INTERMEZZO Scenico
Genere di spettacolo usato, dal sec. XVI aI XVIIII, nel teatro poetico e nel musicale. La presente trattazione concerne le tendenze e le forme degl'intermezzi sei-settecenteschi, mentre cenni sull'intermezzo cinquecentesco, detto di solito "intermedio", e d'indole sua propria, si troveranno nelle voci commedia: Commedia musicale; italia: Musica.
Il carattere mitologico pastorale, proprio dell'intermedio cinquecentesco, continuò a dominare, per poco, quello del secolo seguente. Ciò risulta dalla cronologia degli spettacoli in Bologna, intorno ai quali abbondantemente informa C. Ricci. Benché gl'intermezzi all'Andromeda di G. Giacobbi, 1610 (probabilmente intitolati: Aurora ingannata), siano stati classificati "affatto giocosi", la tendenza comica apparve in quel genere definita soltanto nel 1676. Prima s'ebbero sporadicamente intermezzi nel'13 nel'15, nel'19 (Ulisse e Circe), nel'23 (Europa rapita, Angelica legata, Il trionfo della fama), nel'34 (Apollo e Dafne), in opere regie o in "tragedie di lieto fine". Allorché le opere veneziane, fra le quali quelle di P.F. Cavalli, passarono numerose nei teatri bolognesi, gl'intermezzi diradarono. Fornite com'erano di parti comiche, quelle opere non avevano da offrire altri svaghi agli ascoltatori. È un caso la presenza d'intermezzi di G. B. Liutprando Pocchettini nell'Eliogabalo (1671) dell'Aureli, e di quelli intitolati L'inganno fortunato (1671) di Pietro degli Antoni, e delle Gare di Sdegno, d'Amore e di Gelosia del compositore Petronio Franceschini nel Caligola delirante del Pagliardi. Infine nel 1676, dicemmo, si ritrova, dello stesso Franceschini, nell'Oronte di Menfi, Il giuoco di Pentolino in Menfi, ehe è considerato decisamente intermezzo comico. Con la divulgazione delle opere giovanili di A. Scarlatti, le quali furono o vere e proprie opere comiche oppure melodrammi con personaggi buffi, e di quelle di A. Stradella, nuovamente diradarono gl'intermezzi. Tale genere fu allora coltivato dalle accademie, quelle dei Gelati (1688), degli Instabili (1700 e 1705), come forma di trattenimento privato. "Intermezzi in musica e buon'orchestra... a puro titolo di divertire la principessa di Piombino", apparvero in un Alessandro del 1706 E, due anni dopo, la rappresentazione delle Due regine rivali veniva "decorata" dagl'intermezzi Cintia e Delia. Dunque l'intermezzo serbava finalità edonistica e decorativa. Nello stesso 1708, ecco il titolo di Melissa, che sarà comune a molti intermezzi, nello Scherno degli Dei. Trascorso qualche anno, definitivamente espulse le parti buffe dai melodrammi, spesseggiano i titoli e gli argomenti degl'intermezzi propriamente buffoneschi e comici derivati dal teatro di Molière o dalle commedie regionali, quali La serva astuta nel Lucio Vero (1717), di A. Zeno e G. A. Perti, La preziosa ridicola (1718), Zamberlucco e Palandrana (1723), Pollastrella e Parpagnacco astrologo della Vendetta disarmata dall'amore (1724, F. Passarini e S. M. Buini). Gli argomenti del Giuocatore (nell'Adelaide), e dell'Impresario delle Canarie (1725), sono particolarmente notevoli, quali germi di quelle commedie con satire e caricature di tipi che il sec. XVIII non si stancherà di prediligere. Sono poi sceneggiati proverbî popolareschi come Impegno e danaro fanno il più garbato (1726) e Anco il villano ascende per impegno e danaro al Consolato (1727). Un'altra Serva astuta venne inserita nel Malcomor, "tragichissimo dramma" (sic; 1728). E, undici anni dopo, La serva padrona, certo quella del Pergolesi, già applaudita a S. Giovanni in Persiceto, arrivava a Bologna. La seguivano Lella serva e Schinchiol servitor (1742). Poi fu la volta del Tutore di J. A. Hasse e del Tracollo, certo quello di G. B. Pergolesi (1746). Verso la metà del secolo gl'intermezzi passarono al teatro di prosa; Bacocco giuocatore e Colla mal maritato (1747), Li dispetti amorosi (1749).
