Abstract
Oggetto quotidiano di dibattito pubblico, su rilevanti e diversissime questioni – dal controllo dei contenuti alle infrastrutture, dalla circolazione incontrollata dei dati personali fino ai rischi di un potere pubblico censorio – “la rete delle reti” è poco analizzata, in ambito giuridico, sul piano del suo sistema di governo e di regolazione.
Per approdare a quest’ultima, occorre mettere da parte le analisi sul piano dei contenuti e risalire la china, verso il suo più alto e originario momento. Quest’ultimo attiene alla tecnica di trasmissione dei dati e alla architettura della rete, ossia alle sue componenti primarie, che sono alla base dello sviluppo della Internet che conosciamo oggi. Sono queste componenti ad aver consentito la circolazione di una quantità di dati senza precedenti nella Storia. Su di esse è stato istituito e si è consolidato un vero e proprio “sistema di governo”, imperniato su un nuovo assetto istituzionale. In questo innovativo – e ormai consolidato – contesto, il diritto internazionale è silente, nonostante il mezzo abbia una estensione e una rilevanza mondiali; è il diritto amministrativo a giocare un ruolo primario e a plasmare un autonomo sistema di regolazione, con una applicazione altamente significativa dei suoi principali istituti.
Nel 1969, alcune semplici lettere dell’alfabeto, digitate su un computer, apparvero simultaneamente su uno schermo diverso, posto a diverse miglia di distanza. Ogni anno, a ottobre, se ne celebra la ricorrenza. Quelle lettere rappresentarono l’inizio di Internet. Un inizio complicato, poiché la trasmissione si interruppe alla quarta lettera. Se compariamo quel piccolo passo con la realtà attuale, ci rendiamo conto di come i progressi siano stati inimmaginabili.
La natura di Internet è squisitamente tecnica. Ad essa, però, si sovrappongono aspetti di sicuro rilievo giuridico, che sono alla base del suo funzionamento: dalla tutela di libertà fondamentali, alla assegnazione di risorse scarse, fino a specifiche tematiche istituzionali.
Per orientarsi in questo mare sconfinato, il primo passo da compiere è ricercare gli elementi primari, che attengono alla sua essenza. Scoperto questo forziere nascosto, si apriranno, agli occhi del ricercatore, le sue vaste ricadute, che spaziano dalla adozione di regole tecniche alla presenza di enti innovativi, dalle controversie tra singoli ai conflitti tra giurisdizioni. Un potere di fatto, affermatosi unilateralmente, controlla le componenti di base e per questo è in grado di condizionare l’attività di altri soggetti. Un vero e proprio “sistema di governo”, cui si rivolgerà l’attenzione per comprendere come ne scaturisca una regolazione amministrativa e come, più in generale, si assista al ricorso costante a strumenti e tecniche di diritto amministrativo – che, in questo come altri settori, sono al centro dei fenomeni tecnici ed economici della cd. globalizzazione.
L’essenza di Internet risiede nel sistema di commutazione di dati a pacchetto (packet data switching). È una tecnica di trasmissione che fa dialogare più reti locali (il nome stesso di Internet è l’abbreviazione di Inter-networking). Introdotta dopo un decennio di studio sui sistemi di comunicazione complessi, questa tecnica scompone le informazioni al momento dell’invio, consentendo loro di viaggiare separatamente usando strade (informatiche) diverse, e di ricongiungersi all’arrivo. È un sistema decentrato, pensato per operare in ogni condizione: nacque con preoccupazioni militari. Da tale impostazione discende una conseguenza fondamentale: quanto avviene durante il percorso non è rilevante: la tecnica di trasmissione prende di mira solamente i punti iniziale e finale («end-to-end principle»). Alla base, un “protocollo” costruito a strati ha assicurato la diffusione della tecnica, connettendo apparati e sistemi diversi. Denominato Tcp/Ip e sviluppato de facto nel 1973 da Vinton Cerf e Bob Kahn, la funzione del protocollo è rendere compatibili le informazioni: ancora oggi è un elemento essenziale per Internet. Le sue progressive estensioni sono alla base delle applicazioni correntemente utilizzate. Sebbene non siano mancate critiche - soprattutto da parte di chi favoriva un protocollo sviluppato de jure e a livello internazionale, l’Osi - grazie al Tcp/Ip Internet, ancora oggi, assicura capacità comunicative straordinarie.
