Abstract
Gli istituti analizzati si connotano per il fatto di esprimere, a un tempo, la comunanza di un interesse a più soggetti e la necessità che sia un organismo collettivo ad attivare la tutela di tale posizione. Lungo questo orizzonte, vengono esaminati i riferimenti normativi e giurisprudenziali che appaiono idonei a fondare la rilevanza giuridica (e da qui l’azionabilità) degli interessi in oggetto, verificando se sia teoricamente e praticamente ammissibile che tali situazioni si radichino sul singolo individuo e siano tutelabili a prescindere dall’esistenza di un gruppo organizzato.
Il riferimento a situazioni definite sovraindividuali (espressione che correntemente, quantomeno nel diritto amministrativo, abbraccia sia gli interessi diffusi che quelli collettivi) esprime la comunanza di un interesse a più soggetti e la circostanza, tendenzialmente necessaria, che costoro si coalizzino al fine di rendere tale interesse tutelabile (cfr. Ferrara, R., Interessi collettivi e diffusi, in Dig. pub., VIII, Torino, 1993, 482).
Il dibattito sul tema, che trova spazio in diversi settori dell’esperienza giuridica (nel diritto privato si veda, ex plurimis, Alpa, G., Interessi diffusi, in Dig. civ., IX, Torino, 611), ha conosciuto un notevole sviluppo negli anni settanta dello scorso secolo (ne sono testimonianza gli atti di convegni raccolti nei volumi AA.VV., Le azioni a tutela degli interessi collettivi, Padova, 1976; AA.VV., Rilevanza e tutela degli interessi diffusi: modi e forme di individuazione e protezione degli interessi della collettività, Milano, 1978), è caduto successivamente in uno stato di quiescenza ed è stato riacceso per effetto dell’introduzione di tecniche di tutela in parte nuove, come le azioni di classe, e per l’attenzione di cui sono oggetto i beni comuni.
Esiste tutt’ora un orientamento nettamente predominante che collega la giuridicità degli interessi in esame alla esistenza di una qualche forma di aggregazione (di recente, Lombardi, R., La tutela delle posizioni meta-individuali nel processo amministrativo, Torino, 2008).
Le ragioni di tale approccio attengono sia al diritto sostanziale che a quello processuale. Da un lato, proprio la circostanza che tali interessi coinvolgano una pluralità di soggetti porterebbe a escludere, di per sé, che un singolo individuo possa assumerne la titolarità e possa agire in giudizio a loro difesa (Trocker, N., Gli interessi diffusi nell’opera della giurisprudenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, 1114). Dall’altro, la connotazione soggettivistica del processo amministrativo (derivante dall’art. 24 Cost.) calibra quest’ultimo su situazioni soggettive di tipo individuale, con esclusione di quegli altri interessi che sono riferibili a un gruppo indeterminato di individui e sembrano per ciò stesso richiedere attori particolari (si veda Ferrara, R., op. cit., 482; in giurisprudenza TAR Campania, Napoli, I, 15.1.2008, n. 204).
Sebbene l’esistenza di un soggetto collettivo sia condizione della tutela di entrambe le posizioni, di modo che si potrebbe bene ipotizzare la loro trattazione unitaria, la distinzione tra interessi collettivi e diffusi rimane assolutamente consolidata.
L’interesse collettivo abbraccia due ordini di ipotesi.
In primo luogo, può consistere in un interesse che è proprio di un’organizzazione in quanto tale (intesa come autonomo soggetto di diritto) e che non potrebbe quindi (neanche astrattamente) radicarsi in capo a un individuo singolo: si tratta, quindi, di una normale situazione giuridica appartenente a un soggetto collettivo.
In secondo luogo (e qui trova la propria specificità), può trattarsi di un interesse che riguarda in modo omogeneo tutti i membri di un gruppo o categoria (accomunati, per esempio, da una certa qualità soggettiva o condizione lavorativa), ma che è tutelabile (in assoluto o mediante particolari procedure) solo attraverso la mediazione di un soggetto collettivo (Caravita, B., Interessi diffusi e collettivi, in Dir. soc., 1982, 187). Sebbene, quindi, l’interesse collettivo in senso proprio sia teoricamente profilato come interesse «di ciascuno e di tutti» (Pugliatti, S., Diritto pubblico e diritto privato, in Enc. dir., Milano, XII, 1964, 696), la dimensione individuale dell’interesse viene oscurata per il fatto che il diritto di azione è riservato al soggetto organizzato.
