INTERPOLAZIONE (lat. interpolatio, da interpolare che indica propriamente un procedimento diretto a rimettere a nuovo vestiti malconci; già Plauto adopera interpolare per "mutare i connotati" a furia di pugni)
Nella critica dei testi "interpolazione" è adoperato dai moderni in due significati, più stretto l'uno, più largo l'altro. Si suole comunemente chiamare interpolazione qualunque consapevole alterazione del testo tramandato, che non si confessi tale. Interpolazioni sono in questo senso comunissime nella tradizione di qualsiasi classico. Troppo inclini sono i moderni a concepire qualunque tradizione quale meccanica; copiati meccanicamente sono invece per lo più soltanto i testi che l'amanuense non intende, o testi che sono difesi da particolarità della loro forma. Dovunque lo amanuense in qualche misura intende, egli è proclive a rendere il suo autore "migliore".
"Migliore" può significare più facile: il formarsi di una lectio facilior, il progressivo prevalere di questa sulla difficilior, il formarsi di una vulgata (v. edizione, XIII, p. 477 segg.), è, in questo senso, un procedimento interpolatorio. L'interpolatore, se intende un testo nel suo complesso, ma non lo intende in un punto particolare, congettura, e pone la sua congettura arditamente nel testo.
Ma "migliore" può anche significare più conforme al gusto del tempo: si può dimostrare che in certi manoscritti dei Padri della Chiesa greci le fini di periodo sono state rimaneggiate poco meno che sistematicamente per introdurvi le clausole ritmiche medievali o bizantine. S'intende che tali interpolazioni sono più sistematiche là dove il testo doveva essere ridotto a lettura scolastica. Una scelta di operette plutarchee è stata in tempo bizantino non solo rimaneggiata stilisticamente (clausole ritmiche), ma anche espurgata. Non tutti i periodi della storia della critica tendono ugualmente all'interpolazione: i periodi umanistici, poiché parecchio capivano e più ancora s'immaginavano di capire, hanno interpolato di più: di tali periodi, se ne possono distinguere due in Occidente, il periodo carolingio e il Rinascimento, e due a Bisanzio, l'età di Fozio (v.) e il cosiddetto rinascimento bizantino (sec. XIII-XV). Il limite tra congettura e interpolazione sta in questo: il congetturatore indica la sua congettura come tale, l'interpolatore la sostituisce senza altro al testo tramandato, la spaccia cioè per tradizione.
Ma "interpolazione" si adopera dagli studiosi più severi in un significato più particolare, d'inserzione in un testo di elementi che gli erano originariamente estranei. In questo significato più stretto e più tecnico l'interpolazione non è caratterizzata come nel primo dalla volontà, quanto da una caratteristica materiale, l'accrescimento: l'interpolazione è sempre aggiunta.
Le più innocenti e per lo più le più recenti di tali interpolazioni sono glossemi, cioè spiegazioni marginali per distrazione di amanuensi penetrate nel testo. Un codice del Padre della Chiesa Epifanio è famoso perché offre per lunghi tratti ogni parola, si può dire, a doppio: accanto all'espressione originaria c'è quella che la spiega o quella che, secondo un lettore atticistico, sarebbe stata la più corretta. Ma anche intere note marginali (scolî) possono per inavvertenza penetrare nel testo: esempio famoso le lettere di Epicuro in Diogene Laerzio.
Ma ci sono anche interpolazioni di tutt'altra fatta, ben più estese, e queste intenzionali. Testi destinati alla recitazione vengono ampliati a volta a volta. L'aedo omerico non si fa scrupolo d' inserire nel canto che recita episodî che possono riuscire per l'una o per l'altra ragione interessanti o graditi al suo uditorio, ancorché essi stonino nel complesso dell'opera d'arte. Due esempi indubitabili d'interpolazioni omeriche sono la Dolonia, cioè il canto X dell'Iliade, e l'episodio burlesco dell'adulterio di Afrodite con Ares nell'VIII dell'Odissea. Poesia genealogica ed enumerativa quale la Teogonia esiodea, invitava all'interpolazione. Altrettanto indubitate interpolazioni di un genere simile si trovano nella tragedia attica. Ai posteriori la semplicità della messa in scena del sec. V non bastava più: e certe interpolazioni che si direbbero d'impresario", p. es. nelle Eumenidi di Eschilo, ci fanno fede di rappresentazioni più recenti e più fastose. Presto i cori composti di cittadini, cioè di dilettanti, non bastarono più ai gusti musicali di un pubblico più raffinato; si perdette la tradizione della musica e della ritmica corale. Nella tragedia specie di Euripide lunghi cori furono sostituiti (p. es. nell'Oreste) da pochi versi recitativi in bocca al corifeo o ad attori. I manoscritti che derivano dai testi dei grammatici alessandrini, i quali solevano tutto raccogliere, presentano ora spesso le due redazioni una di seguito all'altra, cioè, dal punto di vista nostro, un'interpolazione. E simili aggiunte di attori si trovano anche nella commedia romana.