Sul piano infrastrutturale, mentre inizialmente vi erano infrastrutture “chiuse” appositamente dedicate (Arpanet, Milnet, Nsfnet), in seguito si è registrato un passaggio alle reti tradizionali e “aperte” di comunicazioni elettroniche. La tecnica di fondo, però, resta autonoma: «information services and telecommunications services really are different» (Ehrlich, E., A Brief History of Internet Regulation, Ppi Paper, 2014, 3).
In un mezzo così decentrato, vi è un accorgimento tecnico ideato per creare un ordine, rendendo la galassia di Internet una «orderly anarchy» (Froomkin, M. Habermas@Discourse. Net: Toward a Critical Theory of Cyberspace, in 116 Harvard Law Review, 2003, 3, 749 ss.). Le strade informatiche dei dati trasmessi con il sistema di commutazione dei dati a pacchetto non sono definite a priori; le informazioni circolano seguendo il percorso migliore nel preciso momento in cui vengono inviate. È fondamentale, dunque, avere un “indirizzo” da raggiungere. Questo indirizzo deve essere unico, per evitare errori.
Questa funzione è svolta dagli indirizzi Ip (Internet protocols), che identificano un apparato connesso attribuendo una serie di quattro numeri (compresi tra 1 e 255) divisi da un punto: ad esempio, 157.150.185.49. Oggi, questo sistema binario (denominato Ipv4) è stato reso esadecimale,per consentire maggiori possibilità di numerazione (le precedenti, infatti, si stavano esaurendo). Denominato Ipv6, esso associa risorse numeriche molto più estese: così, il numero citato diviene 0:0:0:0:0:ffff:9d96:b931.
Il sistema dei nomi a dominio (Domain Names System, Dns) facilita l’uso delle serie numeriche. Traduce, infatti, i numeri in parole di senso compiuto, semplificando l’uso quotidiano di chi ricorre alla rete. Nell’esempio riportato, 0:0:0:0:0:ffff:9d96:b931 diviene www.un.org. Come è facile intuire, il Dns è stato fondamentale per la progressiva espansione del mezzo.
I nomi a dominio sono divisi in livelli: il primo corrisponde alla sigla posta a destra (nell’esempio fatto, “.org”). Il secondo livello si trova immediatamente a sinistra ed è il nome scelto per un particolare sito (“un”, che sta per Nazioni unite). A seguire, di norma, si trova il sistema utilizzato per la connessione delle informazioni, il “www” (World wide web, di cui è stato inventore Tim Berners Lee nel 1989).
Mentre il primo livello è indisponibile, il secondo corrisponde alla scelta del titolare del nome, da effettuare nel rispetto di diritti dei terzi. L’indisponibilità del primo livello rivela un sistema chiuso: il numero dei relativi nomi è predefinito e non può essere liberamente aumentato. Il loro elenco (e il relativo numero) sono contenuti in un server definito autoritativo (A Root Server). L’elenco è poi copiato su altri server, che lo diffondono su scala mondiale: a essi si fa riferimento quando si ricercano informazioni sul web.
La tecnica di trasmissione dei dati, la numerazione e il sistema dei nomi a dominio sono l’asse portante di Internet. Chi governa questi fattori, governa anche la rete.
Solo un soggetto è legittimato a modificare l’elenco dei nomi a dominio di primo livello. È lecito domandarsi come sia possibile, su un mezzo diffuso globalmente. L’origine è storica: Internet è nata negli Stati Uniti. Anche l’ideazione del Dns è avvenuta in quello Stato. Un ente unipersonale, privo di personalità giuridica, la Internet Assigned Names and Numbers (Iana, fondata dal “padre” del sistema, Jon Postel), aveva iniziato a definire i nomi di primo livello negli anni Ottanta. Allora, furono create poche categorie (oltre a quella citata, “.edu” per i siti educativi, e alcune altre). Furono introdotte le sigle per gli Stati nazionali, ricorrendo allo standard Iso-3166 dell’International Organization for Standardization (Iso). Di qui la distinzione tra nomi generici e nomi nazionali, come il “.it” o il “.au”, cui i governi rivolgono particolare attenzione.
