INTERNAZIONALE e internazionalismo
Nel senso più generale questi termini qualificano tutte le relazioni o tendenze ideali o pratiche, che stringano forze individuali o collettive in solidarietà di fini e d'azione, al disopra delle differenze nazionali. Si parla così di rapporti internazionali di fatto e di diritto, privati e pubblici; e si chiama internazionalismo tanto la tendenza economica ad aggruppamenti mondiali (trusts, cartels) del capitalismo, per interessi materiali, non sempre coincidenti e conciliabili con quelli nazionali, quanto l'orientamento politico del cosmopolitismo, dell'umanitarismo e del solidarismo pacifistico, per interessi spirituali universalistici.
Le prime affermazioni di questo spirito intemazionalistico appaiono già nell'età antica; con lo spirito mercantile delle colonie ioniche si accompagna il primo sorgere dell'idea universalistica d'umanità, contro il particolarismo nazionalistico dell'opposizione fra Greci e Barbari; e si concreta nelle rivendicazioni della natura, dell'ἄγραϕος νόμος e del cosmopolitismo di sofisti, cinici e stoici. Ma con il cristianesimo l'idea di umanità si ravviva nell'affermazione della fratellanza fra gli uomini, tutti figli di uno stesso padre divino, e perciò accolti nella cattolicità (universalità) di una stessa chiesa. Modernamente, a questi principî di uguaglianza e di fratellanza la teoria del progresso aggiunge quello di cooperazione solidale; onde, dall'illuminismo del sec. XVIII alle correnti riformatrici del sec. XIX, dall'idealismo di Mazzini al positivismo di Comte e Feuerbach, si svolgono le dottrine dell'umanitarismo o della religione dell'umanità. Nella cooperazione e divisione del lavoro "la vita nazionale è lo strumento; la vita internazionale è il fine" (Mazzini).
Ma nel senso storico più particolare i detti due termini si collegano col presentarsi, durante il secolo XIX, nella storia del proletariato come classe. Nell'atto stesso che l'industria capitalistica (secondo le espressioni del Manifesto dei comunisti) "sfmttando il mercato mondiale ha reso cosmopolitici la produzione e il consumo di tutti i paesi", e sostituito "all'isolamento locale e nazionale... una condizione di interdipendenza" fra le nazioni, la classe lavoratrice viene acquistando la nozione della solidarietà di classe che al disopra dei confini dei singoli stati, stringe i capitalisti da una parte e i proletarî dall'altra, nell'antitesi dei rispettivi fini e interessi. E fin dal 1848 la Lega dei comunisti afferma l'esigenza internazionalistica, associando rappresentanti delle varie nazionalità e lanciando l'appello del Manifesto: "Proletarî di tutti i paesi, unitevi". Tuttavia l'Associazione internazionale dei lavoratori non diventa un fatto compiuto che tra il 1862 (primi incontri fra i delegati operai dei varî paesi a Londra) e il 1864, alla riunione di Londra che approvò l'Indirizzo inaugurale e gli Statuti, poi presentati al primo congresso (Ginevra 1866). Con poche concessioni ai mazziniani (che ben presto si distaccano dall'Internazionale) quei documenti, scritti da Marx, traggono le conclusioni da tre esperienze recenti: parziali conquiste compiute dalle unioni operaie; ripercussioni che la loro disfatta in un paese ha negli altri; esperimento delle cooperative di produzione, che documenta la possibilità di eliminare il salariato. Le conclusioni sono: l'emancipazione degli operai dalla servitù economica (causa di ogni altra) non può essere opera che di loro stessi; richiede la loro cooperazione internazionale e l'opposizione a ogni politica di guerra fra i popoli; esige la pubblica presa di possesso dei mezzi di produzione, e per ciò la conquista del potere politico. Questi concetti, informatori dell'Indirizzo inaugurale, si affermano sempre più nettamente nei preamboli agli statuti e nelle discussioni e deliberazioni dei congressi, da Ginevra (1866) a Losanna (1867), a Bruxelles (1868), a Basilea (1869): il problema della proprietà del suolo e delle macchine è risolto sempre più in senso socialistico; la connessione fra l'azione economica e la politica appare nell'affermazione dello sciopero quale mezzo di lotta, non solo per conquiste salariali e per la formazione della coscienza di classe, ma anche per una decisiva azione proletaria contro la guerra. Ma nel 1870 l'Intemazionale non può impedire la guerra, né nel 1871 la disfatta della Comune di Parigi.
Già il dissidio fra Marx e Bakunin aveva rivelato la mancanza di coesione fra i movimenti operai dei paesi maturi alla tecnica dell'organizzazione (Inghilterra, Francia) e quelli più accessibili a idee di rivolta e aderenti alla bakuniniana Alleanza della democrazia socialista. L'autonomismo federalistico, l'anti-autoritarismo e l'anarchismo collettivistico, che questa oppone all'unitarismo del Consiglio centrale e al comunismo di Marx, rispecchiano divergenze di condizioni storiche e di bisogni: fra il 1871 (conferenza di Londra) e il 1872 (congresso dell'Aia) il dissidio diventa scissione ed espulsione dei bakuniniani. Ma sia l'Internazionale ortodossa, il cui consiglio è trasferito a New York, sia la dissidente, costituita a Saint-mer (1872), agonizzano e muoiono in pochi anni (1876), pur non interrompendosi lo svolgimento del movimento operaio.