Testi destinati alla lettura sono interpolati più di rado, quasi mai, se non v'è un forte interesse, p. es., religioso: nella Storia Ecclesiastica di Eusebio ogni qual volta è nominato Origene, venerato dall'autore ma più tardi condannato dalla Chiesa, qualche manoscritto interpola per conto proprio con tendenza ostile. Celebre è un'interpolazione cristiana (testimonium flvianum) in Flavio Giuseppe, Antiq., XVIII, 63-64 (v. giuseppe, flavio; gesù cristo, XVI, p. 856). Ma casi di tal genere sono in complesso rari: la filologia moderna è ora meno proclive che quella di cinquant'anni fa a stabilire interpolazioni per ragioni di poco conto o non evidenti; essa tende forse ormai anzi all'eccesso opposto.
Un altro genere d'interpolazioni colpisce talvolta opere stóriografiche: un esempio cospicuo offrono le Elleniche di Senofonte. Qui. a un lettore o editore dotto sono parse insufficienti le indicazioni cronologiche, ed egli ha aggiunto di suo uno schema cronologico ricavato da imitazione di Tucidide, e le date degli arconti attici e degli efori spartani. A questo stesso interpolatore paiono risalire alcune notizie su avvenimenti siciliani e persiani, menzioni di prodigi, un elenco di trenta tiranni e uno di efori spartani. Interpolazioni di tal genere saranno rare; ma spesso capita che dove lo storico antico in ossequio a una regola che vale nell'antichità per la prosa alta, aveva parafrasato il documento, lo aveva sciolto nella sua narrazione, un editore lo abbia introdotto nel testo nella forma originale. Questo è avvenuto per parecchi documenti in Tucidide e nella Vita di Costantino di Eusebio di Cesarea.
Esposta all'interpolazione, anche in questo senso più ristretto della parola, è particolarissimamente la letteratura scolastica, specie trattati grammaticali e commenti, per adattare libri scolastici ai bisogni sempre nuovi della scuola. Ma qui l'interpolazione si combina con altri procedimenti (abbreviazioni e sostituzioni), cosicché è ben difficile che l'analisi possa restituire il testo originale.
Di delicati procedimenti analitici v'è nell'indagine delle interpolazioni quasi sempre bisogno: ché è raro il caso che l'interpolazione si trovi ancora (come in Diogene Laerzio) allo stato grezzo. Di solito la parte del testo originale che la precede e la segue, è stata rielaborata per accoglierla più facilmente. Onde non è sempre agevole determinare il confine di un'interpolazione. E questo non è del resto che un secondo stadio dell'indagine: prima di tutto occorre accorgersi che un certo gruppo di parole non può essere se non interpolato. Stranezze e sconcordanze e specialmente contraddizioni possono destare il sospetto; ma a una risposta definitiva non si giunge se non mediante un'analisi penetrante. Anche lo stile può a un conoscitore sottile della lingua rivelare l'interpolazione; ma anche qui la certezza non può essere data se non da un'indagine approfondita, ché spesso condizioni speciali possono giustificare quella che è veramente anomalia linguistica, seppure infondata è la pretesa di certi filologi moderni, che dallo stile in tale ricerca si prescinda. In opere poetiche la considerazione stilistica è sorretta da osservazioni metriche e prosodiche.