Negli anni Novanta, è iniziata una espansione incessante della “rete delle reti”, con l’aumento esponenziale delle informazioni circolanti e del numero delle connessioni, sia nazionali che internazionali (l’Italia, attraverso il centro di Pisa, si è connessa per la prima volta nel 1986). Perse le finalità militari, consolidate quelle scientifiche, sono state scoperte quelle comunicative e commerciali. I nomi a dominio hanno esaltato queste potenzialità. Gli operatori hanno iniziato a comprendere l’importanza di avere un proprio spazio e un proprio nome in Internet, per essere riconosciuti anche nel mondo virtuale. Per tale ragione le registrazioni dei nomi a dominio hanno acquisito un valore economico notevole, dando vita a un fiorente mercato (Mueller, M.L. Ruling the root, Internet governance and the Taming of Cyberspace, Sabon, 2002, 142 ss.).
Questi fattori hanno posto il problema di un “governo” di settore, preposto allo sviluppo unitario di un mezzo di comunicazione - ormai - senza confini. Ne è emerso un “conflitto” tra gruppi di esperti (Internet Ad-Hoc Committee, 1996-97), organizzazioni internazionali e governi. Ha prevalso il governo statunitense che, almeno nella forma, si è riservato solamente un ruolo indiretto, limitandosi all’individuazione degli obiettivi del settore.
Questi ultimi sono stati realizzati da una public benefit not-for-profit corporation, istituita in California: la Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (Icann), che ha raccolto le funzioni della Iana e ha iniziato a operare nel 1998, sulla base di un “contratto” siglato con il Department of Commerce statunitense.
L’Icann svolge sostanzialmente tre funzioni, in qualche modo anticipate: di standardizzazione, di assegnazione di risorse scarse, di gestione dei nomi a dominio. La prima attiene all’evoluzione della rete e all’introduzione di nuovi parametri tecnici. La seconda, alla gestione degli indirizzi Ip, attraverso la loro assegnazione a cinque associazioni “regionali” (una per ogni continente: Afrinic, Apnic, Arin, Lacnic, Ripe Ncc), che a loro volta le distribuiscono all’interno della loro zona. La terza funzione è relativa alla tenuta e allo sviluppo del Dns.
È l’Icann a tenere il citato elenco dei nomi di primo livello. Lo fa in cooperazione con l’amministrazione federale (il Department of Commerce, Doc) e con una società commerciale, la Verizon (già Network Solutions Inc.) – che è stata la prima a operare nel mercato delle registrazioni dei nomi (con la notissima desinenza “.com”) e che oggi è uno dei principali operatori statunitensi.
L’Icann promuove la concorrenza nel sistema dei nomi, tramite una precisa articolazione organizzativa. Da un lato, i registri (registry) assicurano il mantenimento tecnico dei nomi di primo livello; dall’altro lato, i conservatori del registro (registrar) prestano servizi all’utenza, effettuando le registrazioni a pagamento dei nomi di secondo. La public benefit corporation sovrintende e assicura la tenuta del Dns, ma non può esercitare direttamente queste funzioni: sono i registri e i conservatori a svolgerle, previa stipula un accordo con l’ente per entrare nel settore.
