oggetto i quattro principali significati del lessema - cerca di tracciare le 'costanti' psicologiche dell'interesse e di formularne le più importanti applicazioni in campo pedagogico. Precedente di due anni è invece Wesen und Zweck der Politik, in tre volumi, di Gustav Ratzenhofer (tra il 1877 e il 1883, conta richiamarlo non foss'altro che per la similarità dei due titoli, Rudolf von Jhering era venuto completando la pubblicazione di Der Zweck im Recht). Nella sua opera, in cui l'essenza e lo scopo della politica vengono valutate - così recita il sottotitolo - als Theil der Sociologie und Grundlage der Staatswissenschaften, Ratzenhofer delinea quella tipologia che stilerà definitivamente cinque anni dopo in Die sociologische Erkenntnis. L'interesse, in quanto espressione della forza primigenia (Urkraft) che costituisce la proprietà fondamentale di tutti gli esseri viventi, è la formulazione di una 'necessità', e gli interessi si possono classificare in cinque tipi principali: l'interesse procreativo, fisiologico, individuale, sociale e trascendentale (v. Ratzenhofer, 1893 e 1898). Destinati, insieme a quelli di Ludwig Gumplowicz, a influire potentemente sulle analisi sia di Albion W. Small, sia di Arthur F. Bentley, i lavori di Ratzenhofer rappresentano uno dei più solidi anelli di congiunzione tra la versione tedesca della sociologia europea di fine Ottocento e gli 'incunaboli' di quelle che diverranno le scienze sociali statunitensi (v. Hirsch-Weber, 1969).
Dei primissimi anni del Novecento è invece il lavoro in cui Max Weber, cercando di indicare rigorosamente quale sia la qualità che rende un processo un 'fenomeno 'economico-sociale", rintraccia una simile qualità non in 'qualcosa che inerisca ad esso come tale, 'oggettivamente", bensì nella 'direzione del nostro interesse conoscitivo, quale risulta dallo specifico significato culturale che noi attribuiamo nel caso singolo al processo in questione' (v. Weber, 1904; tr. it., p. 73). In Economia e società, com'è noto, Weber si soffermerà poi con frequenza e grande attenzione sul ruolo degli interessi 'materiali' e di quelli 'ideali'. Nel 1908 Heinrich Geffcken pubblica Das Gesamtinteresse als Grundlage des Staats- und Völkerrechts, mentre, quasi vent'anni prima, sul sofisma dell'identità fra l'interesse generale' e gli 'interessi particolari' si era concentrata l'attenzione, da un punto di vista economico, di Henrique-Augusto Milet.
Fra Otto e Novecento, come mostra questa pur rapida esemplificazione, si compie dunque il passaggio decisivo di quel processo per cui il concetto di interesse sembra rinascere proprio dentro le scienze sociali a una vita diversa e per molti aspetti nuova.In realtà, allorché le scienze sociali si trovano a riflettere sul loro metodo e oggetto (e ad assumere già, per non pochi aspetti, la 'riflessione sull'oggetto' come 'oggetto di riflessione', avviando così una linea di ricerca - vale la pena notarlo - di cui solo oggi, forse perché si è esaurita l'onda lunga del 'sistema' delle scienze sociali, cominciamo a riconoscere interamente la necessità), l'interesse è categoria che nei decenni precedenti ha conosciuto un impiego copioso e sempre più consolidato. Attorno alla metà dell'Ottocento, se Karl Marx era ricorso assai frequentemente alla nozione di interesse (v. Neuendorff, 1973), Robert von Mohl aveva sottoposto a minuziosa indagine le 'cerchie di vita sociali', cioè 'le singole consociazioni naturali che si sviluppano ciascuna a partire da un determinato interesse' (cfr. Die Geschichte und Literatur der Staatswissenschaften, Erlangen 1855-1858, vol. I, p. 100). E Lorenz von Stein, prima di analizzare la configurazione degli interessi economico-sociali, aveva osservato che 'l'interesse, in quanto viene a essere il punto centrale dell'attività di ogni individuo nelle sue relazioni con ciascun altro e quindi dell'intero movimento della società, è dunque il principio della società' (cfr. Geschichte der socialen Bewegung in Frankreich von 1789 bis auf unsere Tagen, Leipzig 1850, vol. I, p. 43).
