INTERFERONE
Gli i. sono molecole proteiche che, in base alle diverse caratteristiche antigeniche, sono state suddivise in 3 classi principali: α, β e γ. Gli i. α e β sono glicoproteine, stabili a pH 2 e di peso molecolare compreso, nell'uomo, tra 16.000 e 20.000, la cui produzione è indotta a seguito d'infezione virale. L'i. γ è una glicoproteina, instabile a pH 2 e di peso molecolare compreso, nell'uomo, tra 20.000 e 25.000, la cui produzione da parte di cellule del sistema immunitario è indotta a seguito di stimoli non virali. Quindi, i diversi tipi d'i., oltre a differire per le caratteristiche chimico-fisiche, differiscono per i meccanismi d'induzione e d'azione e per i geni che li codificano. Così nell'uomo esistono 10 geni e 5 pseudogeni (cioè geni che non vengono espressi) che contengono l'informazione per la produzione della classe di proteine omologhe appartenenti agli i. α che differiscono tra loro per il 20% circa della sequenza amminoacidica. Alcuni di questi geni sono stati localizzati sul cromosoma 9. Diversamente, esiste un solo gene codificante per una proteina di 166 amminoacidi, che costituisce la classe di i. β, e che è anch'esso localizzato sul cromosoma 9. Le differenze nella sequenza nucleotidica di geni responsabili della codifica degli i. α e β sono mediamente del 45%, mentre la sequenza amminoacidica degli i. α e β differisce del 23% circa. Come l'i. β, anche l'i. γ sembra sia codificato da un unico gene responsabile della produzione di questa proteina con diversi gradi di glicosilazione. Gli studi fin qui condotti non hanno chiarito perché esistono molti geni per gli i. α mentre esiste, probabilmente, un solo gene per il β e un altro per il γ.
Cenni storici. − Una serie di esperimenti condotti nel 1957 sugli effetti del virus influenzale sulla membrana corion-allantoidea di embrione di pollo (A. Isaacs e J. Lindermann) portò all'identificazione di una proteina secreta dalle cellule infettate dal virus che era in grado di proteggere altre cellule da infezioni virali. L'isolamento di questa proteina, denominata i., contribuì alla comprensione del fenomeno noto come interferenza virale, cioè la capacità degli organismi animali, già infettati da un determinato virus, di resistere a successive infezioni con virus differenti.
L'assenza di tossicità alle dosi antivirali efficaci, la selettività e l'ampio spettro d'azione antivirale (indipendentemente dal virus induttore), suscitarono enorme interesse e speranze per un'eventuale utilizzazione farmacologica degli i. come agenti antivirali. Le difficoltà di purificazione, caratterizzazione e definizione del meccanismo d'azione hanno però rallentato una rapida applicabilità degli i. in terapia. Le varie conoscenze acquisite negli ultimi 30 anni di ricerche sugli i. hanno permesso di stabilire che essi sono prevalentemente specie-specifici (sono cioè attivi sulle cellule della specie dalla quale sono stati prodotti) e che ogni specie sintetizza i. differenti, ognuno con una specifica sequenza amminoacidica e, alcune volte, con spettri di attività diversi in specie diverse. Inoltre, a partire dagli anni Settanta, sono stati riportati in letteratura una serie di effetti degli i. diversi dall'attività antivirale che hanno suscitato nuovo interesse per lo studio del sistema interferon.
Gli interferoni α e β. − L'espressione dei geni nei quali è contenuta l'informazione necessaria per la sintesi degli RNA messaggeri per gli i. α e β viene attivata, nella maggior parte delle cellule degli organismi animali, da induttori di natura diversa (non esclusivamente virus) ed è generalmente considerata come una risposta degli organismi a tali agenti. La cinetica di produzione degli i. α e β (per i quali l'RNA a doppio filamento che si produce per es. nelle cellule durante il ciclo di replicazione virale rappresenta il segnale intracellulare per l'inizio della sintesi) differisce a seconda degli induttori coinvolti. Si può dire che, generalmente, in vivo, il periodo necessario per la comparsa di quantità rilevabili d'i. varia da 2 a 8 ore dal momento dell'induzione e che la loro produzione tende progressivamente a decrescere fino a scomparire dopo circa 24 ore. Esperimenti in vitro su colture cellulari, condotti utilizzando svariati inibitori metabolici, hanno consentito di ottenere una superproduzione di i. α e β e hanno perciò contribuito a svelare l'esistenza di sistemi complessi, coinvolti nella regolazione della loro sintesi, che agirebbero o reprimendo la trascrizione degli RNA messaggeri per gli i. α e β o limitando la vita media di tali RNA messaggeri. È stato anche dimostrato che l'attività antivirale degli i. α e β endogeni si manifesta già a concentrazioni inferiori a 10−14 M. Tale attività è interpretata come un sistema difensivo dell'organismo nel corso delle infezioni virali che, grazie alla precocità della sua attivazione, rappresenta la prima risposta all'infezione precedendo anche la produzione di anticorpi (l'azione antivirale degli i. è stata dimostrata sia somministrando i. ad animali infettati con virus, sia correlando la quantità di virus infettante con la concentrazione nei vari tessuti d'i. endogeno, sia verificando l'aggravamento di alcune infezioni virali in animali ai quali erano stati somministrati anticorpi anti-i.). È stato però osservato che la somministrazione in topi neonati di elevate quantità d'i. α e β era associata a inibizione della crescita, ritardo nello sviluppo di alcuni organi, necrosi epatica e anche morte. L'interruzione del trattamento prima della necrosi epatica provocava, nei topi adulti sopravvissuti, una glomerulonefrite mortale. La scoperta che la sintomatologia era identica a quella di topi neonati infettati con il virus della coriomeningite linfocitaria e che anticorpi anti-i. α e β inibivano in tali topi l'insorgenza della sindrome virale acuta ha permesso di stabilire che, in particolari fasi dello sviluppo dell'organismo, una iperproduzione di i. α e β provoca danni rilevanti in diversi organi e tessuti.