Su varî procedimenti interpolatorî, in genere, Th. Birt, Kritik und Hermeneutik, Monaco 1913, p. 151 segg., e L. Havet, Manuel de critique verbale, Parigi 1911, passim: in tutt'e due questi libri il materiale è disseminato in troppe rubriche, e non tutti gli esempî sono sicuri; il secondo si limita per giunta a testi latini classici. Più esempî e meglio disposti tenta ora di dare G. Pasquali, Critica dei testi e storia della tradizione, Firenze 1933, p. 113 segg.; ma egli si limita, come è suo assunto, a interpolazioni rivelate dalla recensio (v. edizione, XIII, p. 477 seg.), che non si sono impossessate di tutta la tradizione.
Diritto.
La scienza giuridica designa col nome complessivo d'interpolazioni tutte le alterazioni introdotte nelle opere dei giureconsulti, nelle costituzioni imperiali e nelle leggi, o da commissioni legislative o, volutamente, da loro commentatori e interpreti. Il termine "interpolazione" non sarebbe adatto a designare propriamente se non le aggiunte, ma per estensione si usa pure dai giuristi, e non da ora, a esprimere le omissioni e le sostituzioni: l'interpolare, insomma, esprime anche il demere e il mutare.
Il problema delle interpolazioni non è problema solo della scienza del diritto romano, perché esso riguarda anche fonti giuridiche assai più antiche e fonti giuridiche assai più recenti: in età relativamente primitive le leggi godono di autorità in proporzione con la loro antichità, ma in queste stesse età il documento originale della legge va spesso perduto e il testo è tramandato letterariamente o anche solo oralmente. In queste condizioni l'interpolazione è quasi regola: è difficile dire quanto delle leggi di Solone stesse veramente negli ἄξονες o κύρβεις, sui quali il nucleo originario era inciso. Anche i diritti barbarici (per es., la legge salica) compaiono in molteplici redazioni, tutte più o meno modernizzate. Ma è vero che il problema è particolarmente importante, e veramente fondamentale, per la scienza del diritto romano. È incerto se il foenus unciarium fosse dichiarato la misura più alta dell'interesse dalla legge delle XII tavole (VIII, 18) o dalla legge Duilia Moenia; se il seppellire in città fosse già vietato dalle XII tavole (X,1) o solo nell'anno 260 a. C. dal Senato. Interpolazioni sono state segnalate nelle leges publicae populi romani (lex Rubria) o coloniarum (lex Ursonensis) o municipiorum (lex Salpensana, lex Malacitana): interpolazioni sono state additate in opere della giurisprudenza romana giunte a noi direttamente senza il tramite della compilazione giustinianea (Gai Institutiones, Ulpiani libri ad Sabinum, Fragmentum de formula Fabiana) o epitomi postclassiche (Tituli ex corpore Ulpiani: possiamo aggiungere le Sententiae receptae Pauli che, probabilmente, sono anch'esse un'epitome passata poi sotto la revisione della commissione legislativa che preparò il cosiddetto Breviario Alariciano); interpolazioni sono state vedute in collezioni postclassiche di iura e di leges, composte cioè con frammenti della giurisprudenza classica e costituzioni imperiali (Vaticana fragmenta, Collatio legum romanarum et mosaicarum, Consultatio veteris cuiusdam iurisconsulti) e finalmente ne furono sorprese nelle costituzioni del Codex Theodosianus, e in altre pervenuteci attraverso la lex romana Wisigothorum. Ma, per quanto non poche e non lievi, sono ben lungi dal somigliare a quelle interpolazioni in massa, che furono introdotte nelle opere della giurisprudenza romana, escerpite per la formazione delle Pandette e delle Istituzioni giustinianee, e nelle costituzioni imperiali, almeno recostantiniane, che furono inserite nel Codice di Giustiniano. È lo stesso imperatore che ripetutamente ci avverte dell'ordine impartito ai suoi commissarî di aggiungere, togliere, correggere e ci ammonisce che πολλὰ καὶ οὐδὲ ἀριϑμηϑῆναι ῥᾴδια μεταατεϑείκαμεν εἰς τὸ κρεῖττον (cfr. c. Tanta, § 10; c. Deo auctore, § 7; c. Haec quae necessario, § 2). E Taleleo, il giureconsulto più erudito del tempo, ci indica, negli scolî ai Basilici, che tale o tal'altra costituzione è stata alterata dai compilatori.