È essenziale (secondo un orientamento pacifico in giurisprudenza, cfr. Cons. St., V, 11.7.2008, n. 3451) che l’organizzazione agisca a tutela della categoria intera o di interessi comuni a tutti i suoi membri, non potendosi occupare di questioni che riguardano i singoli iscritti o suscettibili di dividere la categoria in posizioni disomogenee (si veda però, sia pure in un ambito materiale limitato, l’art. 4 della l. 11.11.2011, n. 180).
L’organizzazione, a sua volta, deve manifestarsi in modo evidente, richiedendosi che l’interesse collettivo abbia come portatore un «ente esponenziale di un gruppo non occasionale» (Giannini, M.S., La tutela degli interessi collettivi nei procedimenti amministrativi, in AA.VV., Le azioni a tutela degli interessi collettivi, cit., 23): non è decisiva la forma giuridica dell’organizzazione, purché questa abbia un sufficiente grado di stabilità.
L’interesse diffuso vive «allo stato fluido e magmatico» (Vigoriti, V., Interessi collettivi e processo, cit., 39; Cassese, S., Gli interessi diffusi e la loro tutela, in Lanfranchi, L. (a cura di), La tutela degli interessi collettivi e diffusi, Torino, 2003, 569), è in origine «adespota» ed è relegato a un livello pregiuridico per il fatto di essere riferito a collettività non determinate, o non agevolmente determinabili, di cittadini (Ferrara, R., op. cit., 490).
Questo aspetto (che, peraltro, è fenomeno connaturato al sistema del diritto amministrativo, basti pensare alle problematiche connesse alla individuazione dei soggetti terzi o dei destinatari di atti generali) è all’origine dei due principali modelli di interesse diffuso elaborati dalla dottrina: il modello oggettivo e il modello “relativamente” soggettivo (ricalcando una classificazione già proposta da Nigro, M., Le due facce dell’interesse diffuso: ambiguità di una formula e mediazioni della giurisprudenza, in Foro it., 1987, V, 9).
Nel modello oggettivo, l’interesse diffuso resta una posizione desoggettivata (che può fare a meno di un titolare) nel senso che l’ordinamento si fa carico della possibilità che esso sia curato, assorbendolo all’interno delle proprie funzioni amministrative o giurisdizionali.
Così, di volta in volta, l’interesse de quo è recuperato all’interno del potere di scelta della p.a., che assume una connotazione normativa o paranormativa (così Berti, G., Il giudizio amministrativo e l’interesse diffuso, in Jus, 1982, 68); oppure è rimesso alla considerazione del giudice, che svolgerebbe così una funzione di controllo dell’attuazione del diritto obiettivo (Lombardi, R., op. cit., 226; Maddalena, P., Giurisdizione contabile e tutela degli interessi diffusi, in Cons. St., 1982, 291) mentre i cittadini sono (al più) relegati al ruolo di collaboratori che partecipano all’attuazione della volontà dell’ordinamento (Cresti, M., Contributo allo studio della tutela degli interessi diffusi, Milano, 1992, 94).
Nel modello relativamente soggettivo, che prevale in dottrina, l’interesse diffuso si appunta su un soggetto, con la precisazione che deve trattarsi di un soggetto collettivo.
Nella realtà sociale questi interessi non hanno alcun referente soggettivo e sono, per questo, alla ricerca di un portatore. La loro rilevanza giuridica si coglie nel momento in cui convergono due elementi. Soggettivamente, appartengono a un insieme i cui membri (diversamente che nel caso degli interessi collettivi) sono indeterminati a priori ma sono comunque considerabili in una specifica dimensione attinente a uno status o una qualificazione (per es. consumatori, fruitori dell’ambiente, utenti di servizi pubblici). Oggettivamente, si esprimono solo con riferimento a un gruppo, perché altrimenti, apparirebbero troppo «deboli o sfuocati» (ex plurimis, Giannini, M.S., Diritto amministrativo, Milano, I, 1990, 180).