Oltre che nelle analisi delle forze e delle dinamiche da cui sembra guidato il movimento della 'società' (quelle analisi, cioè, che più direttamente si riallacciavano al concetto di 'interesse' così come era stato utilizzato dai fisiocratici, dai pensatori politici che avevano preceduto la Rivoluzione francese, e dagli stessi 'costituenti' rivoluzionari), l'uso della categoria si era irrobustito anche negli insiemi dei 'discorsi' disciplinari costruiti dall' 'economia' e dalle 'scienze dello Stato'. Nella fase di edificazione del 'sistema' delle scienze sociali, l'uno e l'altro insieme di questi discorsi vengono ancora sentiti, seppur per motivi assai differenti e con intensità ormai diversa, come relativi a un 'oggetto' significativamente intersecantesi con quello considerato proprio del 'sistema' delle nuove scienze. Il contenuto 'economico' dell'interesse era già emerso con straordinaria rapidità lungo tutto il Seicento. Non per caso Jean de Silhon, nel delineare la sua tipologia degli interessi, si era subito meravigliato del fatto che tale termine sembrasse ormai riferibile al solo interesse dei beni e delle ricchezze. Al finire del secolo, Shaftesbury si era soffermato a lungo sugli stretti rapporti tra l'interesse e la "passione della ricchezza". Pochi decenni dopo Hume avrebbe identificato completamente la "passione dell'interesse" con l'avidità - "insaziabile, perpetua e universale" - di acquisire "goods and possessions"; e Adam Smith, dopo aver considerato psicologicamente e filosoficamente l'interesse nella Theory of moral sentiments, fonderà su di esso - proprio all'inizio della Inquiry into the nature and causes of the wealth of nations - l'umana "disposizione a trafficare". Saldatosi poi con la concezione dell'utilitarismo, l'interesse era diventato la pietra angolare di gran parte dell'economia edificata nell'Ottocento (come dirà William S. Jevons nel 1871, l'economia è infatti "the mechanics of utility and self-interest"): al punto che - l'osservazione è di Robert Michels - proprio perché "tra le premesse a cui risale la scienza economica e da cui trae le sue deduzioni primeggia quella dell'interesse", il "meccanismo stesso dell'economia politica è appieno compenetrato da categorie psicologiche" (v. Ornaghi, 1984, pp. 33-37).
Il secondo insieme di discorsi disciplinari, costituito dalle 'scienze dello Stato', fonda sul diritto il suo stile argomentativo e i suoi concetti fondamentali (non tutti, ma certamente i più frequenti ed elaborati). Nel 1837, con la sua recensione ai Grundsätze des heutigen Staatsrechts, systematisch entwickelt di Romeo Maurenbrecher, nella quale profila con precisione la 'persona giuridica' dello Stato, Wilhelm Albrecht aveva mostrato che quest'ultimo era ormai da intendersi come un'entità che, stando al disopra dei singoli, è in primo luogo dedita a scopi che non costituiscono unicamente la somma di interessi individuali del sovrano e dei suoi sudditi, ma un "più alto e comune interesse generale" (cfr. "Göttingische gelehrte Anzeigen", 1837, pp. 1490-1498). E Rudolf von Jhering, guardando alla dinamica dei confliggenti interessi (mutevoli, giacché "gli interessi che ora convergono possono, in seguito, nuovamente divergere"), aveva osservato - proprio in Der Zweck im Recht - che ciò che risulta veramente decisivo è "non l'interesse oggettivo, bensì soltanto il giudizio soggettivo sull'esistenza del medesimo" (v. Jhering, 1884²; tr. it., p. 42).
Con forza ben maggiore delle precedenti analisi e teorie della società, e in modo assai diverso dai discorsi disciplinari dell'economia e delle scienze dello Stato, il sistema delle scienze sociali conduce però alla loro formulazione conclusiva - questo è l'elemento più importante da osservare - le due concezioni 'generali' in virtù delle quali all'interesse era rapidamente toccato durante l'età moderna di diventare (come l'aveva definito Montesquieu) "le plus grand monarque de la terre": la concezione per cui l'interesse è da intendersi quale movente fondamentale (o addirittura unico) dell'agire umano, e la concezione secondo cui l'interesse, costituendo il legame più forte o più appariscente che aggrega pochi o tanti individui, consente di identificare con rapidità e precisione i gruppi presenti e operanti in ogni organizzazione dell'umana convivenza.