L’ente ha introdotto anche un sistema alternativo di soluzione delle controversie sui nomi. Questo è definito da una policy redatta congiuntamente con la World Intellectual Property Organization (Wipo), denominata Uniform Dispute Resolution Policy (Udrp). Inizialmente mutuata dalla legislazione e dalla giurisprudenza nordamericana sulla tutela della proprietà intellettuale, la policy ha introdotto una procedura celere e specializzata, che mira ad assicurare decisioni univoche per una risorsa globale - e uniforme - come i nomi a dominio (per un’analisi estesa delle origini del sistema, dei suoi tratti e delle controversie più rilevanti, sia consentito rimandare a quanto scritto in Carotti, B., Il sistema di governo di Internet, 2016, 184 ss.). L’Udrp è obbligatoria per i nomi a dominio di primo livello generici, mentre è facoltativa per quelli nazionali; in alcuni casi, ha aperto la strada a procedure ulteriori (come avviene per il nome europeo, “.eu”). Criticata per il suo approccio, per alcuni sbilanciato a favore dei grandi operatori (Mueller, M.L., Rough Justice: A Statistical Assessment of Icann’s Uniform Dispute Resolution Policy, in 17 The Information Society, 2001, 3, 151 ss.; contra, Kesan, J.P., Gallo, A., The Market For Private Dispute Resolution Services – An Empirical Re-Assessment Of Icann-Udrp Performance, in 11 Michigan Telecommunications And Technology Law Review, 2005, 285 ss.), l’Udrp ha offerto un rimedio celere e poco oneroso per controversie di singolare natura come quelle sui nomi a dominio. Non sono mancati casi di contrasto tra le varie decisioni, anche per il carattere non giurisdizionale della procedura, che lascia impregiudicato l’esercizio del diritto di difesa dinanzi ai giudici nazionali (art. 4, lett. k), Udrp).
Un problema di legittimazione ha sempre caratterizzato l’Icann. Esso è originato dalla decisione unilaterale degli Stati Uniti di istituire l’ente nella propria giurisdizione. L’influenza governativa risiedeva in un atto sostanzialmente concessorio (prima come Memorandum of Understanding, poi come Affirmation of Commitments), con cui l’amministrazione americana, per quasi vent’anni (1998-2016), ha determinato gli obiettivi generali del settore (Weinberg, J., Icann and the Problem of Legitimacy, in 50 Duke Law Journal, 2000, 1, 187 ss.; Frankel, T., The Managing Lawmaker In Cyberspace: A Power Model, in 27 Brooklyn Journal of International Law, 2002, 849 ss., spec. 872; Mueller, M.L. Ruling the Root, cit., passim). Il tema è finito anche sul tavolo delle Nazioni Unite: nel corso del World Summit on Information Society (2003-2005), uno specifico comitato, il Working Group on Internet Governance (Wgig) ha stilato un rapporto con quattro ipotesi di riforma. Nessuna è stata approvata, ma da allora si tiene ogni anno un Internet Governance Forum (Igf) in cui sono discussi i temi e i problemi più attuali che riguardano la rete.
Ancora oggi, dunque, vi è uno iato. Se è vero che “the Internet cannot be regulated in a top-down manner, but its governance should be based on processes that are inclusive and driven by consensus” (Ietf, Internet governance, su https://www.internetsociety.org), non possono tuttavia negarsi i perduranti ostacoli nella corsa verso un simile obiettivo. Questo vale anche a seguito del processo definito Iana transition, sviluppato nel 2014 e terminato nel 2016 dopo una vastissima consultazione pubblica mondiale, con cui l’amministrazione statunitense ha rinunciato alla originaria prerogativa (v. quanto scritto supra) di dettare gli obiettivi del settore e ha affidato i relativi poteri direttamente alla comunità degli stakeholder. Sebbene tale processo sia da salutare con favore, non può non notarsi come esso sia ancora una volta frutto di una decisione unilaterale – come dimostra anche il fatto che la valutazione del processo è stata compiuta dalla National Telecommunications and Information Administration (Ntia).
Su un piano ricostruttivo, emerge il ruolo silente del diritto internazionale, testimoniato anche dal mancato intervento dell’Onu. Non si segue la strada di un’organizzazione internazionale o, comunque, di un trattato multilaterale, ma si dà vita a una istituzione peculiare, originale, di rilevanza globale. Questo aspetto conferma che «the digital environment is one of the areas in contemporary society where political conflicts are unsettling long-standing balances in power relationships, both between and within state, market and civil society» (Tréguer, F., Gaps and Bumps in the Political History of the Internet, in 6 Internet Policy Review, 2017, n. 4).