Questa ricostruzione coincide con il prevalente orientamento della giurisprudenza, che condiziona la giustiziabilità dell’interesse in esame all’esistenza di un organismo che lo faccia emergere dall’indistinto giuridico proponendolo come proprio (v. TAR Piemonte, II, 4 giugno 1988, n. 241).
Si tratta di un indirizzo originariamente elaborato con riguardo alla materia ambientale nella quale, successivamente all’istituzione del Ministero dell’ambiente, la legittimazione a ricorrere era riservata alle associazioni iscritte in un apposito registro (art. 13 l. 8.7.1986, n. 349) e si poneva dunque il problema dell’accesso alla tutela delle associazioni non riconosciute.
Nonostante alcune iniziali esitazioni (per es. Cons. St., VI, 16.7.1990, n. 728), la giurisprudenza (nella vicenda “Italia nostra”, su cui Cons. St., V, 9.3.1973, n. 253; Cass., S.U., 8.5.1978, n. 2207; Cons. St., A.P., 19.11.1979, n. 24) ha elaborato il criterio del cd. doppio binario, che viene a distinguere tra la legittimazione ex lege delle associazioni di protezione ambientale di livello nazionale riconosciute (che non necessita di verifica) e la legittimazione delle altre associazioni di livello locale, la quale deve essere accertata in ciascuno dei casi concreti con riguardo alla sussistenza di tre presupposti. Gli organismi devono perseguire statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale, devono possedere un adeguato grado di rappresentatività e stabilità e devono avere un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso (Cons. St., IV, 16.2.2010, n. 885).
I medesimi requisiti sono abitualmente utilizzati anche fuori dalla materia ambientale per ammettere al giudizio soggetti collettivi portatori di interessi diffusi (cfr. Cons. St., III, 26.10.2009, n. 2549; TAR Lazio, Roma, III, 30.3.2010, n. 5169).
In questo modo l’interesse diffuso non è più, evidentemente, adespota, perché l’ordinamento consente di individuarne un portatore legittimato, in quanto tale, a esercitare le relative azioni (si veda Punzi, C., La tutela giudiziale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, in Riv dir. proc., 2002, 649).
La necessaria presenza di un soggetto esponenziale determina, tuttavia, una sorta di «mutazione genetica» dell’interesse (Nigro, M., op. cit., 9) che viene allontanato dai singoli soggetti che (pure) compongono il gruppo di riferimento.
Questo approccio ha delle significative ricadute in termini di tutela (segnatamente di tutela individuale) alla luce della correlativa tendenza a ritenere non fungibile la legittimazione dell’associazione con quella del cittadino: l’interesse diffuso in quanto tale non può essere fatto valere dal singolo (cfr. Travi, A., Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2010, 91).
Gli interessi diffusi e collettivi condividono, dunque, una medesima sorte: attraverso la loro imputazione a un soggetto collettivo subiscono un processo di sintesi e divengono interessi individualizzati dell’organizzazione (Orestano, A., Interessi seriali, diffusi e collettivi: profili civilistici di tutela, in Menchini, S., a cura di, Le azioni seriali, Napoli, 2008, 24). Da qui (tralasciando le posizioni che strutturalmente non possono che appartenere a soggetti organizzati) può individuarsi una classe di interessi (tralaticiamente definiti sovraindividuali) che potrebbero appartenere a soggetti individuali, ma che per un’opzione normativa o esegetica sono riservati al dominio di soggetti collettivi.
Dal punto di vista pratico, questa impostazione varrebbe a scongiurare il rischio che, allargate le maglie della legittimazione a ricorrere, si introduca una generale azione popolare potenzialmente in grado di snaturare lo stesso processo amministrativo (cfr. Nigro, M., Giustizia amministrativa, Bologna, 1983, 135).
L’impossibilità di riferire le posizioni in oggetto a soggetti individuali presenta nondimeno due ordini di inconvenienti.