La ricerca delle interpolazioni nella compilazione giustinianea (dette anche emblemata Triboniani o tribonianismi, per l'uso di simboleggiare nel capo della commissione la fonte delle alterazioni) appare col sorgere della scuola culta, ossia degli studî storici nel campo del diritto romano (soltanto qualche rilievo isolato troviamo nelle scuole dei glossatori: cfr. Accursius ad 30,1, v. exaequata): molte ne segnalò il Cuiacio, ma il più geniale e audace ricercatore nelle epoche passate è Antonio Fabro; accanto a questi sono da ricordare altri molti, ma non vanno soprattutto taciuti J. Wissembach, che degli emblemata Triboniani trattò in un'opera speciale, e Meister e H. Eckard, che in piccoli trattati cercarono di fissare il metodo di questa ricerca. Col decadere degli studî storici la ricerca delle interpolazioni fatalmente decadde fino al punto che si giunse a dimenticare non soltanto il risultato dei passati studî, ma anche l'ordine espressamente dato da Giustiniano di modificare i testi classici.
La ripresa di questa ricerca avvenne sul finire del secolo XIX, come naturale conseguenza della logica applicazione dei principî della scuola storica del Hugo e del Savigny, anche se questi suoi fondatori non pensarono a riprenderla direttamente; come naturale conseguenza, anche, dell'estinguersi del vigore positivo del diritto romano, all'alba del 1900, nell'ultimo suo grande territorio: la Germania.
Tra i promotori della ripresa occupano un posto d'onore Ilario Alibrandi in Italia; A. Pernice, O. Lenel, F. Eisele, O. Gradenwitz in Germania. Dai nuovi ricercatori si rende giustizia, assai più di prima, a Triboniano; né si ripete più l'accusa che gli muovevano i culti, di avere deturpato l'eleganza dei classici con gli ampollosi barbarismi bizantini. L'uomo, ironicamente chiamato bonus Tribonianus, o compassionevolmente apostrofato miser Tribonianus, o giudicato proletarius in iurisprudentia, corruptus et corruptor, viene equamente valutato; e in un'interpolazione non si scorge un flagitium o un facinus suo, ma la necessità di fare un codice di diritto vigente.
I criterî per la ricerca delle interpolazioni sono i seguenti: 1. Criterio testuale. - L'interpolazione emerge dall'esame del testo quale l'abbiamo nelle fonti giustinianee e quale ci è pervenuto attraverso le pregiustinianee, oppure dall'esame del testo riferito in due diverse sedi nelle fonti giustinianee (lex geminata).
2. Criterio storico. - L'interpolazione risulta dall'incompatibilità di un principio enunciato da un giureconsulto con lo stato del diritto classico in generale, o con lo stato del diritto all'epoca di quel giureconsulto, o, in più limitata misura, con le opinioni di quel giureconsulto. L'exaequatio dei legati ai fedecommessi è annunciata da Ulpiano (Dig., XXX, de leg.,1) mentre sappiamo che è giustinianea.
3. Criterio logico. - L'interpolazione è dimostrata dalla contraddizione tra le diverse parti del medesimo testo o tra le diverse parti del medesimo periodo o con altri testi del medesimo autore: ne abbiamo un tipico esempio in Dig., I, 7, de adopt., 5.
4. Criterio logico-giuridico. - L'interpolazione è lumeggiata dalla enunciazione di una norma, segnita da restrizioni che la annientano o la invertono; oppure dall'enunciazione di una norma vigente in una specie, seguita da un'appendice che la deforma, perché l'estende a una categogoria più larga in cui quella specie rientra.
5. Criterio legislativo. - L'interpolazione è resa evidente dal modo con cui il legislatore s'intromette nel discorso del giurista, sia per l'uso dello stile imperativo o della forma verbale rivolta al futuro (sciat, faciat) o del tono autoritario, sia per l'uso dei generali enunciati o del nos maiestaticum.
6. Criterio sistematico o metodologico. - L'interpolazione è affermata per la non corrispondenza dell'istituto a quello che sappiamo essere stato trattato dal giurista in quel determinato libro della sua opera: si sono scoperte così molte sostituzioni di pignus a fiducia, di competens iudex a. consul o a consules, ecc.