Il settore, in altri termini, è stato oggetto di tentativi di “appropriazione” (lo si ricorda, tra gruppi di tecnici ed esperti, governi, privati), che hanno rivelato una sottostante questione di potere (Frankel., T, The Managing Lawmaker in Cyberspace: A New Power Model, 34 Brooklyn Law Review, 2002, 859); un processo di estremo rilievo, che si è concluso con la definizione di un “sistema di governo” settoriale. Quest’ultimo, instaurato di fatto, è stato poi legittimato attraverso il progressivo e crescente ricorso a istituti amministrativi (lo si vedrà a breve). Il caso, pertanto, mostra un latente - e perdurante - conflitto di fondo tra poteri pubblici e soggetti privati, tra neutralità tecnica e posizioni specifiche: nella globalizzazione del settore, gli interessi in gioco, necessariamente di parte, determinano le scelte istituzionali e regolatorie (Ferrara, L., Individuo e potere. In un giuoco di specchi, in Dir. pubb., 2016, 11 ss.).
Di fronte all’assenza del diritto internazionale, rilevata in precedenza, vi è l’ascesa del diritto amministrativo. La ricerca di legittimazione dell’ente, infatti, ha indotto a ricorrere ad altri meccanismi, sul piano organizzativo e procedurale.
Sul piano organizzativo, sono stati nel tempo introdotti alcuni accorgimenti. La struttura dell’Icann prevede un Consiglio dei direttori, con poteri decisori, coadiuvato da comitati consultivi e organizzazioni di supporto. Queste ultime dovrebbero costituire il cuore dell’expertise del settore, per consentire alle voci dei tecnici di dettare l’agenda settoriale in modo neutrale, a beneficio dell’umanità. Nella prassi, tuttavia, da un lato è diminuito il peso del pubblico (il cui organismo di rappresentanza ha perso progressivamente quota). Dall’altro, è aumentato quello delle componenti politiche, soprattutto per la presenza di un comitato governativo (Governmental Advisory Committee, Gac), a carattere consultivo, ma con prerogative speciali. I governi sono puntualmente rappresentati all’interno della corporation, generando un organismo ibrido, che presenta innesti pubblicistici su una base privatistica. Ciò conferma che nella dialettica legata alla globalizzazione, lo Stato nazionale non scompare affatto, ma modifica il suo intervento. Gli Stati non sono intervenuti nel momento genetico, ma nella sua dinamica funzionale; nondimeno, hanno puntualmente condizionato l’ente, con decisioni dal sapore poco tecnico e molto politico. Vi è, quindi, una rinascita dello Stato, il cui effetto è di rendere l’Icann un ente «very politicized» (Cavelty, M. D., Krishna-Hensel, S.F., Mauer, V., a cura di, The Resurgence of the State: Trends and Processes in Cyberspace Governance, Farnham, 20152, 143).
Sul piano procedurale, si osserva l’applicazione estesa di istituti di diritto amministrativo. Il maggiore esempio è dato dalla partecipazione: mutuando la procedura di notice and comment dell’Administrative Procedure Act, lo statuto dell’ente sancisce l’obbligo di sottoporre a consultazione pubblica le proposte di decisioni con un impatto significativo (art. 3.6 delle Bylaws dell’Icann). La partecipazione è applicata anche in materia di finanziamento dell’ente a carico degli operatori.
Alcuni meccanismi ricordano, poi, i rimedi giustiziali. Il Board Governance Commitee, organismo interno composto da una parte del Consiglio direttivo, esamina le richieste di revisione delle decisioni, o del silenzio serbato sulle istanze dei singoli. Una verifica di “legittimità” può essere svolta anche da soggetti terzi e imparziali, previamente accreditati. Vi è altresì un’Ombudsman, che si pronuncia sui reclami contro le decisioni dell’ente, vigila sulla trasparenza e sull’accesso alle informazioni, e redige una relazione annuale sull’attività svolta (art. IV e V, Bylaws; si v. https://www.icann.org/resources/pages/mechanisms-2014-03-20-en).