In primo luogo, entra in tensione con il modello di relazione tra individuo e formazioni sociali delineato dall’art. 2 Cost. Le formazioni sociali sono previste e garantite come luogo di svolgimento della personalità individuale: è la comunità intermedia in funzione del singolo e non il contrario (cfr. Barbera, A., Commento dell’art. 2 della Costituzione, in Branca, G., a cura di, Commentario della Costituzione, principi fondamentali, Bologna - Roma, 1975, 50), con la conseguenza che l’esistenza di un gruppo intermedio non può porsi come condizione per l’esercizio di quei diritti che dovrebbero ricadere, innanzitutto, nella titolarità dei singoli individui. In altri termini, se il diritto di azione è una libertà fondamentale e se, parallelamente, le formazioni sociali hanno un ruolo ausiliario rispetto all’esercizio di una qualsiasi libertà del singolo, non sembra possibile riservare il diritto di azione a tali formazioni perché questo equivarrebbe all’affermazione dell’obbligo di esercitare una libertà in forma associata.
In secondo luogo, la necessaria intermediazione del gruppo organizzato non convince neppure ragionando in termini puramente teorici: la circostanza che un interesse possa ricorrere un numero potenzialmente indeterminato di volte in capo a soggetti diversi non può essere di per sé un elemento idoneo a modificarne la struttura giuridica.
Si può, ovviamente, ritenere che un certo interesse debba essere confinato nel livello degli interessi di fatto e quindi non sia assistito da alcuna forma di protezione giuridica. Non sembra, viceversa, sostenibile che la tutela di un siffatto interesse sia ammissibile ogni qual volta si possa reperire un soggetto collettivo che lo personifichi e risulti invece negata quando quello stesso interesse sia privo di un referente collettivo e rimanga radicato in capo a uno (o a una pluralità di singoli) soggetti.
Un’impostazione costituzionalmente corretta (giusto il principio di atipicità dell’azione desumibile dall’art. 24 Cost., su cui Proto Pisani, A., Introduzione sulla atipicità dell’azione e la strumentalità del processo, in Foro it., 2012, V, 4) del rapporto esistente tra il profilo sostanziale della rilevanza giuridica di un interesse e la legittimazione ad agire nel processo evidenzia come, anche con riguardo alle situazioni in oggetto, la verifica fondamentale attenga primariamente alla esistenza di un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento. Una volta percepita l’esistenza di una situazione di vantaggio, l’art. 24 Cost. esige che essa sia anche tutelabile, mentre la verifica in punto di legittimazione atterrà (solo) alla possibilità astratta che il ricorrente possieda la posizione di cui egli si affermi titolare (sulla legittimazione a ricorrere cfr. Villata, R. Legittimazione processuale (dir. proc. amm.), in Enc. giur. Treccani, Roma, 5; Ferrara, R., Interesse e legittimazione al ricorso (ricorso giurisdizionale amministrativo), in Dig. pub., VIII, Torino, 1993, 471).
Ammesso che la tutelabilità degli interessi sovraindividuali dipende (e discende) dalla verifica della loro rilevanza giuridica (ossia della protezione complessivamente riconosciuta all’interesse in esame dalla disciplina normativa e, quindi, della qualificazione normativa dell’interesse), salvo individuare coloro che rientrano in concreto nell’ambito dei soggetti tutelati e che possono pertanto attivare la funzione giurisdizionale (e cioè, per ragionare con le categorie che riguardano tipicamente il percorso di selezione delle situazioni giuridiche soggettive, coloro che emergono come soggetti differenziati in virtù di un particolare collegamento con l’interesse in questione), è già possibile rinvenire nell’ordinamento una serie di strumenti che consentono all’interesse (assertitamente sovraindividuale) di radicarsi su un singolo individuo.
Così, nonostante le rappresentazioni correnti del fenomeno continuino a proporre gli interessi diffusi e collettivi come situazioni che sfuggono al dominio (e alla disponibilità processuale) del singolo individuo, esistono alcuni elementi che permettono all’interesse di appuntarsi su un singolo soggetto, consentendogli così di fare a meno del gruppo.
Nella prospettiva appena tratteggiata, un istituto che sembra essere decisivo per fondare la giuridicità degli interessi in oggetto è la vicinitas, il radicamento territoriale dell’interesse.