7. Criterio linguistico. - L'interpolazione è fatta palese o da locuzioni speciali ai commissarî giustinianei (sed melins est ut dicamus, satis inhumanum est, ecc.), da verbi (malle per velle, suggerere per suadere, promere, protelare, subiugare, adimplere, ecc.), da sostantivi (cumulus per summa, sacramentum per iusiurandum, opitulatio, medietas, mediocritas, posteritas, ecc.), da aggettivi (favorabilis, absimilis, rationabilis, resupinus, ecc.) proprî dei compilatori; dall'uso di pronomi e di particelle a loro speciali (ipse per is, iste per hic, super o pro per de, ecc.) o dall'uso di costruzioni grammaticali insuete nei testi classici (si quidem - sin vero o sin autem; nisi - tunc enim; licet - attamen, ecc.), o dall'uso di modi o costrutti assolutamente errati (sciendum est, quod; permittendum est utilem actionem; senatores accipiendum est eos, ecc.) o dall'uso di grecismi (ad effectum perducere = εἰς ἔργον ἄγειν; dicendum est, ut = λέγειν ὄτι; per omnia = κατὰ κάντα; licentiam habere = ἄδειαν ἔχειν; legi non offendere = τῷ ξόμῳ μὴ ἐναντιοῦσϑαι; constitutus = ὤν o καϑεστώς; ipse = αὐτός; sicut et = ὥσπερ καί; amare = πικρῶς; iuvenis = νέος; quid enim prohibet = τί γὰρ κωλύει; quid ergo = τί οὗν; et nemo dicat = καὶ μήτις λεγέτω; aliquis dicet = ἀλλ'χει τις εἰπεῖν, ecc.).
8. Criterio esegetico. - L'interpolazione balza fuori dall'incongruenza o contraddizione fra due testi o due serie di testi: i compilatori spesso hanno mutato soltanto alcuni testi e serbato gli altri con valore storico (cfr., ad es., Dig., XXXXVI,1, de fideiuss. et mand., 25; e Dig., XXXXV, 1, de verb. obl., 6, dello stesso Ulpiano).
9. Criterio diplomatico. - L'interpolazione è facilmente supponibile nel testo della Fiorentina quando è gravemente scorretto: la scorrettezza deriverebbe dalla difficoltà in cui s'imbatteva l'amanuense che doveva copiare il testo classico con le annotazioni e cancellazioni dei compilatori.
Esistono interpolazioni tipiche, indice della fondamentale differenza fra diritto classico e diritto giustinianeo: dotis dictio, espressione soppressa o sostituita da dotis promissio; mancipatio, mancipare, mancipio accipere interpolati in traditio, tradere, per traditionem accipere; usucapio degl'immobili interpolata in longa, diutina, per longum tempus possessione capio; sponsio interpolata in stipulatio; cernere, cretio in adire, aditio; recuperatores, decemviri, centumviri o altri magistrati interpolati in iudex, iudices, ecc.
La ricerca delle interpolazioni nelle fonti del diritto romano può considerarsi entrata in una fase nuova durante gli ultimi anni, quando, da un lato, gli studî di E. Albertario e di G. Beseler, a cui presto altri si aggiunsero, riuscirono a dimostrare interpolazioni e glosse, assai numerose e considerevoli, anche nelle fonti giuridiche a noi pervenute per via diversa dalla compilazione giustinianea; e quando, d'altro lato, gli studî degli stessi romanisti, in maggior misura quelli del Beseler che inaugurò anche una critica estetica, nonché le indagini fervide di molti altri studiosi, svelarono una vastità e profondità d'interpolazioni nella compilazione giustinianea, non sospettate neppure lontanamente dapprima. Prese allora solida base il convincimento (affiorante già in studî di P. Cogliolo, di C. Ferrini, di H. Erman, di E.I. Bekker) che molte interpolazioni della compilazione giustinianea fossero dovute, anziché al lavoro dei commissarî di Giustiniano, a commenti e annotazioni anteriori di studiosi e d'interpreti che tenevano al corrente i vecchi testi con la nuova realtà giuridica, urgente e dappertutto dilagante: cioè con il diritto della legislazione degl'imperatori romano-ellenici; con gl'istituti non romani, che resistevano al diritto romano e lo sopraffacevano; con gli adattamenti e i mutamenti degli stessi istituti romani attraverso la tarda prassi dell'età postclassica. E si cominciò a distinguere tra interpolazioni giustinianee e interpolazioni pregiustinianee: legislative le prime, dottrinali le seconde. Meno importò, e tuttora meno importa, conoscere quante note dottrinali s'incorporarono prima della legislazione di Giustiniano nei testi classici, quante cessarono di essere note al testo e diventarono parte costitutiva del testo per opera dei giustinianei: in un caso e nell'altro, la loro prima origine non è legislativa.
