Abstract
L’interpretazione costituzionale dipende dalla teoria della costituzione e dalla teoria dell’interpretazione. Non esiste un grado zero dell’interpretazione, le interpretazioni costituzionali sono sempre plurime, storicamente determinate e in continua trasformazione. L’interpretazione giudiziaria della costituzione è il luogo privilegiato della concretizzazione del significato delle norme costituzionali, ma non l’unico. Con il passaggio dallo stato legislativo allo stato costituzionale, e dalla centralità delle regole a quella dei principi, cambiano il ruolo e la funzione dell’interpretazione. Vengono riassunti i principali indirizzi dogmatici delle culture giuridiche dominanti, la tedesca e la statunitense.
Nel processo di interpretazione costituzionale le domande sono più importanti delle risposte. Come si deve interpretare la costituzione? Qual è il rapporto tra teorie della costituzione e teorie dell’interpretazione costituzionale? Qual è la differenza tra interpretazione di atti non normativi (testi sacri, testi letterari, opere d’arte, intenzioni psicologiche, etc.) e interpretazione giuridica? C’è una differenza tra interpretazione legislativa e interpretazione costituzionale? Qual è il rapporto tra interpretazione costituzionale, teoria dei diritti fondamentali e teoria dell’argomentazione?
Tutte queste inesauribili domande hanno ricevuto diverse risposte nel tempo e nello spazio delle varie culture giuridiche. L’interpretazione costituzionale, in quanto giuridica, non è dissociabile dal problema dell’applicazione o concretizzazione delle norme costituzionali. Dal punto di vista ermeneutico (Gadamer, H.G., Verità e metodo, Milano, 2000, 681) la specificità del giuridico, e quindi anche della dimensione costituzionale, consiste proprio nell’applicazione di formule linguistiche a realtà sociali, con lo scopo pratico di risolvere problemi, disciplinare rapporti umani conflittuali, accomodare principi confliggenti. Le teorie dell’interpretazione costituzionale articolate nel corso della storia delle esperienze giuridiche non sono state sviluppate in un vuoto politico. Tutte queste teorie, in quanto riflessioni sulla pratica giuridico-costituzionale, sono state elaborate in contesti storico-culturali localizzati nello spazio, delimitati nel tempo e soggetti a continua trasformazione. Non esiste un grado zero dell’interpretazione costituzionale: «la destinazione o funzione normativa dell’interpretazione giuridica e di quella teologica postula anche nell’interprete un atteggiamento metateoretico più intensamente valutativo verso l’oggetto da interpretare: l’interesse del giurista, come quello del teologo, non può prescindere da un’esperienza personale e da una presa di posizione valutativa, dato che qui, in una con la conoscenza, è in giuoco anche la direttiva dell’azione» (Betti, E., Teoria generale della interpretazione, Milano, 1990, 792).
Il tentativo di elaborare una teoria unica dell’interpretazione costituzionale deve essere visto come un’ingenuità (o ambizione) scientifica, nel migliore dei casi, o come il progetto autoritario di soffocare e silenziare la pluralità delle possibili interpretazioni, seguendo una precisa agenda politico-ideologica. Le teorie dell’interpretazione costituzionale dipendono dalla teoria della costituzione da una parte, dalla teoria dell’interpretazione dall’altra.
Dal punto di vista della prima, questa appare come un oggetto polisemico, suscettibile di molteplici significati. Storicamente, la concezione europea continentale ottocentesca dello stato liberale, monoclasse, di diritto, ben si adattava ad una concezione riduttiva del ruolo svolto dall’interpretazione: in un contesto di centralità del diritto legislativo ed in assenza del controllo di costituzionalità, nonché del correlato principio di supremazia, i metodi dell’interpretazione costituzionale non divergevano da quelli dell’interpretazione legislativa: preferenza per le concezioni oggettivizzanti della costituzione, sua riduzione a testo, norma, comando del potere costituente, privilegio accordato alla ricostruzione dell’intenzione del legislatore costituzionale, o dell’intenzione del testo costituzionale oggettivato; il tutto in un contesto di diffidenza nei confronti della discrezionalità e del libero apprezzamento giudiziale. Con il passaggio dallo stato liberale classico al contemporaneo stato costituzionale, o democrazia pluralista, l’interpretazione subisce un cambio di paradigma: da momento ancillare del fenomeno giuridico a categoria centrale della vita della costituzione. Con l’introduzione di cataloghi di diritti fondamentali, del principio di supremazia costituzionale, di controlli istituzionalizzati di costituzionalità, l’interpretazione costituzionale diventa il tema centrale attraverso cui si opera il passaggio dalla centralità del principio di legalità (dura lex, sed lex; auctoritas, non ratio, facit legem) a quella del principio di legittimità costituzionale, per cui una legge, se interpretata alla luce della costituzione, può essere dichiarata illegittima. Il passaggio epocale dallo stato di diritto allo stato costituzionale è un fenomeno lento e quindi difficilmente digerito dalla cultura positivistica, che specialmente in Italia ha mostrato una curiosa ultrattività (Baldassarre, A., Miseria del positivismo giuridico, in Studi in onore di Gianni Ferrara, Torino, 2005, 201 ss.) e che è tuttora la cultura giuridica dominante nelle università, tra i giudici e gli avvocati.