I rimedi descritti producono un valore sussidiario dell’accountability e sono stati ideati per compensare la carenza di legittimazione sostanziale. Il loro utilizzo presenta, altresì, una valenza generale, in quanto conferma come la globalizzazione poggi sulle gambe del diritto amministrativo. Gli istituti cui si fa ricorso riproducono gli istituti nazionali, ma sono funzionalmente orientati a soddisfare interessi di maggiore latitudine. È quanto avviene con la partecipazione, mutuata dalla disciplina nazionale ma estesa su scala mondiale. In questo senso, il mezzo condiziona l’estensione delle regole. Il frequentissimo ricorso ai suddetti istituti permette, di conseguenza, di saggiare la consistenza teorica di diverse ricostruzioni, nel confronto tra gli istituti tradizionali e la loro nuova collocazione teorica.
L’Icann, come visto, è al centro del settore: supera un assetto di governance, per configurare un vero e proprio sistema di governo. Nell’esercizio dei suoi compiti, svolge una funzione pubblica, così qualificabile per la latitudine del mezzo e degli interessi. Questa funzione è regolatoria, con tratti amministrativi, in base all’elevato tecnicismo delle decisioni e all’adozione di atti a carattere generale. Allo stesso tempo, l’ente dètta indirizzi generali, che sono in grado di condizionare lo sviluppo del mezzo e incidere sulle situazioni soggettive dei privati. In altri termini, la funzione svolta non presenta un valore meramente tecnico, di “semplice” standard setting, o di coordinamento: l’ente “regola” Internet e ne condiziona l’evoluzione, dettando altresì linee di indirizzo, attraverso vere e proprie policy.
Qualche esempio conferma questa conclusione. Una delle maggiori critiche rivolte all’ente ha riguardato la resistenza a introdurre nuovi nomi a dominio di primo livello: il loro aumento amplia le possibilità di operare nel mercato (con più nomi vi è spazio per più operatori) e i freni alla loro espansione possono risuonare come una forma di protezionismo delle posizioni consolidate. Solo nel 2011 l’Icann ha “liberalizzato” i nomi, introducendo via via nuovi nomi: a breve, ne saranno introdotti 1900, a valle di un processo altamente complesso. La stessa cosa è avvenuta con il sistema numerico: l’Ipv6 (prima descritto) era pronto a fine anni Novanta e la sua lenta introduzione non è stata causata da ragioni tecniche, ma da scelte di indirizzo “politico”.
Nel suo concreto operare, la regolazione dell’Icann non necessita di attuazione nazionale. Le regole sono direttamente applicate in ogni ordinamento: la loro uniformità non ammette diversificazioni, se non quelle tecnicamente compatibili. In alcuni casi, peraltro, vi è una maggiore stratificazione, come avvenuto con il nome a dominio “.eu”, mediato da atti normativi dell’Unione europea (i regolamenti n. 733/2002 e 874/2004). A essere condizionati, peraltro, non sono solo i privati (come i soggetti che forniscono servizi di registrazione dei domini), ma anche i pubblici poteri. Il caso della Commissione europea, in questo senso, è indicativo della capacità dell’Icann di condizionare il settore: solo con la sua delega l’Unione ha ottenuto il “proprio” nome a dominio, che altrimenti non poteva essere introdotto né utilizzato.