Alla base delle situazioni in esame, in effetti, può rinvenirsi un bisogno che tende ad assumere una connotazione di tipo spaziale: si tratta di un interesse che appartiene al soggetto (a tanti soggetti) in quanto facente parte di una comunità identificata in base a un prevalente criterio territoriale. Tale interesse emerge come autentica situazione giuridica (tutelabile in giudizio) laddove «l’attività conformativa della p.a. incida su un determinato spazio-territoriale, modificandone l’assetto nelle sue caratteristiche urbanistiche, edilizie, paesaggistiche, monumentali, ecologiche, di salubrità o mutando in senso deteriore le possibilità infrastrutturali o organizzative di usufruire dei servizi essenziali, garantiti da una norma costituzionale, o ritenute necessarie dalle norme ordinarie in materia» (Caravita,B., op. cit., 196).
La possibilità di localizzare l’interesse rende ultronea la ricerca di un soggetto collettivo che assuma la titolarità della corrispondente situazione giuridica, che può quindi trovare uno o più titolari individuali.
In questo senso, la vicinitas aggiunge l’elemento della differenziazione a interessi qualificati in virtù delle norme costituzionali o delle norme ordinarie che hanno attribuito alla p.a. un potere a effetto conformativo.
La prossimità è stata sfruttata dal g.a. per circoscrivere il «chiunque» al quale la legge (art. 31, l. 17 agosto 1942, n. 1150) aveva attribuito la legittimazione a impugnare le licenze edilizie illegittime (a partire dalla nota Cons. St., V, 9.6.1970, n. 523; in dottrina v. Guicciardi, E., La decisione del “chiunque”, in Giur. it., 1970, III, 193; Sandulli, A.M., L’azione popolare contro le licenze edilizie, in Riv. giur. edil., 1968, II, 3).
Da quel momento, secondo un orientamento assolutamente pacifico, la legittimazione a impugnare una concessione edilizia (o un titolo equipollente) sussiste ove sia presente «una posizione qualificata e differenziata, quale quella dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa, e quella di coloro che si trovano un una situazione di stabile collegamento con la stessa» (Cons, St., VI, 20.10.2010, n. 7591).
Questo riferimento alla prossimità del proprio centro di interessi rispetto agli effetti di un provvedimento amministrativo, inizialmente limitato al settore dell’edilizia in senso stretto, è stato utilizzato nella materia del governo del territorio in termini generali e con riguardo a una vastissima serie di atti (cfr. Cons. St., V, 3.5.2006, n. 2471; TAR Lombardia, 28.10.1998, n. 2452).
Successivamente la vicinitas è stata adoperata, in collegamento con l’art. 2 Cost., anche nelle sentenze in tema di diritto alla salute e in materia ambientale (a partire da Cons. St., A.P., 19.10.1979, n. 24; v. anche Cons. St., VI, 27.3.2003, n. 1600) per ampliare il catalogo degli interessi giuridicamente significativi.
Fino ad arrivare a utilizzazioni molto flessibili della nozione, con riguardo a ipotesi nelle quali il legame con il bene inciso è più tenue rispetto alla stretta contiguità geografica mediante il riferimento al bacino di utenza (cfr. Cons. St., V, 20.2.2009, n. 1032) oppure a indici di raggruppamento attinenti all’attività lavorativa o all’appartenenza a un medesimo centro economico (Cons. St., V, 16.6.2009, n. 3903).
In questo modo, il significato del collegamento non è limitato alla valutazione del mero dato urbanistico-spaziale, ma viene esteso fino a ricomprendere l’interesse sostanziale in ogni sua sfumatura: diviene allora possibile individuare una forma di tutela anche per interessi di natura diversa come, per esempio, quello all’esercizio di un’attività imprenditoriale a carattere commerciale.
Le principali ipotesi di interessi sovraindividuali a fondamento normativo espresso attengono alla tutela dell’ambiente e alla tutela del consumatore, laddove la normativa (cfr. gli artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n. 349 e gli artt. 309 e 310, d.l.vo 3.4.2006, n. 152, in materia ambientale; gli artt. 137 e 139, d.lgs. 6.9.2005, n. 206 per la tutela del consumatore) attribuisce una speciale legittimazione alle associazioni che abbiano ottenuto il riconoscimento ministeriale sulla base dei requisiti (essenzialmente di democraticità e rappresentatività) stabiliti dalle rispettive leggi di riferimento.