Non un solo intermezzo risulta (da L. N. Galvani) rappresentato a Venezia fra il 1637 e il 1700. Ne fecero le veci i balli di pastori, ninfe, contadini, mori, prigioni scatenati, satiri e cacciatori, fino al 1706, quando si videro nel Paride in Ida, di C. Manza e A. B. Coletti, insieme con i balli "d'un pastorello e della Mora", gl'intermezzi Lesbma e Millo. La nuova moda ebbe fortuna. Alcuni personaggi buffi, allontanati dai melodrammi, si davano convegno, sembra, negl'intermezzi; dove pure s' incontravano facete macchiette popolaresche, grotteschi tipi (Blero e Lesba, 1706), avventure tali da svolgersi in tre azioni, come quelle di Melissa schernita, vendicata, contenta, interposte fra i tre atti dell'Amor generoso di F. Gasparini, affidate soltanto a due personaggi. Né scemava l'interesse per la coreografia. Nell'Achille placato di A. Lotti (1707) si videro balli di marinai, donne troiane, nereidi, tritoni, la "mascherata introdotta da gli intermezzi ridicoli" e anche gl'intemmezzi Melissa e Le rovine di Troia. Quante coppie buffonesche nel 1707! Friletta e Chilone, Melissa e Parpagnacco, Catullo e Lardone, Lisetta e Astrobolo. Ben tre intermezzi nei cinque atti dell'Engelberta (1708). E ancora Zamberlucco, Tulipano, ecc. Poi una sosta, durante la quale soltanto i balli rallegravano gli spettatori. Nel 1712 appare Barilotto; e una cantante si associa ai ballerini. Poi ritornano in auge gl'intermezzi: Batto e Lisetta, Alfier Fanfarone, Lisetta e Delfo, Alcea e Gillo. Anche a Venezia i tipi molieriani, La preziosa ridicola (1719), L'avaro (1720), Scannacapone ammalato immaginario (1721), Un bottegaro gentiluomo (1739); soltanto a due cantanti. Anche a Venezia hanno fortuna le satire teatrali: L'impresario delle Canarie (1725), già citato, La cantatrice (1727), sovente ripetute. Una descrizione degl'intermezzi veneziani è tramandata dal Wright, Travels into Italy (I, 1730): "Gli intermezzi, o rappresentazioni intermediate, che i Veneziani eseguono nei loro piccoli teatri fra gli atti, sono molto comici, alla loro maniera, che è un po' volgare, e analoga per ciò alle farse che si vedono nei nostri (inglesi) palcoscenici. Essi ridono, schiamazzano, imitano varî suoni, lo schioccare della frusta, il ritolare delle ruote d'un carro, e tutto in musica. Questi intermezzi sono in recitativo e arie, come le opere. Tali trattenimenti fra gli atti d'un'opera, uguali nella forma ma differenti nel soggetto, interrompono l'unità del componimento, e meglio sarebbe l'eseguirli, come le petites pièces in Francia e le farse in Inghilterra, dopo il dramma serio".
Un particolare accenno è dovuto agl'intermezzi che il Goldoni scrisse dal 1728 o dal 1730, nelle condizioni e con la finalità da lui stesso descritte nei Mémoires, e che ebbero compositori l'Apolloni, A. Maccari e altri mediocri. Non ce ne è pervenuto alcun testo musicale. I primi intermezzi del Goldoni servivano al teatro di prosa, non al melodramma, erano cantati da comici, e, talvolta soltanto recitati, venivano eseguiti nelle repliche della commedia, non già alla sua prima rappresentazione. Altrí intermezzi, verso il 1735, ebbero forse la musica di A. Vivaldi. Gli ultimi, del 1756 e 1760, furono composti da B. Galuppi e da A. Sacchini. In tutto sedici, dei quali uno in veneziano. Negli altri, fondamentalmente in italiano, il veneziano o altri dialetti risuonano qua e là. Fino al 1736 hanno due personaggi, che si travestono anche più volte. S'aggiungono poi due personaggi muti. Quattro personaggi, e uno o due muti, dopo il 1748. Quanto alla posizione delle arie e dei complessi nelle singole scene e negli atti, si notano, nei primi intermezzi, due o tre arie interne, cioè dove esse capitino opportune (non alla fine della scena, secondo la usanza del Metastasio), e un duetto o terzetto dei due o tre personaggi alla chiusa di ciascun atto. Nel Monsieur Petiton, due quartetti finali. Nell'Amante cabala si hanno duetti interni. La vendemmia s'identifica nella struttura con l'opera comica vera e propria.
Riprendendo a considerare gli spettacoli in Venezia, si nota che verso il 1740 gl'intermezzi a due personaggi cedono a quelli a tre o quattro voci; alcuni s'ampliano in tre atti. Dopo un decennio la tradizione degli intermezzi a 2 o più parti, a 2 cantanti, da inserire nelle opere serie o comiche (e in quelle più che in queste), sembra esaurita.