L'interferone γ. − L'i. γ si differenzia da quelli α e β poiché viene sintetizzato specificatamente dalle cellule del sistema immunitario, in particolare dai linfociti T, tanto da essere stato denominato in passato ''i. immune''. La produzione d'i. γ è indotta soltanto da quelle sostanze capaci di provocare la stimolazione della proliferazione dei linfociti T. Tra queste, bisogna ricordare i cosiddetti mitogeni, quali la fitoemoagglutinina e la concanavalina A, e numerosi antigeni. È stato stabilito che i macrofagi attivati dagli induttori sono coinvolti direttamente nel meccanismo di produzione dell'i. γ poiché sintetizzano un mediatore chimico solubile denominato interleuchina-1 (IL-1). Gli eventi descritti generano una serie di complesse interazioni tra i macrofagi e i linfociti T che prevede, tra l'altro, la produzione di interleuchina-2 (IL-2) da parte dei linfociti T attivati che stimola l'espansione clonale dei linfociti T stessi. L'evento finale di questa cascata di reazioni è l'interazione dei macrofagi attivati con quei linfociti T sulla cui membrana cellulare siano presenti gli stessi antigeni di istocompatibilità e che iniziano, a questo punto, la sintesi d'i. γ. Oltre a svolgere un'azione antivirale su alcune popolazioni cellulari, l'i. γ è in grado di modulare l'attività di cellule del sistema immunitario. Infatti, l'i. γ stimola l'espressione degli antigeni di istocompatibilità, la funzione ''killer'' dei macrofagi sulle cellule tumorali, e modula la risposta anticorpale dei linfociti B. Alcuni di questi effetti sembra siano provocati anche dagli i. α e β anche se lo specifico e raffinato meccanismo d'induzione fa supporre che l'i. γ abbia un ruolo primario nella modulazione del sistema immunitario.
Azione antivirale degli interferoni. − L'azione antivirale degli i. non è ugualmente efficace su tutti i virus. Infatti, mentre i picornavirus, i mixovirus, gli arbovirus, il virus vaccinico e quello della stomatite vescicolare risultano particolarmente sensibili agli i., gli adenovirus e il virus della malattia di Newcastle lo sono molto poco. In generale, i fattori che determinano la sensibilità di un determinato virus agli i., oltre a caratteristiche intrinseche di ciascun virus, sono il tipo di ciclo virale e il patrimonio genetico della cellula infettata. Le variazioni di quest'ultimo fattore, in particolare, determinano la produzione di i. più o meno efficaci nell'espletare la loro azione antivirale. Questa si manifesta sul ciclo replicativo del virus e, a seconda del tipo di virus, coinvolge l'interruzione della trascrizione del genoma virale o l'inibizione della sintesi di proteine virali. Nel caso di cellule cronicamente infette da retrovirus (virus a RNA il cui genoma è inserito stabilmente nel DNA della cellula ospite) gli i. inibiscono il processo di maturazione e il rilascio del retrovirus dalla membrana cellulare. Il meccanismo con cui gli i. interagiscono con cellule non infette proteggendole dall'infezione virale è mediato da recettori specifici di natura proteica posti sulla membrana cellulare. Sebbene non siano stati ancora completamente purificati, i recettori per gli i. α e β sembrano tra loro molto simili, se non addirittura identici, mentre l'i. γ possiede un recettore distinto. Una volta avvenuto il legame tra gli i. e il loro recettore (la costante di dissociazione di questo legame è compresa tra 10−11 e 10-10 M), gli i. vengono introdotti all'interno delle cellule con un meccanismo simile a quello descritto per numerosi ormoni. All'interno della cellula gli i. sono in grado d'indurre la sintesi di particolari proteine capaci di arrestare a diversi stadi il ciclo di replicazione virale. Quindi, l'attività antivirale degli i. non è dovuta a una loro interazione diretta con i virus. Oltre a queste proteine non enzimatiche, il cui meccanismo specifico non è stato ancora chiarito, gli i. inducono la sintesi di 3 enzimi, una proteinchinasi, una oligoadenilato-sintetasi e una fosfodiesterasi. L'azione combinata di questi enzimi attiva una endoribonucleasi la quale sembra sia in grado di degradare preferenzialmente gli RNA messaggeri virali a doppio filamento.