La prima concezione era stata alimentata direttamente dal 'culto dell'uomo' officiato dall'Umanesimo e dalla Rinascenza. Nell'agitarsi delle 'passioni', dentro cui occorre guardare alla ricerca dei più riposti moventi dell'agire umano, l'interesse era sembrato la forza in grado di dominare e disciplinare tutte le altre passioni. Da Montaigne e da Pascal fino a tutti i moralisti francesi (ma già Francesco Guicciardini aveva osservato: "Quegli uomini conducono bene le cose loro in questo mondo, che hanno sempre innanzi agli occhi lo interesse proprio, e tutte le azione sue misurano con questo fine": cfr. Ricordi, Firenze 1951, p. 230), l'interesse richiama l'attenzione di chi, mediante l'indagine 'naturalistica' del comportamento umano, cerca i fondamenti di una conoscenza 'realistica' dell'uomo (v. Taranto, 1992). In effetti, non appena lo si fosse considerato sotto la corteccia dei fenomeni più ripetuti e ordinari, il 'razionale' comportamento dell'individuo altro non sembrava manifestare se non quell''egoismo' (allora indicato, significativamente, anche con i termini di amour propre, self interest) in cui trova sbocco il principio di autoconservazione dell'uomo. La 'scoperta' di tale principio forniva così l'ulteriore prova che il perseguimento dell'interesse guida la naturale capacità dell'uomo di prevedere e calcolare. Ma già il 'voltagabbana' e acuto polemista Marchamont Nedham, nel commentare nel 1659 l'assai diffusa massima secondo cui l''interesse non mente', aveva ricordato come essa dovesse intendersi in due sensi: nell'uno, che "se si è in grado di capire ove per un qualsiasi specifico giuoco si radichi l'interesse di una determinata persona, allora si può con sicurezza sapere, a condizione che la persona stessa sia assennata, in che punto tenerla, vale a dire come giudicare il suo disegno"; nell'altro, che "se un uomo stabilisce correttamente il proprio interesse e vi si attiene, esso non gli mente né lo trae in inganno nel perseguimento dei suoi scopi e degli obiettivi del suo vantaggio, né gli permette di essere fuorviato o indotto con pretese speciose a servire i fini e gli scopi di altri uomini" (v. Ornaghi, 1984, pp. 168-170).
Dalla seconda concezione generale l'interesse era stato elevato a motore di tutta la politica della modernità. Nelle sue manifestazioni ancor oggi più note e riconosciute (o, forse, più facilmente riconoscibili e accettabili da chi continua a vedere nell'ordine statale l'unica, o la fondamentale, irradiazione politica dell'età moderna), il ruolo 'politicamente' cruciale dell'interesse è testimoniato proprio dal suo contributo alla legittimazione, e anzi alla concreta costruzione, dell'unità dello Stato. Ben prima di quella di 'ragion di Stato' (v. Post, 1964), la formula 'interesse di Stato' è in uso nel lessico colto e diplomatico; e pressoché tutti i popoli d'Europa - come osserva Pieter de la Court a metà del Seicento - esprimono "la stessa cosa col termine 'interesse"'. Tocca all'interesse costituire il passaggio decisivo nel processo fortunoso, talvolta casuale e quasi sempre incerto e ambiguo, di 'astrazione' e 'personificazione' dell'unità statale. È infatti col trasfigurare in 'astratto' interesse dello Stato il 'concreto' interesse del principe che lo Stato si autorappresenta come entità la quale, in quanto distinta da chi fattualmente esercita il potere, è un soggetto d'autorità sovraordinato e trascendente. L'interesse "fa vivere e morire gli Stati", annota il duca di Rohan nel suo De l'interest des Princes et Estats de la Chrestienté del 1638. Con una eco diretta, e anche legando forse involontariamente le due concezioni generali, Slingsby Bethel in The interest of Princes and States del 1680 (si badi al titolo, che, pressoché identico all'altro, contiene anch'esso tutt'e due i soggetti dell'interesse) ricorda come "la prosperità e l'avversità, se non la vita e la morte di uno Stato" dipendano dall'interesse, termine dalle svariate definizioni, ma che, riferito allo Stato, altro non designa se non ciò che "negli esseri viventi, che abbiano ragione e buon senso, è l'istinto di conservazione e di accrescimento" (v. Raab, 1964, p. 234).