A queste ipotesi, speciali ratione materiae, si aggiunge la previsione generale di cui all’art. 4, co. 2, l. 11 novembre 2011, n. 180, che riconosce alle associazioni di categoria maggiormente rappresentative ai diversi livelli territoriali la legittimazione a impugnare gli atti amministrativi lesivi di interessi diffusi.
Secondo gli orientamenti prevalenti, queste fattispecie derogano all’ordinario processo di giuridicizzazione degli interessi, poiché scindono la legittimazione dalla lesione di una situazione giuridica: in questo modo, lo stesso processo amministrativo finisce per assumere i connotati propri di una giurisdizione di tipo oggettivo (cfr. Scoca, F.G., Tutela dell’ambiente: la difforme utilizzazione della categoria dell’interesse diffuso da parte dei giudici amministrativo, civile e contabile, in Dir. soc., 1985, 645).
Tuttavia, è possibile ipotizzare un’interpretazione delle suddette ipotesi diversa e armonica sia con la concezione soggettivistica della tutela che può trarsi dall’art. 24 Cost., sia con il ruolo che l’art. 2 Cost. assegna alle formazioni sociali (cfr. Donzelli, R., La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, Napoli, 2008, 420).
Può ritenersi, infatti, che le leggi citate contengano il riconoscimento di alcuni interessi come giuridicamente rilevanti, al quale si accompagna l’individuazione di alcuni organismi associativi i quali sono eccezionalmente abilitati a fare valere tali interessi in giudizio. La norma che disciplina un comportamento di cui si giovano i componenti di una data collettività determina automaticamente (ex art. 24 Cost.) la sussistenza del corrispondente diritto di agire dei singoli membri di quel gruppo per la tutela dei rispettivi interessi, senza che sia necessaria un’espressa attribuzione della legittimazione ad agire.
Al contrario, una previsione espressa è indispensabile per i gruppi organizzati che si ritengano esponenziali di quegli stessi interessi, perché, in mancanza di tale attribuzione, essi non potrebbero essere legittimati ad agire.
Ne consegue che le disposizioni in esame solo apparentemente riservano la legittimazione ad agire a organismi collettivi. Sul versante sostanziale, presuppongono l’azionabilità individuale degli interessi che esse considerano (salvo verificare che l’interesse de quo si radichi in concreto su quel singolo soggetto, per esempio in virtù del richiamo alla vicinitas) e a questa cumulano la possibilità che tali posizioni siano tutelate anche attraverso l’intervento di un soggetto collettivo.
Gli interessi diffusi hanno trovato un riconoscimento normativo espresso anche nella l. 7.8.1990, n. 241 che, all’art. 9, attribuisce la facoltà di partecipare al procedimento (oltre che ai portatori di interessi pubblici o privati) ai portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati.
La partecipazione è testualmente condizionata dalla ricorrenza di due presupposti.
Innanzitutto, l’interventore deve essere suscettibile di subire un pregiudizio, correlato a sua volta (secondo la giurisprudenza dominante, si veda Cons. St., IV, 29.8.2002, n. 4343) a un interesse sostanziale che preesiste al procedimento stesso.
In secondo luogo, l’ingresso degli interessi diffusi nel procedimento è subordinato alla presenza di un’organizzazione deputata alla cura dell’interesse comune.
Questo aspetto, tuttavia, sembra contrastare con la necessità che la partecipazione presupponga un interesse giuridicamente rilevante (in quanto tale passibile di pregiudizio): anche alla luce di quanto osservato supra (§ 4), non pare corretto in termini teorici ammettere che un interesse del quale sia predicabile la giuridicità possa avere accesso al procedimento laddove esista un soggetto collettivo che lo personifichi, e debba invece restare fuori dal procedimento allorché non abbia un referente organizzato ma resti radicato (con le medesime caratteristiche di significatività) in capo a uno o più singoli soggetti (su questi temi cfr. Occhiena, M., Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, 2002, 409; Dalfino, E.-Paccione, L., Basi per il diritto soggettivo di partecipazione nel procedimento amministrativo, in Foro it., 1992, V, 378).