Tuttavia tra costituzionalismo e positivismo esistono delle vaste aree di inconciliabilità, ed i tentativi di formulare un compendio analitico-formale di regole sull’interpretazione costituzionale si scontrano con lo spirito del tempo presente e con il contesto reticolare della giuridicità contemporanea. Innanzitutto il discorso sulle regole dell’interpretazione, con i suoi decaloghi ed imperativi costringenti, incontra il dilemma del teorema dell’incompletezza di Gödel (Tribe, L.H., The Invisible Constitution, Oxford, 2008, 153 ss.): come si debbono interpretare le regole sull’interpretazione? Se le regole sull’interpretazione non fanno parte del testo, allora l’interpretazione testuale può non tenerne conto, se esse sono interne, allora necessitano di metaregole per essere a loro volta interpretate. In realtà, come ampiamente discusso nella filosofia del diritto contemporanea, il passaggio dallo stato legislativo allo stato costituzionale è coinciso con il passaggio dal diritto basato sulle regole a quello basato sui principi (Zagrebelsky, G., Il diritto mite, Torino, 1992, 147 ss.), di conseguenza il dibattito sulle regole dell’interpretazione costituzionale è stato sostituito dalla riflessione sulla corretta applicazione dei principi costituzionali. Vi è infatti una profonda differenza tra regole e principi: le prime sono norme a fattispecie chiusa, applicabili secondo la modalità aut-aut, che prevedono esclusivamente rispetto o violazione, i secondi sono norme a fattispecie aperta, operativi secondo la modalità et-et, che prevedono una eccedenza di contenuto deontologico (Betti, E., op. cit., 849) che richiede una maggiore o minore adesione, un loro contemperamento.
Dal punto di vista storico è evidente come le epoche di codificazione, con la centralità della legislazione e del comando politico, tendono a sminuire l’interpretazione, mentre le epoche di Juristenrecht, con la centralità della giurisdizione e dell’apprezzamento dei valori sociali, tendono a mettere al centro dell’educazione e della pratica giuridica il momento ermeneutico. Nelle epoche immediatamente successive all’adozione di nuove costituzioni, è frequente assistere al richiamo della natura normativa del testo costituzionale, ad una riverenza per l’intenzione del costituente, considerato l’autore dell’opera, ed una preferenza per i criteri letterali ed oggettivi dell’interpretazione. Con il passare del tempo e la morte degli autori e delle autrici del documento costituzionale subentra il momento jeffersoniano: perché una comunità politica dovrebbe rispettare delle regole deliberate dai morti? L’adesione al vincolo costituzionale viene a dipendere più dal rispetto dei valori sociali e dalle esigenze della convivenza umana e della lotta politica, che non dal rispetto del tenore letterale del testo o del comando del legislatore costituente.
L’applicazione delle norme costituzionali, l’argomentazione relativa ai principi costituzionali, l’interpretazione del testo e delle prassi costituzionali sono tutti temi classici dell’ermeneutica contemporanea. Vale la pena di ricordare che dal punto di vista genealogico l’ermeneutica si è sviluppata a partire dall’interpretazione dei testi sacri, per poi dirigersi verso i testi giuridici. Ad un’osservazione generale si è notato che «in ordine alla messa in pratica (Anwendung) del significato ricavato con l’interpretazione, si sono trovate di fronte, in giurisprudenza e in teologia, due correnti o concezioni, delle quali l’una identifica il significato vero e proprio della cui applicazione si tratta, col significato soggettivo inteso dall’autore del testo interpretato (la così detta “volontà del legislatore”), l’altra lo identifica invece col significato oggettivo (con formulazione impropria, ispirata al dogma della volontà, la così detta “volontà della legge”), in particolare con quel significato (vis ac potestas) che risulta dall’inquadrare l’espressione del testo in una concatenazione più alta e comprensiva: concatenazione che dà modo d’intendere meglio di quel che non potesse lo stesso autore» (Betti, E., op. cit., 790).
Nel contesto della comunità globale dei giuristi del XXI secolo le culture giuridiche statunitense e tedesca esercitano un’egemonia riguardo la tematizzazione dell’interpretazione costituzionale. Riassumiamo di seguito le linee fondamentali di sviluppo di queste due tradizioni.