E però, nel condurre alla loro formulazione conclusiva le due 'moderne' concezioni generali dell'interesse, il sistema delle scienze sociali produce un'innovazione assai rilevante, la quale, legandosi alle innovazioni nel campo del 'metodo', è destinata a dispiegare effetti duraturi sulle discipline che via via si sarebbero specializzate e rapidamente autonomizzate nei confronti del 'sistema' originario. La novità tocca la seconda delle concezioni generali che stiamo considerando. Se infatti l'interesse continua a costituire, per il sistema delle scienze sociali, il motore della politica, esso tuttavia non risulta più esauribile, o lo è sempre meno, nell'interesse dell'astratta 'persona' dello Stato. L'interesse 'politico', lungi dall'essere l'immediata trasposizione o la trasfigurazione 'spersonalizzante' dell'interesse individuale, va invece cercato e indagato - il passaggio è della massima importanza per poter comprendere in qual modo le nuove scienze percepiscano l''ambiente' in cui si vanno costruendo e il loro rapporto con esso - a partire dalle forme differenziate e specifiche degli interessi economico-sociali. Per un primo verso, è proprio a questo punto che, dentro il sistema delle scienze sociali, l'analisi della 'struttura' dell'interesse non solo inizia a essere considerata essenziale in ordine al più generale processo di rigorosa 'concettualizzazione' di ogni disciplina sociale (e, soprattutto nel caso della sociologia, di 'tipologizzazione' delle forme di agire e di convivenza), ma viene anche stimata decisiva per il rafforzamento dell''unitarietà' del sistema stesso. Per un secondo verso, tuttavia, proprio nel momento in cui sembra segnare uno degli elementi di maggior connessione fra le scienze sociali, l'economia e le scienze dello Stato, tale analisi approfondisce la loro frattura. Tra le scienze sociali e l'economia: giacché, di quanto attraverso l'interesse si procederà a scomporre (e poi magari ricomporre) i diversi elementi dell''azione', di tanto ci si allontanerà da una strategia conoscitiva incentrata sull''utilità', sia essa individuale o cosiddetta sociale. Tra le scienze sociali e le scienze dello Stato, soprattutto: poiché, mentre le prime cercheranno di sbloccare lo studio dell'orientamento dell'individuo al proprio interesse da una concezione riduttivamente 'realistica' (e inevitabilmente oscillante verso l'equiparazione dell'interesse col bisogno), le seconde terranno ferma ('modernamente') la funzionalità 'realistico-concreta' dell'interesse della fictio dell'unità statale, cercandone soltanto la possibilità di composizione, o di una diversa sovraordinazione, nei confronti dei molteplici e confliggenti interessi della società.
Insomma, senza pericolo di caricare eccessivamente questo nostro giudizio, si potrebbe sostenere che, come risulta possibile e utile scandire attraverso la categoria di interesse il processo di crescita delle scienze sociali (anche, e in particolare, dell'economia), sia quando esse riflettono sul proprio oggetto sia quando s'interrogano sul metodo, così si potrebbe e sarebbe assai conveniente ripercorrere attraverso questa stessa categoria lo svolgimento dei discorsi giuspubblicistici (e giusprivatistici), non solo rispetto alle loro reciproche divaricazioni e più o meno temporanee convergenze, ma anche in ordine al rispettivo grado di apertura ed esposizione ai discorsi delle più contigue discipline politico-sociali. Del resto, pur se con una punta (in questo caso) di esagerazione, forse non sarebbe nemmeno troppo difficile argomentare che la sirena dell''interesse' ha fatto sentire più alto il suo canto, dalla fine dell'Ottocento fino ai nostri giorni, soprattutto nei momenti in cui più forte è sembrato, tanto alle scienze sociali quanto a quelle giuridiche, il bisogno di procedere verso una trasformazione radicale dei modelli e dei paradigmi tradizionali.
Assai significativamente, sin dai primi decenni del Novecento la nozione di interesse non solo è sempre presente, e spesso ne costituisce una fondamentale scansione, nei dibattiti metodologici e nelle ricerche analitiche grazie a cui nascono, si rafforzano e declinano 'scuole', 'sette' o 'eresie' delle scienze sociali, ma 'attraversa' anche - soprattutto quando assume un ruolo fondamentale dentro una costellazione di altri concetti (bisogno, valore, aspettativa, ecc.) - le sempre più vaste aree grigie tra scienze sociali ed economia, tra diritto e scienze sociali, tra tutte queste discipline e la sempre più autonoma, istituzionalizzata 'scienza politica'.