In aggiunta a questi profili, resta da chiarire in quali termini la (avvenuta) partecipazione procedimentale si ripercuota sulla loro azionabilità.
Buona parte della dottrina (cfr., ex plurimis, Casetta, E., Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2011, 450; Villata, R., Riflessioni in tema di partecipazione al procedimento e legittimazione processuale, in Dir. proc. amm., 1992, 182) e della giurisprudenza (per es. Cons. St., VI, 25.6.2008, n. 3234) sono salde nell’escludere (anche con riguardo agli interessi diffusi) qualsiasi correlazione tra contraddittorio procedimentale e processuale, spettando al g.a. il compito di verificare se l’interventore abbia una legittimazione a ricorrere effettiva e autonoma rispetto alla legittimazione a partecipare.
Tuttavia, recidendo l’indicato collegamento, si rimuove dal novero delle situazioni giuridiche soggettive la posizione che ha per oggetto solo la partecipazione e che non sarebbe di per sé tutelabile, nel senso che il portatore dell’interesse pretermesso dal procedimento non potrebbe per ciò solo ricorrere avverso il provvedimento emanato senza avergli dato modo di partecipare.
Inoltre, sembra contraddittorio richiedere che l’interesse che giustifica la partecipazione abbia una qualche rilevanza giuridica (che lo rende passibile di pregiudizio), ed escludere poi che tale rilevanza non sia sufficiente per la tutelabilità dell’interesse medesimo.
Proprio alla luce di queste considerazioni, è emerso un orientamento (minoritario) che tende a valorizzare il collegamento tra partecipazione al procedimento e azionabilità dell’interesse (si veda TAR Puglia, Bari, III, 25.2.2008, n. 324; Zingales, U., Nuove prospettive in tema di tutela giurisdizionale degli interessi diffusi, sia collettivi che “adespoti”, in Tar, 1995, II, 186).
La giuridicità degli interessi in esame può, infine, essere fondata su quelle disposizioni di diritto processuale che, nel disciplinare le azioni popolari e le azioni di classe, attribuiscono (in materie circoscritte) in modo espresso a una molteplicità di soggetti la legittimazione ad agire nei confronti della p.a. secondo riti particolari.
Le azioni popolari comprendono una serie di ipotesi nelle quali la legittimazione ad agire è riconosciuta a chiunque o a schiere di soggetti a priori non delimitabili, senza che sia necessario verificare preliminarmente la (possibile) titolarità di una sottostante posizione sostanziale (si vedano l’azione popolare comunale, l’azione in materia elettorale, quella in materia edilizia; in dottrina cfr. Borghesi, D., Azione popolare, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 7; Paladin, L., Azione popolare, in Nss. D. I., II, Torino, 1958, 91; Astone, F.-Manganaro, F.-Romano Tassone, A.-Saitta, F., a cura di, Cittadinanza ed azioni popolari, Soveria Mannelli, 2010).
Nelle azioni di classe (in senso lato), ciascuno dei soggetti appartenenti a un gruppo di individui toccati in una situazione soggettiva omogenea è legittimato a promuovere un’azione per proprio conto e, contestualmente, in eventuale rappresentanza di tutti i membri del gruppo che si trovino in posizione analoga (cfr. l’azione di classe a tutela dei consumatori di cui all’art. 140 bis, d.lgs. 6.9.2005 n. 206, e il ricorso per l’efficienza delle amministrazioni di cui al d.lgs. 20.12.2009, n. 198, su cui si vedano Caponi, R., Azioni collettive: interessi protetti e modelli processuali di tutela, in Riv. dir. proc., 2008, 1205; Giuffrida, A., Il “diritto” a una buona amministrazione pubblica e profili sulla sua giustiziabilità, Torino, 2012).
Secondo le tesi più ricorrenti, le azioni a legittimazione allargata configurano una forma di tutela oggettiva, volta al ripristino della legalità violata nell’interesse generale e non nell’interesse del singolo ricorrente (cfr. Crisafulli, V., Azione popolare, in Nss. D. I., II, Torino, 1937, 140; Manganaro, F., L’azione di classe in un’amministrazione che cambia, in www.giustamm.it).
Le azioni in parola, tuttavia, possono anche trovare un diverso significato.