Si sviluppa intanto in Germania (fra il'72 e l''80) il partito politico della socialdemocrazia; e più tardi, fra l''80 e l''88, si costituiscono sul suo tipo i partiti socialistici degli altri paesi, distinti dalle leghe operaie (di cooperazione, di mutualità, di resistenza). Da questi partiti politici (che per lo più assumono funzione ispiratrice e direttiva di fronte alle organizzazioni sindacali) si costituisce nel 1889 la Seconda Internazionale, mentre la prima era formata di unioni operaie. Attraverso vicende di persecuzioni e di rispetto da parte dei governi, fra lotte interne di correnti d'intransigenza e di collaborazione, di rivoluzionarismo e di riformismo, questí partiti, fiancheggiati da sempre più forti confederazioni del lavoro, compiono importanti conquiste di legislazione sociale. Ma nell'atto dell'azione politica sono costretti in ogni paese a immedesimarsi concretamente nelle condizioni della vita nazionale, restando l'internazionalismo limitato a sporadici atti pratici di solidarietà con le maggiori lotte economiche (scioperi, ecc.) del proletariato di altri paesi, ovvero confinato nella sfera ideale, senza sboccare in azione pratica: come nelle espressioni di solidarietà spirituale con le lotte politiche dell'uno o dell'altro proletariato nazionale, o nella celebrazione mondiale del 1° maggio, o negli annui congressi, o, dal 1907 in poi, nella discussione dell'assillante problema della guerra. Così, fra una prassi essenzialmente dominata dalla realtà della vita nazionale e un internazionalismo quasi esclusivamente teorico e ideale, lo spirito delle classi lavoratrici dei varî paesi doveva risentire la preponderanza degl'interessi nazionali sugl'internazionali. E lo si vide allo scoppio della guerra mondiale, quando, travolte rapidamente le opposizioni e resistenze ideali del socialismo, che riaffermava le esigenze di solidarietà internazionale dei lavoratori, i socialisti dei paesi belligeranti aderirono in maggioranza alle "unioni sacre" nazionali, riproponendo per il futuro postbellico, anziché per il presente, il problema dell'azione contro la guerra. Il movimento di azione proletaria per una pace immediata, senza annessioni e senza indennità (convegni di Zimmerwald, settembre 1915, e di Kiental, 1916), comincia come azione di minoranze; che tuttavia tendeva a generalizzarsi, quando la piega assunta dalla rivoluzione russa, col colpo di stato di Lenin e del bolscevismo, venne a creare il centro di una nuova Internazionale (la Terza), contro la seconda. Dai rispettivi congressi del 1919 (a Berna in febbraio, a Mosca in marzo) le due Internazionali politiche - socialistica di Amsterdam, comunistica di Mosca - si fronteggiano in lotta aspra, che sembra farsi sempre più irriducibile nei paesi in cui le rispettive organizzazioni sussistono.
Diversa in parte è la condizione sul terreno sindacale. Dal luglio 1919 si è ricostituita ad Amsterdam (e ora trasferita a Berlino) la Federazione sindacale internazionale, ossia l'Internazionale delle unioni operaie o confederazioni del lavoro, che nel 1920 (congresso di Londra) raggiunse la massima potenza, con 24 milioni di organizzati: scesi a 18 nel 1922, per il distacco della federazione americana, ostile all'orientamento socialistico e a ogni rapporto con i sindacati russi; e diminuiti ulteriormente dallo scioglimento dell'italiana confederazione del lavoro. Di fronte a questa Federazione sindacale internazionale, l'Internazionale sindacale rossa di Mosca, che vantava 5 milioni di aderenti nel 1922 e quasi 9, di cui 7 in Russia, nel 1925, non ha tenuto sempre e solo l'atteggiamento di guerra aperta assunto sul terreno politico dal partito comunistico contro il socialdemocratico. Dopo una prima fase di lotta intransigente, con creazione di sindacati rossi obbligati a dipendenza della Terza Internazionale comunistica, essa passò a rendere facoltativa tale dipendenza, a proporre all'altra federazione sindacale un fronte unico, a tentarne la conquista dall'interno, formandovi cellule proprie, invece di contrapporle organizzazioni separate.
Oltre a queste internazionali sindacali vanno ricordate quella anarchica (con meno di un milione di soci) e quella cristiana (con oltre 3 milioni). Quest'ultima, nata dal socialismo cristiano e dall'enciclica Rerum novarum (1891), già prima della guerra aveva il suo segretariato a Colonia e teneva le sue conferenze internazionali, riprese dopo la guerra, dal 1919 (L'Aia) in poi, fissando la sede confederale a Utrecht. Al principio della lotta di classe i sindacati confessionali oppongono il fine della pacificazione sociale, concordando i contratti di lavoro per via di commissioni miste operaie e padronali: tuttavia, nel darsi un'organizzazione internazionale, implicitamente accolgono un concetto di unità del proletariato mondiale come classe. Una negazione di tale concetto si ha solo nel corporativismo fascista, e nelle sue filiazioni, il quale s'impernia invece sul concetto dell'unità della nazione, partecipando tuttavia all'Ufficio internazionale del lavoro, creato dai trattati di pace.
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