Effetti cellulari degli interferoni diversi dall'attività antivirale. - I primi dati sull'argomento indicavano la capacità degli i. d'inibire la proliferazione, in vitro e in vivo, di cellule sia normali che trasformate. Successivamente, è stato osservato che gli i. inibiscono la mobilità cellulare di fibroblasti o cellule endoteliali, stimolano l'eccitabilità di cellule nervose in coltura, inibiscono o stimolano (a seconda delle dosi e dei sistemi cellulari) l'espressione di antigeni o recettori di membrana, e il differenziamento cellulare. Poiché la maggior parte di questi dati, peraltro molto eterogenei per la diversità dei modelli sperimentali adoperati, è stata ottenuta in vitro, non è finora accertato se questi effetti indotti dagli i. sussistano in condizioni fisiologiche in vivo. Viceversa, gli effetti degli i. sul sistema immunitario sono stati verificati in vivo: così, a seconda delle dosi somministrate, gli i. inibiscono o stimolano la risposta anticorpale verso determinati antigeni, aumentano l'attività delle cosiddette ''cellule citotossiche naturali'' (in inglese cellule natural killers o NK) e attivano la capacità di linfociti e macrofagi di uccidere le cellule tumorali.
Attività antitumorale degli interferoni. − All'inizio degli anni Settanta furono riportati in letteratura i primi dati riguardanti un'attività antitumorale in vitro degli interferoni. Questi dati furono successivamente confermati in vivo verso la fine dello stesso decennio: da allora numerose sono state le ricerche, che però non hanno ancora condotto a un chiarimento del meccanismo con cui gli i. svolgono la loro azione antitumorale. Probabilmente il meccanismo è duplice, l'uno attribuibile a un'azione inibitoria diretta degli i. sulla crescita cellulare, l'altro riconducibile alla stimolazione di diversi fattori endogeni in grado di aggredire il tumore. È proprio quest'ultima caratteristica che distingue gli i. dagli antitumorali classici e che permette d'ipotizzare che la produzione basale di piccole concentrazioni d'i., che si verifica in vivo, possa svolgere un ruolo fondamentale nel controllo della crescita di tumori spontanei.
Possibili applicazioni terapeutiche degli interferoni. − Nonostante che il ruolo fisiologico degli i. sia stato individuato con una certa precisione, molto rimane ancora da chiarire sulle sue possibili applicazioni farmacologiche. Gran parte delle difficoltà, adesso però superate, hanno riguardato le scarse quantità d'i. ottenibili e l'eterogeneità delle preparazioni ottenute. Comunque, è stato finora osservato che come farmaci antivirali gli i. sono in grado di prevenire le malattie respiratorie da virus influenzali e le cheratiti da herpes virus, e possiedono una certa efficacia terapeutica verso le infezioni da virus dell'epatite B. Come antitumorali, gli i. si sono rivelati efficaci in quasi tutti i tumori benigni di origine virale, in associazione agli interventi chirurgici. Una certa efficacia nei confronti di tumori maligni si è riscontrata nel trattamento dei melanomi multipli e di alcune forme rare di leucemia, mentre non si è notato alcun beneficio nella somministrazione d'i. nel trattamento di tumori del polmone e dell'apparato digerente. Si spera però che le aumentate quantità di i. a disposizione (ottenute con tecniche biotecnologiche e d'ingegneria genetica) possano contribuire a determinare con maggior precisione il profilo farmacologico degli i. in relazione soprattutto alle possibili applicazioni terapeutiche come antivirali e antitumorali.
Bibl.: Interferons, a cura di T.C. Merigan e R.M. Friedman, New York 1982; F. Belardinelli, Il sistema interferon, Quaderni di Le Scienze, 22 (1985), pp. 29-35; H. Strander, Interferon treatment of human neoplasia, New York 1986; J.H. Schiller, B. Storer, D.M. Paulnock et al., A direct comparison of biological response modulation and clinical effects by interferon-betaser, interferon-gamma, or the combination of interferons-betaser and gamma in humans, in Journ. Clin. Invest., 86 (1990), pp. 1211-21; C. Grunfeld, D.P. Kotler, J.K. Shigenaga et al., Circulating interferon-α levels and hypertriglyceridemia in the acquired immunodeficiency syndrome, in Am. Journ. Med., 90 (1991), pp. 154-62.