Il solido filo conduttore che lega l'analisi svolta da Hume nel Treatise of human nature è la relazione inversa tra l'interesse limitato a una cerchia ristretta di persone, che cooperano perché sono in grado di riconoscersi in uno scopo comune, e l'interesse esteso a una moltitudine di individui. Per Hume gli individui si orienterebbero naturalmente al public interest, se solo fossero in grado di riconoscere, nei confronti di un vantaggio immediato e contiguo alla percezione dei loro sensi, un interesse remoto nel tempo e distante nello spazio. Secondo Rousseau, per il quale ciò che forma il vincolo sociale è proprio quel che vi è di comune ai differenti interessi privati, "se non vi fossero interessi diversi, a stento si sentirebbe l'interesse comune, che non troverebbe mai ostacoli; tutto andrebbe da sé e la politica cesserebbe di essere un'arte" (v. Cotellessa, 1993). Traslitterazione laica e mondana del bonum commune (ma, diversamente da quest'ultimo, continuamente sottoposto alle molteplici e quasi sempre confliggenti percezioni dei singoli individui), l'interesse generale rappresenta lo zenit della 'moderna' unità politico-statale. La sua figura si distende su ogni formula con cui si legittima ex post la 'persona' dello Stato e si giustifica alla politica un incontrastabile primato rispetto a ogni tipo di condotta umana. Dalla sua ipostatizzazione è dipesa - molto concretamente, in modo quasi quotidiano - la costruzione della macchina dello Stato e l'apprestamento, mediante il processo di dilatazione delle procedure rappresentative-elettive, della più sofisticata autogaranzia dell'identità fra la moderna 'politica' e lo Stato. Da Hobbes a Locke, da Edmund Burke a Emmanuel-Joseph Sieyès e a James Madison, fino a Hegel, l'interesse risulta infatti costitutivo di tutte le riflessioni sul problema così squisitamente moderno del chi 'rappresenta' chi, per quali scopi, secondo quali modalità (v. Fisichella, 1983).
Era stato compito degli economisti e dei costituzionalisti del Settecento non solo di argomentare che potesse esistere un interesse il quale, cumulando in sé e a un tempo trascendendo gli interessi frazionali, risultasse così comune da apparire 'generale', ma anche di mostrare che il perseguimento di un simile interesse si trovava a coincidere pressoché perfettamente con il conseguimento dell'interesse particolare. Toccava ora ai giuspubblicisti di fine Ottocento (nella stessa età, dunque, dell'edificazione del sistema delle scienze sociali) suggellare la 'conclusa' formalizzazione di quel lungo processo, cercando di provare - come farà ad esempio Georg Jellinek - che, seppur l'interesse generale sia un "interesse composto", che risulta dal contrasto fra gli interessi individuali e abbraccia "l'interesse delle generazioni future", esso non può che essere identico all'"interesse dello Stato" (cfr. System der subjektiven öffentlichen Rechte, Tübingen 1905²).
Sarebbe ora facile, guardando a quegli anni, sostenere che è proprio la rapida evanescenza della moderna figura dell'interesse generale ad agevolare il processo di fuoruscita degli interessi particolari dall'involucro dell'interesse dello Stato, o, con una tesi solo parzialmente opposta, mostrare che è la recuperata forza di organizzazione degli interessi a scardinare la fittizia equiparazione tra interesse generale e interesse dello Stato. In realtà - importa sottolinearlo, giacché è rispetto a questo 'ambiente' che il sistema delle scienze sociali reinterpreta l'eredità del moderno interesse, 'investendola' direttamente nel campo della distinzione tra ciò che è 'politica' e ciò che è 'società' - nello scorcio tra Otto e Novecento viene definitivamente allo scoperto la difficoltà crescente di mantenere (o di creare) forme funzionali di corrispondenza tra l'interesse dell'unità politico-statale e la pluralità degli interessi economico-sociali. Per tutta l'età moderna il ruolo 'politico' dell'interesse non aveva mai cessato di risultare duplice. Da un lato il suo significato era stato progressivamente 'sentito' con un contenuto così generale e globale da poter erigere l'interesse dello Stato in elemento trascendente e unificante i diversi e magari confliggenti interessi particolari. Dall'altro lato tale significato era sempre apparso così specifico e frazionale da rendere l'interesse dell'individuo - e anche gli 'interessi' delle corporazioni, dei ceti, delle comunità, e poi delle classi e dei gruppi più o meno stabilmente organizzati - la realtà maggiormente in antagonismo, o comunque in continua tensione, effettiva o virtuale che fosse, con la 'necessaria' unità della