S'imponeva pertanto, e ancora s' impone, un nuovo problema: quello di differenziare le interpolazioni aventi origine pregiustinianea dalle giustinianee. Un preciso regolamento di confini, come spesso accade, non è agevole; tuttavia si possono addurre alcuni criterî da seguire in questa ricerca particolarmente delicata. 1. Le aggiunte esplicative, fatte con id est, hoc est, ecc., sono, almeno in grandissima parte, d'origine pregiustinianea: esse sono l'indice dell'opera elementare del più modesto annotatore e interprete in qualunque luogo e tempo (le interpretationes al codice teodosiano ridondano di esplicazioni del testo imperiale fatte in questa forma). 2. Il richiamo dell'istituto greco accanto al corrispondente istituto romano, quando non sia classico (e assai spesso non lo è), è spiccatamente scolastico: così l'equiparazione della possessio alla κατοχή, dei defensores civitatis ai σύνδικοι, della societas omnium bonorum alla κοινοπραξία. 3. Sono da considerare piuttosto d' origine dottrinale e non legislativa le interpolazioni iniziate con parole e forme che né sono classiche né si incontrano nelle costituzioni giustinianee: ad es., con finge, fingamus, fortasse, fortassis, ecc. 4. Le soluzioni dubbiose; le motivazioni incerte, espresse principalmente con forsan, forsitan, fortasse, fortassis; i quesiti lasciati senza risposta sono opera inverosimile di un legislatore: costituiscono, pertanto, interpolazioni dottrinali e non legislative. 5. Le avvertenze, espresse con la forma notandum, quod o altra simile; le obiezioni prevenute, frequentemente concretate in una forma grecizzante (dicet aliquis, dixerit aliquis, sed aliquis dicet = ἀλλ'ἔχει τις εἰπεῖν; nec quisquam dicat = καὶ μήτις λεγέτω); i ragionamenti diluiti in forma interrogativa (cur non dicamus, ecc.); le distinzioni, dilucidazioni, ripetizioni; le posizioni di casi, fatte con ut puta, ut ecce, verbi gratia, soprattutto con finge, fingamus; le conclusioni, poste con ex quo apparet, ex quo colligi potest, secundum hoc, secundum haec, ecc., costituiscono l'ampio tessuto di un lavoro più volte secolare intorno al testo classico: lavoro scolastico, non opera legislativa di Giustiniano. 6. Le generalizzazioni, espresse con et ceteri, et omnes, et alii, et similes, sono pur esse caratteristico prodotto scolastico, anche se più volte furono i giustinianei a trasportarle nel testo, e senza molta attenzione (in emptione ceterisque bonae fidei iudiciis; in legatis et fideicommissis et in tutelae actione et in ceteris iudiciis bonae fidei); così, di squisito sapore scolastico è la frase: quod et in omnibus.... erit dicendum o observandum, ecc. 7. Le sconcordanze grammaticali fra le varie parti di un testo derivano assai spesso da varie glosse entrate per svista di amanuense o per opera di compilatori malamente nel testo stesso. Un cospicuo esempio ne abbiamo in Dig., XXI,1, de aedilicio edicto, 35, dove le sconcordanze sine magno incommodo vel ad (ob?) pietatis rationem offensam; in fratribus et in personas contubernio sibi coniunctas non possono attribuirsi né al giurista classico né ai giustinianei. 8. La ripetizione stemperata in un frammento di ciò che il giurista dice in altro frammento derivato dallo stesso libro della stessa opera, non è che una parafrasi scolastica al testo, utilizzata anch'essa dai compilatori e posta nella sede più acconcia. Esempio luminoso di parafrasi si ha in Dig., V, 4, si pars her. pet., 3, che originariamente era un commento postclassico al testo di Paolo conservatoci in Dig., V,1, de iud., 28, 5, 9. Le constatazioni di fatto di principî giuridici invalsi nella prassi, diversi da quelli che insegnava il testo romano, espressi soprattutto con hodie (e così hodie hoc iure utimur; hodie aliter observatur; hodie in usu servatur; quod quidem hodie magis usurpatur; hodie non dubitatur, hodie solet, ecc.) sono naturali in un commentatore o maestro che vuol aggiornare il suo testo e il suo insegnamento. 