Come noto, se una situazione può ritenersi giuridicamente rilevante alla luce delle disposizioni di diritto sostanziale, automaticamente, in virtù dell’art. 24 Cost., essa sarà dotata di una corrispondente tutela giurisdizionale. Viceversa, se una disposizione processuale prefigura un diritto di azione, dovrà ritenersi che tale diritto presupponga l’esistenza di una (altrettanto corrispondente) posizione sostanziale che quell’azione mira a proteggere: l’ordinamento, proprio mediante il conferimento del diritto di azione, afferma l’esistenza di una situazione soggettiva il cui contenuto si identifica a partire dalle disposizioni della cui violazione è possibile dolersi.
Sotto questa luce, l’azione popolare è una normale azione a tutela di un diritto, con la particolarità che tale diritto spetta al cittadino in quanto tale: la circostanza che sia in evidenza un diritto del cittadino uti civis non toglie che, al tempo stesso, si tratti comunque di una situazione soggettiva che ha (prima di tutto) carattere individuale.
Similmente, la disciplina del ricorso per l’efficienza ha l’effetto di giuridicizzare l’interesse all’efficienza amministrativa (almeno per la parte in cui corrisponde a regole di condotta), nel senso che la norma, nel garantire la giustiziabilità della pretesa a che vengano rispettate certe regole, fonda la rilevanza dei corrispondenti interessi.
In questo modo, anche le azioni de quibus fungono da strumenti per radicare sull’individuo posizioni suscettibili di coinvolgere un numero imprecisato di soggetti.
Come rilevato, la tradizionale nozione di interesse sovraindividuale, è sottoposta a tensioni per effetto del sistema costituzionale che nella relazione tra formazioni sociali e individuo assegna a quest’ultimo la priorità (art. 2) e prefigura un modello di tutela centrato sulla protezione delle situazioni giuridiche soggettive (art. 24).
D’altra parte, l’attualità dell’istituto è in parte intaccata dalla progressiva emersione di strumenti che consentono di radicare gli interessi in esame su una molteplicità di singoli individui, cosicché appare evidente che il profilo caratteristico di tali posizioni è che esse sono suscettibili di appartenere a un numero indeterminato di soggetti: non si tratta quindi di situazioni desoggettivate (che per questo richiedono un portavoce collettivo) ma soggettivate (suscettibili di soggettivizzazione) un numero indefinito di volte (cfr. Nigro, M., Le due facce, op. cit., 8).
Posto che il carattere plurisoggettivo di un interesse non può essere considerato un’eventualità che di per sé ne inibisce la titolarità individuale, ciò che è decisivo è solo la verifica della giuridicità sostanziale dell’interesse (ossia la sua qualificazione, rintracciata a partire da disposizioni che disciplinano il potere della p.a. sul versante sostanziale o da disposizioni processuali che prefigurano i rimedi giurisdizionali attivabili), poiché è da questa che scaturirà il diritto di azione in capo a chi emerga in concreto come portatore (differenziato) di quell’interesse in virtù di un collegamento esistente con l’attività amministrativa oggetto di considerazione. In questa prospettiva, sembra potersi ipotizzare l’evoluzione verso una formula, gli interessi plurisoggettivi, che pur evidenziando l’innegabile specificità delle ipotesi in esame, le mantenga legate al singolo soggetto (si veda Cudia, C., Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Rimini, 2012, 92 ss.). L’idea di fondo è che la dimensione plurima debba risaltare esclusivamente nei termini di un’aggregazione di più interessi individuali, di modo che ogni membro del gruppo può essere titolare dell’interesse in questione e legittimato ad agire uti singulus, mentre i soggetti collettivi assumono una legittimazione (non esclusiva, ma) aggiuntiva.
Artt. 2 e 24 Cost.; art. 31, l. 17 agosto 1942, n. 1150; artt. 13 e 18, l. 8.7.1986, n. 349; art. 9, l. 7.8.1990, n. 241; artt. 137, 139 e 140 bis, d.lgs. 6.9.2005, n. 206; artt. 309 e 310, d.lgs. 3.4.2006, n. 152; d.lgs.20.12.2009, n. 198; art. 4, l. 11.11.2011, n. 180.
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