sintesi statale (v. Marschak, 1930). Allorché un tale dualismo sembra ormai annunciare la rottura definitiva dello stabile squilibrio della moderna sintesi statale, l'espressione 'interessi' - già frequentemente usata a ridosso della Rivoluzione francese, e dai fisiocratici in particolare - s'affianca in modo sempre più massiccio all' 'interesse'. Gli uni richiamano quest'altro, ma non s'identificano con esso. Né l'interesse, da solo e nella sua struttura, basta più a spiegare la genesi, il funzionamento, la dinamica degli interessi economico-sociali. Joseph H. Kaiser, per il quale l'interesse è uno di quegli "archetipi di contenuti della coscienza umana che agiscono sui principî di tutta la vita politica", ha osservato come la forma caratteristica di questo secolo sia appunto l' 'organizzazione' degli interessi (v. Kaiser, 1956; tr. it., p. 37). Non per caso sugli interessi si concentrerà non solo l'attenzione di chi, guardando appunto alla loro 'organizzazione' e 'rappresentanza', cercherà la causa e la possibile soluzione della cosiddetta crisi del moderno Stato, ma anche l'indagine di quella storiografia che, col ricostruire consistenza e persistenza di 'ceti' e 'corpi' lungo l'intera fase di ascesa dell'unità statale, tenterà di conservare contatti stretti col sistema delle scienze sociali.
Dentro la famiglia delle scienze sociali - in realtà, dentro ciascuno dei suoi componenti sempre più insensibili o addirittura estranei gli uni agli altri - 'interesse' e 'interessi' iniziano così una stravagante coabitazione. Tocca all'interesse il ruolo di primo attore, ogniqualvolta occorra riflettere sui 'fondamenti' (o sull'identità e sulle potenzialità di innovazione concettuale) di una disciplina: com'è ad esempio il caso, talvolta trascurato eppur così essenziale, della scienza della politica allorché definisce la sua nozione cardine di 'potere' (v. Stoppino, 1973). Spetta agli interessi diventare invece protagonisti, quando sembra che l'accrescimento cumulativo delle conoscenze non possa essere assicurato se non da indagini 'sul campo'. Tra 'interesse' e 'interessi', però, il ponte di congiunzione resta nella teoria assai traballante; spesso nemmeno c'è, e non se ne avverte la necessità. Anche per questo, probabilmente, mentre per tutti gli ultimi cinquant'anni si sono moltiplicate indagini e definizioni degli 'interessi' (sotto la specie di gruppi d'interesse, associazioni, corporazioni, sindacati, ecc.: v. Patinkin, 1968), la frammentazione e la dispersione del concetto sono sembrate per nulla preoccupanti, e anzi in qualche misura rassicuranti. Quasi senza che ce ne accorgessimo, 'interesse' è scivolato, o è salito, in quel settore in cui vengono di solito collocati i termini 'elementari' o 'primitivi' di un discorso. E se è significativo che, quando qualcuno si provi a definirlo, nulla o poco di più possa fare oltre a raggrupparne e discuterne le esplicite o implicite definizioni 'classiche', altrettanto significativo è che, messa ai margini una ricerca della struttura dell'interesse, quest'ultimo non divenga il possibile elemento di connessione odierna (e proprio in virtù della sua 'storia') tra le diverse scienze sociali, bensì tenda a trasformarsi nel crogiuolo in cui si raccolgono e più facilmente si fondono premesse o conclusioni delle attuali concezioni naturalistiche, sociobiologiche, biopolitiche (e più o meno volutamente 'anti-storiche') dell'agire dell'uomo e del costituirsi e crescere delle collettività.
La storia di un concetto, si diceva all'inizio, non sostituisce quasi mai la ricerca della sua definizione e la sua analisi. Talvolta ne può costituire l'autopsia. Ma non è questo il caso, ancora, di 'interesse'. Per più aspetti, anzi, quella frammentazione o dispersione del concetto, che risulta così funzionale a un suo impiego polivalente e non sempre sorvegliato nel campo delle scienze sociali, può anche essere intesa come il segno che con ogni probabilità anticipa e rende più urgente la necessaria 'riabilitazione' scientifica del concetto di interesse. Gli ostacoli più grossi e i motivi più o meno dichiarabili che tendono ad allontanarne o esorcizzarne la riabilitazione, li abbiamo lasciati intravedere valutando in qual modo il sistema delle scienze sociali tra Otto e Novecento abbia raccolto ed efficacemente gestito la pesante eredità lasciatagli dall'avventurosa vicenda 'moderna' di questa proteiforme nozione. E sono soprattutto, per indicarli ora sinteticamente, i rischi del riduzionismo e del solipsismo (nel metodo, e anche nella riflessione sul proprio oggetto) di gran parte delle attuali scienze sociali.