10. L'adattamento dei testi romani in conformità della mutata legislazione romano-ellenica era un lavoro di revisione necessario per gli usi della scuola e della prassi; così, in conseguenza della costituzione di Valentiniano III (390), che ammetteva eccezionalmente le donne a gerire la tutela, dovettero essere presto interpolati i testi di Gaio e di Nerazio (Dig., XXVI, 1, de tutelis, 16 e 18) dai quali risultava che la tutela era un virile officium. 11. Le alterazioni dovute alle nuove costruzioni dommatiche (assunzione dell'usufrutto nelle servitù, estensione del concetto di successio a qualunque acquisto derivativo, configurazione dell'hereditas come universitas) hanno sicura origine scolastica, e queste costruzioni i compilatori trovarono già penetrate nel testo classico o collocate attorno a questo testo. 12. I brevi testi interamente alterati non possono essere altro che elementi spurî che già si trovavano nel testo classico o attorno al testo classico e che, avulsi da questo, furono attribuiti in buona o in mala fede all'autore classico del testo stesso. In buona fede, anche, e forse spesso: come dimostrano i cosiddetti scolii sinaitici, dove commentatori greci credono di commentare Ulpiano e commentano invece un suo commentatore.
L'importanza della ricerca delle interpolazioni pregiustinianee e giustinianee è immensa: sia perché giova a illuminare le linee del sistema del diritto romano postclassico giustinianeo, a scoprire le tendenze e gli spiriti di questo diritto; sia perché avvia a costruire il sistema del diritto romano classico nascosto molte volte dalle superstrutture più recenti.
Le difficoltà, anche, della ricerca sono enormi; sia perché non tutti i criterî hanno un valore assoluto, e particolarmente pericoloso può riuscire nelle sue applicazioni il criterio linguistico; sia perché vi ha un considerevole numero d'interpolazioni soltanto formali, che non alterano la sostanza del testo classico; sia anche perché l'interpolazione talvolta è consistita nell'assumere a regola generale del nuovo diritto giustinianeo un principio che già prima si era affermato mediante l'opera del pretore romano sul terreno processuale, oppure rappresentava il pensiero, anche se non dominante o addirittura isolato, di qualche giureconsulto. Ma le interpolazioni sostanziali, modificatrici e innovatrici, sono in gran numero; e i risultati certi conseguiti, accanto a quelli semplicemente probabili o addirittura dubbî, sono già assai cospicui.
Sulla ricerca delle interpolazioni nelle fonti giustinianee fatte prima del sec. XIX, cfr. E. Albertario, I Tribonianismi avvertiti dal Cuiacio, in Zeitschr. d. Sav. Stift. f. Rechtsg. (röm. Abt), XXXI (1910), p. 158 segg.; A. De Medio, I Tribonianismi avvertiti da Antonio Fabro, in Bull. ist. dir. rom., XIII (1901), p. 208 segg.; XIV (1902), p. 276 segg.; B. Biondi, I Tribonianismi avvertiti da J. Wissembach e H. Eckard, Palermo 1911; E. Albertario, Due antichi trattatelli sulle interpolazioni, in Studi dell'Ist. giur. di Pavia, II (1913), p. 116 segg.; L. Lusignani, Saggio di una raccolta di interpolazioni negli antichi, Parma 1898; ecc. Sulla ripresa della ricerca, iniziatasi verso la fine del secolo scorso, cfr. F. Eisele, Zur Diagnostik der Interpolationen in den Digesten u. im Codex; Weitere Studien zum Texte