Ormai il "dramma per musica" e il "dramma comico" o "dramma giocoso per musica" (queste le più frequenti denominazioni veneziane), in 3 atti, con la distinzione, esplicita nel libretto, di "personaggi serî" e "buffi" e anche talvolta di "mezzi caratteri", non ricevono alcun concorso estraneo. Raramente si trovano intermezzi, come quello dei Tre gobbi, nella replica del Filosofo di campagna di B. Galuppi del 1756, o La serva bolognese finta alemanna nella Serva scaltra di Giuseppe Scarlatti (figlio di Tommaso) del 1759.
Circa il 1760 l'intermezzo a parecchi personaggi e in due parti passa al servizio della commedia in prosa; così lo stesso Filosofo di campagna e Le stravaganze del caso, a 4 voci, di A. Mazzoni. L'impostore e L'innocenza protetta dal cielo vengono inframezzati nell'Astrologa di N. Piccinni e gli Scherzi d'amore nel Marchese villano del Galuppi. Ma ormai gl'intermezzi sono sempre più raramente inseriti nella commedia in prosa e in quella musicale. Già da un ventennio i balli erano venuti acquistando importanza, sì che i libretti, sia dei melodrammi sia delle opere comiche, curano di menzionarne i nomi degl'inventori e dei ballerini. Inoltre la classifica d'intermezzo, in 3 atti con 6 o 7 personaggi, viene data a vere e proprie opere comiche, p. es. agli Scherzi d'amore di F. Maggiore, ad altri, anonimi, perfino alle Avventure di Ridolfo, cioè alle Vicende della sorte di N. Piccinni, ridotto in 2 atti; poiché soltanto nel numero degli atti, dette "parti", l'intermezzo si distingue dalla commedia, che ne ha tre. Tale classificazione permane immutata nei decennî successivi. Variano poi le denominazioni dell'opera comica, detta dramma giocoso od opera buffa o farsa o farsa con arie. Risorge nel 1784 l'intermezzo con 4 o più personaggi e in 2 parti, ma è rappresentato "dopo la commedia". E sono le ultime apparizioni. Fra l''85 e il'90 domina il dramma giocoso. Nell'ultimo decennio una breve opera comica in un atto, con parecchi personaggi, vien detta farsa giocosa.
Non bene informati dalle cronologie napoletane, sappiamo tuttavia della fortuna che durante il Seicento ebbero al S. Bartolomeo le opere veneziane, le cui parti buffe bastarono probabilmente allo svago degli ascoltatori. Tale ipotesi è confortata dalla notizia che parti buffe furono poi aggiunte, specialmente da un Carlo de Petris, ai melodrammi di fuori, allorché ne erano sprovvisti, per adattarli al gusto napoletano". Infatti parti buffe furono aggiunte all'Arminio (1714) di A. Scarlatti e, da F. Feo, al Lucio Papirio (1717) di S.M. Orlandini. Anche a Napoli gl'intermezzi vennero dapprima costituiti con personaggi che erano stati parti buffe nei melodrammi, o chiamati con i nomi tolti da altre produzioni: in Italia: Lesbina e Milo, già nel Muzio Scevola (1698) di A. Scarlatti; Bacocco era già nel Publio Cornelio Scipione (1722) di L. Vinci; Despina e Niso, Vespetta e Niso s'intitolavano gl'intermezzi di A. Scarlatti inseriti quelli nel suo Amor generoso (1714), questi nel Giove in Argo (1717) di A. Lotti a Dresda. Giunto a Napoli, J.A. Hasse si diede a comporre molti intermezzi, cominciando con quelli della Serva scaltra o La moglie a forza per il suo Tigrane (1723). Dal 1726 al 1735 anche il teatro di prosa si compiacque degli intermezzi musicali. Se è da credere alle lacunose cronologie di F. Florimo, che registra i primi intermezzi soltanto nel 1722 (al S. Bartolomeo), il S. Carlo (dal 1740) non avrebbe ospitato intermezzi. La notizia potrebbe essere ammissibile, considerando che il Teatro de' Fiorentini e il Nuovo erano specialmente dedicati alla commedia musicale. E proprio da musicisti napoletani, fra i quali felicissimo il Pergolesi, vennero impresse alla sostanza degl'intermezzi una coerenza e una sodezza tali che la tradizionale e modesta destinazione nativa e il pregiudizio del genere non costituirono un impaccio al loro divulgarsi in Europa (a Parigi specialmente), come modelli di vere e proprie, se pur ancora rudimentali, opere comiche.
L'uso degl'intermezzi musicali nelle commedie in prosa non disparve in Italia che dopo il Settecento. Il capocomico Medebach eseguiva nel 1780 al Teatro nuovo di Padova "tragedie e intermezzi alternativamente, ballo o intermezzo in musica, perché o con l'uno o con l'altro possa essere intrattenuta la rispettabile udienza". Avrebbe allestito tre o quattro farsette "mercé abilissime voci", scelte fra i comici. E un intermezzo fu L'arrivo del burchiello da Padova a Venezia, "operetta buffa in 2 atti a 5 voci" (1781).