In un mezzo che attraversa i confini nazionali, inoltre, i conflitti tra giurisdizioni sono facilmente osservabili. Un esempio evidente è quello della privacy. In una policy recente, l’Icann ha definito un livello di protezione adeguato dei dati personali. Quando si registra un nome a dominio, occorre rilasciare alcune informazioni e renderle accessibili, al fine di poter essere rintracciati in caso di problemi o di conflitti con diritti di terzi (Whois service). Questa forma di trasparenza è incompatibile con alcuni ordinamenti nazionali: la ricerca di meccanismi di contemperamento delle diverse esigenze ha richiesto più di dieci anni. Solo lo scorso anno, infatti, la policy sulla privacy è stata definitivamente approvata (Whois Conflicts with Privacy Laws). Oggi, peraltro, è di nuovo in discussione, in quanto l’imminente entrata in vigore del Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (il Regolamento UE 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016) ha imposto una riflessione sul suo funzionamento. In un primo momento, l’’ente ha manifestato l’intenzione di oscurare i dati relativi a soggetti cui la normativa europea risulterà applicabile. Successivamente, a valle di numerosi rilievi, l’ente ha avviato uno scambio di vedute con le autorità europee di protezione dai dati, al fine di aiutare l’ente stesso a trovare una soluzione adeguata (“Icann asks the authorities to help Icann and the domain name registries and registrars to maintain the global Whois in its current form, through either clarification of the Gdpr, a moratorium on enforcement or other relevant actions, until a revised Whois policy that balances these critical public interest perspectives may be developed and implemented”: si v. Icann Requests Dpa Guidance On Proposed Interim Model for Gdpr Compliance). Segno, al di là delle contingenze, che i dislivelli regolatori e il confronto tra una risorsa unica come i nomi a dominio e la persistenza di regolazioni nazionali o regionali genera una costante esigenza di trovare soluzioni adeguate, che non sono aprioristicamente definibili.
Il sistema di regolazione mostra aspetti di differenziazione e autonomia: basato sulla presenza di elementi normativi, istituzionali e soggettivi, mostra i caratteri di un ordinamento sezionale, ma con i segni più evolutivi dei regimi regolatori internazionali; tratti unitari lo rendono coeso, pur senza pretese, positivistiche o idealistiche, di esaustività e coerenza interna (Koskenniemi, M., Constitutionalism as Mindset: Reflections on Kantian The- mes About International Law and Globalisation, Theoretically Inquires in Law, vol. 8, 2007, 9 ss.). Esso concerne i presupposti della tecnica di trasmissione: per questo, si differenzia dalle prestazioni che attengono al piano dei servizi. È però la tecnica che giace al fondo di Internet a costituire la base dei nuovi servizi (anche da parte delle amministrazioni pubbliche: dai pagamenti elettronici alla ostensione di documenti fino alle domande di partecipazione ai concorsi).
Alcuni sostengono che, oggi, i nomi a dominio non siano più centrali nello sviluppo di Internet, altre essendo le priorità dello scenario digitale e della sua governance complessiva – nella quale rientrano altri soggetti istituzionali, dall’Itu alla Wipo, gli stessi giganti del web o altri innovatori, che stanno rivoluzionando la tecnologia, le sue applicazioni e, in senso maggiormente tecnico, alcuni strati dei protocolli. La tesi, però, non convince. Discusso a lungo dalla letteratura, il sistema dei nomi a dominio continua ad essere centrale in Internet. Secondo la tesi qui sostenuta, esso determina un vero e proprio sistema di governo, in cui si scorge un forte rapporto tra pubblico potere, privati e interessi diversificati, anche confliggenti tra loro. Una conferma della sua centralità si può osservare, tra l’altro, in due interventi del Consiglio d’Europa, il quale ha affermato che l’utilizzo dei “nuovi” nomi a dominio di primo livello (i 1900 nuovi nomi previsti dal processo di apertura) è essenziale per una piena assicurazione della libertà di espressione. I nomi a dominio esulano dall’ambito meramente tecnico, per incidere su interessi generali (Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, Declaration of the Committee of Ministers On Icann, Human Rights And The Rule Of Law, del 3 giugno 2015, (1229th Meeting of the Ministers’ Deputies), disponibile all’indirizzo www.coe.int).
