Internet e censura
Ìnternet e censura. – L’impatto fortissimo avuto dal web sulla comunicazione ha dischiuso opportunità di contatto, d’informazione e di scambio prima inimmaginabili: in tutte le democrazie la partecipazione politica dal basso, su iniziativa dei cittadini, ha ricevuto nuovo impulso grazie alla rete, che ha permesso di promuovere iniziative di protesta, appelli e movimenti politici spontanei su base locale o nazionale. L’informazione libera e indipendente ha allargato i suoi confini, arricchita di contributi da ogni angolo del pianeta messi a disposizione di tutti sul web: nel giugno 2009, riprese da un telefono cellulare, hanno fatto il giro del mondo le immagini drammatiche degli ultimi istanti di vita di una giovane studentessa iraniana, Nedā Āghā Sulṭān, uccisa da un cecchino mentre marciava pacificamente nelle strade di Teheran per protestare contro il regime. Milioni di individui, via Internet, sono stati testimoni della sua morte, divenuta un bruciante atto d’accusa per il presidente M. Ahmadinejad. Repressa brutalmente, la protesta dei giovani iraniani ha invaso il web cercando di sfuggire all’oscuramento di YouTube e di molti siti dell’opposizione attuato dal regime: è stato Twitter, in partic., grazie all’estrema facilità e immediatezza di utilizzo, a raccogliere i disperati appelli di aiuto e a propagare le ragioni di quanti erano scesi nelle piazze. Da allora la sorveglianza del governo iraniano sulla rete si è fatta sempre più stretta e sofisticata: software di filtraggio per negare l’accesso ai siti indesiderati, rallentamenti dei social network, episodi circoscritti di oscuramento totale di Internet. Nel corso del 2011, nei paesi arabi in rivolta, sono state sfruttate al massimo le potenzialità del web: attivisti in piazza e sulla rete, i bloggers egiziani, tunisini, siriani, yemeniti sono stati perseguitati, arrestati e uccisi, ma con la loro azione hanno tenuto informato il mondo in tempo reale di quanto avveniva nelle strade e nelle piazze. Alcuni analisti hanno scritto che Facebook è stato un alleato prezioso per i rivoluzionari egiziani che lo hanno usato per diffondere date, luoghi e orari delle proteste. Non va dimenticato, tuttavia, che è stata la presenza di milioni di persone nelle strade a decretare il successo della rivoluzione in Tunisia e in Egitto: quando nella notte del 27 gennaio 2011, con un’azione senza precedenti, il presidente egiziano H. Mubarak ordinava il blackout di Internet nel Paese riducendo quasi al silenzio la realtà virtuale della protesta, questa ha continuato a dilagare inarrestabile nelle strade fino al crollo del regime. Analoghe drastiche misure di controllo sono state adottate per periodi di tempo limitati in Nepal, Arabia Saudita, Yemen, Bahrein, Cuba; altri regimi, invece, hanno optato per una censura preventiva, ostacolando la diffusione stessa di Internet nei loro territori: per es., la Corea del Nord, Myanmar, il Turkmenistan, paesi dove di conseguenza la percentuale di popolazione che ha accesso alla rete è molto bassa. Un caso a sé, in questo panorama, è costituito dalla Cina, dove il regime non soltanto non ha contrastato l’avvento di Internet ma lo ha promosso, considerandolo uno strumento al servizio dello sviluppo economico. Così, in brevissimo tempo, la popolazione cinese di utenti online ha raggiunto nel 2011 i 485 milioni, contro i 245 milioni degli Stati Uniti. Per sorvegliare un numero di utenti così alto è in funzione un sistema di controllo estremamente duttile, pervasivo ed efficace, in grado di imbrigliare la vivacità e l’inafferrabilità della rete nelle maglie della censura. È stato proprio il ruolo di primo piano ricoperto dallo Stato nella diffusione di Internet a facilitare la pianificazione di questo schema centralizzato di sorveglianza: gli utenti Internet in Cina, infatti, si connettono alla rete attraverso porte di interconnessione organizzate da agenzie statali che censurano oltre 19.000 siti stranieri e oscurano selettivamente messaggi e parole – per es. 'democrazia' o 'diritti umani' – sgraditi al regime. Sono 30.000 i tecnici che controllano la rete riuscendo così a pilotare le ricerche dei cinesi sul web e a cancellare la memoria di avvenimenti drammatici come il massacro compiuto dall’esercito a piazza Tien An Men a Pechino il 3 e 4 giugno 1989. Nel giugno 2009, in occasione del 20° anniversario di quegli avvenimenti, le autorità hanno stretto ancora di più le maglie della censura impedendo o rallentando anche l’accesso ai social networks autorizzati, ai server fotografici e di posta elettronica e alle versioni in lingua cinese della BBC e della CNN. Aggirare il ‘great firewall of China’, come viene chiamato il sistema di censura cinese, non è impossibile, ma il rischio di essere scoperti e arrestati è altissimo. Nel 2004 una grande eco ha suscitato nel mondo l’arresto di un dissidente cinese colpevole di aver fatto circolare sul web una nota riservata del governo che invitava tutti i giornalisti al più totale silenzio sugli avvenimenti del 1989 e il cui nome fu rivelato alle autorità di polizia dagli uffici di Yahoo di Hong Kong. Alle imposizioni dell’apparato repressivo cinese si sono piegati in più occasioni anche gli altri colossi dell’informatica, come Google e Microsoft, preoccupati di venire estromessi da una fetta tanto appetibile e consistente del mercato. Le rivoluzioni del 2011 in Africa dimostrano che più cresce l’importanza di Internet e la sua diffusione globale, più si mostrano prepotentemente gli interessi di controllo da parte degli stati e dei grandi poteri economici. Il dibattito su Internet e la censura, il diritto alla libertà di opinione e la manipolazione del consenso si arricchisce continuamente di nuovi argomenti coinvolgendo tutti gli attori internazionali. L’accesso a Internet come diritto di tutta l’umanità è quanto sostenuto in un rapporto del maggio 2011 presentato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Si legge nel documento che Internet si è rivelato uno strumento straordinario per promuovere lo sviluppo, combattere l’ineguaglianza e tutelare la libertà e la vita delle persone. Di conseguenza dovrebbe essere interesse prioritario degli stati assicurare l’accesso universale a Internet, riducendo al minimo indispensabile le restrizioni al libero flusso dell’informazione e della comunicazione. Non possono non destare preoccupazione, dunque, denuncia il rapporto delle UN, gli interventi legislativi che tendono a impedire, limitare o pilotare l’accesso al web, in un clima generale che vede orientarsi in questa direzione anche alcuni paesi democratici.