generico, interlocutore
Con l’espressione interlocutore generico si designa, in senso lato, l’interlocutore indeterminato, implicito, non identificato a cui ci si rivolge durante l’enunciazione. A tale uso si ricorre nel discorso per alludere o a un interlocutore qualunque, con cui ciascuno può identificarsi, o a un individuo indeterminato, che non si conosce o non si vuol nominare: tale risorsa serve specialmente per evocare casi generali, formule normative e simili.
Su questa nozione non si hanno tuttora trattazioni sistematiche e, guardando alle più autorevoli grammatiche, si trovano solo cenni in Serianni, a proposito del dativo etico (Serianni 1988: 85, 214, 429) e in Renzi, Salvi & Cardinaletti (1995: 157) riguardo alle frasi iussive.
L’italiano può far riferimento a una persona generica in tre modi.
(a) Con la seconda persona singolare (il cosiddetto tu generico). È questo il caso in cui si può parlare di interlocutore generico in senso stretto. Queste forme si adoperano specialmente in frasi fatte di tipo esclamativo (➔ esclamative, formule):
(1) ma tu guarda quello che mi doveva capitare!
(2) pensa un po’!
(3) pensa tu!
(4) figurati!
Se ne hanno esempi anche nel latino classico e medievale: Sed confecto proelio, tum vero cerneres quanta audacia quantaque animi vis fuisset in exercitu Catilinae (Sallustio 1992: 94) («finita la battaglia, avresti potuto vedere quanto coraggio e valentia ci fossero nell’esercito di Catilina»); Eandem enim conclusionem demonstrat astrologus et naturalis, puta quod terra est rotunda (San Tommaso d’Aquino 1984: 45) («anche l’astrologo naturale dimostra la stessa conclusione: immagina tu che la terra è rotonda»).
Spesso l’interlocutore generico è segnalato dal clitico di seconda persona singolare (➔ dativo etico):
(5) Che ti fanno i bergamaschi? Spediscono a Venezia Lorenzo Torre, un dottore, ma di quelli! (Manzoni 1995: 260)
(6) che ragazza! roba che a vederla te la sposi subito
(7) vado da Maria e chi ti trovo? Antonio!
Talvolta si può trovare anche la seconda persona plurale (in questo caso l’emittente fa riferimento a più destinatari generici):
(8) Oh povero me! vedete se quelle due figuracce dovevano piantarsi sulla mia strada, e prenderla con me! (Manzoni 1995: 19)
Nelle frasi iussive (➔ imperativo) la seconda persona può anche essere sostituita dalla terza, attraverso il passivo o con il si impersonale: che il lavoro sia terminato per domani; si faccia tutto come stabilito (qui potrebbe anche essere incluso l’emittente, nel senso di «facciamo tutto come stabilito»); non accostarsi in curva.
(b) Con la prima persona plurale, per mezzo della quale l’emittente si riferisce implicitamente a sé stesso:
(9) Morremo. Il velo indegno a terra sparto
rifuggirà l’ignudo animo a Dite (Leopardi 1987: 41)
(10) – Vedremo – diceva tra sé: egli pensa alla morosa; ma io penso alla pelle (Manzoni 1995: 24)
(11) supponiamo che la base sia maggiore dell’altezza
Inoltre, sempre per amplificare il grado di genericità, si può ricorrere al si passivante:
(12) Se Renzo si potesse mandare in pace con un bel no, via; ma vorrà delle ragioni; e cosa ho da rispondergli, per amor del cielo? (Manzoni 1995: 19)
Si noti che si potesse mandare in pace vale «io potessi mandare in pace»; o con il si impersonale:
(13) Si ciarlò lunga pezza. Mentr’io stava per congedarmi, tornò Teresa (Foscolo 1995: 15)
(14) Buon giorno Perpetua: io speravo che oggi si sarebbe stati allegri insieme (Manzoni 1995: 28).
(c) Con la terza persona (sarebbe meglio parlare qui di soggetto generico; ➔ soggetto). Il riferimento a una terza persona generica si attua mediante il si impersonale:
(15) Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie (Ungaretti 2009: 125)
(16) in questo ristorante si mangia bene
Come si vede da questi ultimi esempi, occorre distinguere il si impersonale (➔ impersonali, verbi), che si riferisce propriamente a una terza persona, da quello adoperato per riferirsi alla prima.
Altro mezzo per riferirsi a un soggetto generico è l’indefinito uno:
(17) Uno crede che dopo rinasce la vita (Pavese 1962: 128)
(18) se uno non studia, lo bocciano
In italiano antico, per influsso del francese, si poteva trovare l’indefinito on:
(19) Lo non-poter mi turba,
com’on che pinge e sturba
(Jacopo da Lentini in Segre & Ossola 1997: 34).
Foscolo, Ugo (1995), Opere, a cura di F. Gavazzeni, F. Longoni & M.M. Lombardi, Torino, Einaudi-Gallimard, 2 voll., vol. 2° (Prose e saggi).
Leopardi, Giacomo (1987), Poesie e prose, a cura di R. Damiano & M.A. Rigoni; con un saggio di C. Galimberti, Milano, Mondadori, 2 voll., vol. 1º (Poesie).
Manzoni, Alessandro (1995), I Promessi Sposi. Storia della colonna infame, edizione a cura di A. Stella & C. Repossi, Torino, Einaudi-Gallimard.
Pavese, Cesare (1962), Poesie edite e inedite, a cura di I. Calvino, Torino, Einaudi.
Sallustio, Gaio Crispo (1992), De coniuratione Catilinae, a cura di G. Pontiggia, Milano, Mondadori.
San Tommaso d’Aquino (1984), La Somma teologica. Testo latino dell’edizione leonina, traduzione e commento a cura dei Domenicani italiani, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 33 voll., vol. 1º, Esistenza e natura di Dio (1., qq. 1-13).
Ungaretti, Giuseppe (2009), Vita d’un uomo. Tutte le poesie, a cura e con un saggio introduttivo di C. Ossola, Milano, Mondadori.
Virgilio, Publio Marone (1990), Bucoliche, a cura di M. Cavalli, Milano, Mondadori.
Renzi, Lorenzo, Salvi, Giampaolo & Cardinaletti, Anna (a cura di) (1995), Grande grammatica italiana di consultazione, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 3° (Tipi di frasi, deissi, formazione delle parole).
Segre, Cesare & Ossola, Carlo (a cura di) (1997), Antologia della poesia italiana, Torino, Einaudi-Gallimard, 5 voll., vol. 1º (Duecento-Trecento).
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.