La storia di un concetto, però, oltre a dar conto del perché certe riflessioni vengano abbandonate (e poi magari riprese, quando lo svolgimento di una scienza disegna più o meno all'improvviso un significativo loop), può servire a raccogliere spezzoni di queste analisi e riflessioni. Dalla Rinascenza in poi, tutto il pensiero moderno constata agevolmente la 'naturalità' dell'interesse quale strumento 'razionale' dell'egoistico agire dell'uomo. Tuttavia l'interesse dell'individuo - anche questo era facile da osservare e generalizzare in regole 'naturali', ed era però il punto cruciale per ogni studio della politica e della società in connessione diretta con l' 'agire' degli individui - non solo non appare comparabile e tantomeno sintetizzabile con gli interessi di altri individui, ma neppure è determinabile e oggettivabile se non nell'unità di tempo. L'interesse, ricordava Bossuet, "n'a point de maximes fixes; il suit les inclinations, il change avec les temps, il s'accomode aux affaires: tantôt ferme, tantôt relâché, et ainsi toujours variable" (cfr. IVe Sermon pour le dimanche des Rameaux, prêché devant le Roi, sur la justice, in Oeuvres complètes, Besançon-Paris 1840, vol. VI, p. 118).
Interrogarsi sulla 'struttura' dell'interesse significa allora, lasciandosi alle spalle ogni moderna equiparazione tra passione e interesse (v. Hirschman, 1987), sfidare il limite dell'apparente indefinibilità di quest'ultimo (se non nell'unità di tempo tradizionalmente raffigurata e racchiusa nell'hic et nunc); significa, soprattutto, chiamare in causa direttamente la 'relazione' tra la 'variabilità/invarianza' di un 'valore' e chi questo valore attribuisce a qualcosa o qualcuno. Josef Gruntzel, nel 1916, definisce l'interesse come il "rapporto oggettivo" di un individuo con una "cosa", attraverso il quale rapporto quest'ultima acquista un valore (cfr. Die Idee der Gemeinschaft. Eine Vorfrage der Ethik und Volkswirtschaftslehre, Dresden-Leipzig 1916, pp. 54-55). Per Franz Oppenheimer l'interesse è "attribuzione di un valore (o disvalore)" a un determinato oggetto da parte di un individuo (cfr. System der Soziologie, vol. III, t. 1, Theorie der reinen und politische Ökonomie, Jena 1923⁵, p. 16). Alcuni decenni dopo Joseph Van der Ven, riprendendo la definizione di interesse come attribuzione di valore a qualcosa o qualcuno, osserva che tutti i tentativi di calcolare 'oggettivamente' l'interesse risultano vanificati dall'impossibilità di trovare un interesse che funga da unità di misura: gli interessi possono essere oggetto al più di un'operazione di 'valutazione', non mai di 'pesatura' (v. Van der Ven, 1974, pp. 452-454).L'esemplificazione potrebbe continuare, e magari concludersi con la riproposta di ciò che già Bentley (v., 1908; tr. it., p. 261) sottolineava ("l'interesse è proprio questa valutazione dell'attività, non distinto da essa, ma come l'attività valutativa stessa"), o ciò che Dewey (v., 1896; tr. it., p. 45) formulava come l'"essenza" dell'interesse ("l'individuo si sente impegnato in un'attività, alla quale riconosce un certo valore. L'etimologia della parola 'interesse', interesse, ci conduce a questa idea: che l'interesse annulla la distanza che separa la coscienza dagli oggetti e dai risultati della sua attività; è l'istrumento che opera la loro riunione"). L'elenco, oltre che lungo, rischierebbe anche di essere solo parzialmente utile al fine di definire in modo univoco l'interesse e la sua struttura. Dentro le attuali scienze sociali, la 'riabilitazione' dell'interesse non può infatti che muovere ed essere alimentata da un nuovo e produttivo impulso a una teoria 'generale' dell'agire umano.
(V. anche Bisogni; Obbligo politico).
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