der Digesten; Exegetica: numerosi contributi, codesti, editi in Zeitschr. d. Sav. St. f. Recgtsg,m 1886, 1889, 1890, 1892, 1897, 1909, 1914; id., Beitrâge zure röm. Rechtsg., Lipsia 1896; O. Gradenwitz, Interpolationen in den Pandekten, Berlino 1887; id., Interpolazioni e interpretazioni, in Bull. ist. dir. rom., II (1889), p. 3 segg.; O. Lenel, in Zeitschr. d. Sav. St. f. Recgtsg,, 1882, 1883, 1918, 1925, 1929, 1930, 1931; W. Kalb, Juristenlatein, Norimberga 1888; id., Roms Iuristen, Lipsia 1890; id., Jagd nach Interpolationen in den Digesten, Norimberga 1896-97; H. Appleton, Les interpolations dans les Pandectes, Lione 1894; M. Pampaloni, Contributo alla determinazione degli emblemi nelle Pandette, in Arch. giur., LV, p. 500 segg.; LVI, p. 3 segg.; F. Mancaleoni, Contributo allo studio delle interpolazioni, in Filangeieri, 1901; S. Di Marzo, Bonae fidei contractus, Palermo 1904; V. Scialoja, Per la critica delle Pandette, in Atti del Congresso storico, Roma 1903; P. Collinet, Un noveau critère d'interpolation, in Revue hist. du droit, XXXIV, p. 81 segg.; G. Beseler, Beiträge zur Kritik der röm. Rechtsquellen, Tubinga, I, 1910; II, 1911; III, 1913; IV, 1920; V, Lipsia 1931; id., numerosi contributi editi come Romanistische Studien, Miscellanea critica, Textkritische Studien, in Zeitschr. d. Sav. St. f. Rechtsg. (röm. Abt.), dal 1923 in poi; id., Juristische Miniaturen, Lipsia 1929; id., Opora, Lipsia 1930; E. Albertario, Hodie (Contributo alla dottrina delle interpolazioni), Pavia 1911; id., Contributi alla critica del Digesto, Pavia 1911; id., Miscellanea critica, in Athenaeum, 1928; id., Adventicius, in Rend. Ist. Lomb., 1931; L. Mitteis, Zur Interpolationenforschung, in Zeitschr. d. Sav. St. f. Rechtsg. (rôm. Abt.), XXXIII (1912), p. 180 segg., ecc.
Sulle interpolazioni e glosse pregiustinianee, cfr. E. Albertario, Ancora sul glossema in Gai IV, 139, in Filangieri, 1914; id., Lo sviluppo delle excusationes nella tutela e nella cura dei minori, in Studi ist. giur. Pavia, I (1912), p. 41 segg.; id., Due osservazioni sul fragmentum de form. Fabiana, in Annali Perugia, 1926, p. 215 segg.; id., Tituli ex corpore Ulpiani, in Bull. ist. dir. rom., XXXII (1922), p. 73 segg.; id., Elementi postgiaiani nelle Istituzioni di Gaio, in Rend. Ist. Lomb., 1926 e 1928; id., Da Diocl. a Giust., in Conferenze per il XIV centenario delle Pandette, Milano 1932; O. Gradenwitz, Interp. im Theodosianus, in Zeitschr. d. Sav. Stift. f. Rechtsg. (röm. Abt.), 1913 e 1917; Ch. Appleton, Les interp. dans Gaius, in Revue hist. du droit, 1929; S. Solazzi, Glosse a Gaio, Palermo 1932.
Sulla dottrina delle interpolazioni, sul metodo della ricerca e sul significato prevalentemente formale o sostanziale delle interpolazioni, cfr. A. Berger, L'odierno indirizzo degli studi di diritto romano, Firenze 1913; H. Peters, Moderne Quellenkritik am röm. Recht, in Rhein. Zeitschr. f. Zivil u. Prozessesrecht, VIII, p. 3 segg.; F. Schulz, Einführung in das Studiem der Digesten, Tubinga 1916; F. Ebrard, Die Grundsätze der modernen Interpolationenforschung, in Zeitschr. f. vergleich. Rechtsw., XXXVI (1919), p. 1 segg.; S. Riccobono, Fasi e fattori della evoluzione del diritto romano, in Mélanges Cornil, II (1926), p. 235 segg.; id., Punti di vista critici e ricostruttivi a proposito della dissertazione di L. Mitteis, Palermo 1928; id., Summum ius summa iniuria, Palermo 1929; E. Albertario, La crisi del metodo interpol., in Studi Bonfante, I, Milano 1930, p. 609 segg.; ecc.
Le interpol. del Digesto vengono ora raccolte in un Index, a cura di E. Levy e E. Rabel (I-II, Weimar 1929-1931; il III in corso di stampa).