La centralità del tema è osservabile anche in alcuni tratti evolutivi, che collegano la storia del mezzo, e la sua regolazione, alle prospettive future. È quanto avviene con il menzionato «end to end principle»: è proprio tale principio a trovarsi alla base del principio di neutralità, perché implica l’assenza di controllo nel momento in cui le informazioni sono spacchettate e inviate (punti di partenza e arrivo). Questo principio dovrebbe essere tenuto bene a mente nel dibattito attuale sulla net neutrality, mentre viene spesso dimenticato (si v. il monito di Vinton Cerf, il padre del protocollo Tcp/Ip, che ha ricordato come le «permissionless innovation» siano state possibili solo grazie a una rete aperta). Internet è nata e si è sviluppata con questo principio: abbandonarlo potrebbe produrre seri rischi per il suo funzionamento. Oggi, dopo un periodo in cui sembrava essersi risolta (con le decisioni della Federal Communications Commission del 2015), la problematica è nuovamente messa in discussione, con decisioni di senso diametralmente opposto (cui peraltro alcuni Stati si stanno opponendo). Le sorti di questo principio, attualmente sovvertito, saranno fondamentali nel disegnare l’uso della tecnologia in termini sociali e politici.
Sullo sfondo, resta un conflitto latente tra la tendenza all’uniformità (dovuta alla globalità del mezzo) e la impossibilità di cancellare le singole realtà nazionali (ove i governi cercano di imporre la propria voce). Un mezzo di comunicazione come Internet, in origine considerato privo di controlli, non è più tale (Barlow, J.P., A Declaration of independence of Cyberspace, 1996, su www.eff.org). Anzi, in modo quasi paradossale, mostra oggi una capacità pervasiva inversa, che si realizza nella possibilità di intrusione e monitoraggio, senza precedenti, delle sfere private dei singoli.
Controllarne i presidi decisori proprio a partire dal versante tecnico è, in conclusione, un’esigenza sempre più vitale.
Fonti normative
Icann Bylaws, 22 giugno 2017; Uniform Domain-Name Dispute-Resolution Policy, 26 agosto 1999; Administrative Procedure Act(Apa), 11 giugno 1946; Reg. (Ce) n. 733/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 aprile 2002, relativo alla messa in opera del dominio di primo livello .eu; Reg. (Ce) n. 874/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 aprile 2004, che stabilisce le disposizioni applicabili alla messa in opera e alle funzioni del dominio di primo livello .eu e i principi relativi alla registrazione; Art. 15, co. 6, d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, recante Codice delle comunicazioni elettroniche; Reg. (Ue) n. 679/2016 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/Ce (regolamento generale sulla protezione dei dati - Gdpr).
Bibliografia essenziale
Baran, P., On Distributed Communications, Santa Monica, 1964; Brownsword, R.-Scotford, E.-Yeung, K. (a cura di), The Oxford Handbook of Law, Regulation and Technology, Oxford, 2017; Carotti, B., Il sistema di governo di Internet, Milano, 2016; Cassese, S., eds., Research Handbook on Global Administrative Law, Cheltenham, 2016;Cavelty, M. D.-Krishna-Hensel, S.F.-Mauer, V. (a cura di), The Resurgence of the State: Trends and Processes in Cyberspace Governance, Farnham, 20152; Curran, J.-Fenton N.-Freedman, D., Misunderstanding the Internet, Abingdon, 2016; De Nardis, L., The Global War for Internet Governance, New Haven, 2014; Froomkin, M. Habermas@Discourse. Net: Toward a Critical Theory of Cyberspace, in 116 Harvard Law Review, 2003, n. 3, 749 ss.; Koskenniemi, M., Constitutionalism as Mindset: Reflections on Kantian Themes About International Law and Globalisation, in 8 Theoretically Inquires in Law, 2007, 9 ss.; Mueller, M.L. Ruling the Root. Internet governance and the Taming of Cyberspace, Sabon, 2002; Mueller, M.L. Will the Internet Fragment?: Sovereignty, Globalization and Cyberspace, Hoboken, 2017; Otranto, P., Internet nell’organizzazione rete amministrativa: reti di libertà, Bari, 2015; Weinberg, J., Icann and the Problem of Legitimacy, in 50 Duke Law Journal, 2000, n. 1, 187 ss.
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