Nel proporre una tassonomia dei metodi generali di interpretazione costituzionale, l’influente giurista Böckenförde nota come le discussioni sui metodi ermeneutici assumono una rilevanza concreta negli ordinamenti in cui sia prevista una giurisdizione costituzionale; tuttavia – nel caso tedesco – ad un consolidamento della posizione istituzionale del tribunale costituzionale federale non è corrisposto un consolidamento dei metodi dell’interpretazione della legge fondamentale (Böckenförde, E.-W., Die Methoden der Verfassungsinterpretation, in Staat, Verfassung, Demokratie, Frankfurt a.M., 1992, 115 ss.). Secondo i metodi ermeneutici classici non vi è alcuna differenza tra l’interpretazione della legge ordinaria e l’interpretazione della costituzione, e quindi le regole interpretative rimangono quelle delineate da Savigny (grammatiche, logiche, storiche e sistematiche). La costituzione viene intesa principalmente come una Rahmenordnung, un ordinamento-quadro, che dispone solo condizioni e regole procedurali per il processo di decisione politica. I metodi topici-orientati ai problemi privilegiano invece un concetto aperto del procedimento argomentativo: questo non pretende di pervenire alla definizione immutabile del contenuto normativo delle disposizioni costituzionali, ma privilegia i contenuti normativi indeterminati e le peculiarità della casistica giurisprudenziale come punti di vista per la soluzione di problemi. Infine i metodi dell’interpretazione orientata alla effettività e dell’interpretazione come di una concretizzazione ermeneutica propongono una visione della costituzione come di un ordine di valori orientati all’integrazione sociale e come compito da realizzare. Ad eccezione delle teorie classiche – così Böckenförde – tutte le altre teorie dell’interpretazione costituzionale dissolvono la specificità della legge fondamentale, aprono la strada a valutazioni giurisprudenziali arbitrarie ed irrazionali, minano alla base le esigenze di certezza del diritto e di prevedibilità dei giudizi e, sostituendo le ponderazioni dei valori costituzionali ai sillogismi delle norme fondamentali, sottraggono potere al legislatore rappresentativo in favore del tribunale costituzionale.
Tale visione liberale classica, ottocentesca, trova il suo contrappunto nelle riflessioni di Horst Ehmke, secondo cui l’interpretazione costituzionale richiede dapprima una valutazione della teoria generale dell’interpretazione, soprattutto dell’interpretazione nelle discipline giuscivilistiche, quindi un’indagine sul rapporto tra interpretazione giuridica ed ermeneutica, una valutazione della specificità della interpretazione costituzionale, ed infine un’analisi del significato della giurisprudenza costituzionale. La specificità dell’interpretazione costituzionale incontra dunque due temi principali: il problema dell’unità della giurisprudenza ed il suo rapporto con le categorie dell’interpretazione civilistica elaborate dal positivismo giuridico. Il superamento del dogma positivistico della costruzione dell’unico metodo corretto, e l’apertura alle indagine comparatistiche nelle teorie dell’interpretazione del diritto civile, hanno comportato un cambio di paradigma: per la teoria dell’interpretazione la stella polare non è più la coerenza del sistema e la deduzione della risposta giusta attraverso il metodo corretto, ma la soluzione di un problema pratico attraverso l’impiego di molteplici metodi interpretativi capaci di pervenire ad un bilanciamento tra le varie forme di pretese di validità (principi, proposizioni, norme positive, casi precedenti e precomprensioni; si veda, Ehmke, H., Prinzipien der Verfassungsinterpretation, in Beiträge zur Verfassungstheorie und Verfassungspolitik, Bonn, 1981, 331 ss.). Il rapporto tra soluzione di un caso concreto ed il suo inserimento all’interno dell’ordinamento giuridico appare dunque come un circolo ermeneutico: le novità e le peculiarità del caso giurisprudenziale mantengono aperto il carattere dell’ordinamento giuridico, il quale offre delle categorie logiche – sempre meno incontrovertibili – che consentono la comprensione giuridica della fattualità. Il tentativo del positivismo di contestare il rapporto circolare tra pluralismo dei metodi interpretativi ed apertura dell’ordinamento giuridico, restaurando una costruzione gerarchica dei tipi di argomenti, si manifesta – così Ehmke – nell’invocazione del ritorno della supremazia dell’interpretazione letterale e dell’analisi dei lavori preparatori da cui desumere l’intenzione del costituente. Asserito il tramonto delle pretese positivistiche alle deduzioni logicamente necessitate ed all’unico metodo corretto, quale è il criterio-guida per giudicare della costituzionalità delle precomprensioni giuridiche? La risposta di Ehmke a questa domanda si situa nel solco della tradizione ermeneutica: è nella capacità persuasiva di un’argomentazione di teoria costituzionale nei confronti di tutti gli uomini ragionevoli. Le argomentazioni costituzionali richiedono dunque il consenso non solo dei giudici costituzionali, ma dei giudici ordinari, degli attori politici, dei docenti e di tutti i cittadini. Il destinatario dell’argomentazione costituzionale non è più dunque la logica formale capace di verificare la correttezza dell’interpretazione, ma la comunità di tutti gli attori della sfera pubblica che divengono discorsivamente consapevoli della persuasività (o meno) dell’interpretazione della legge fondamentale. In questo modo, nella visione di Ehmke, i soggetti dell’interpretazione costituzionale diventano tutti i membri di quella che Peter Häberle chiamerà la “società aperta degli interpreti della costituzione”; l’oggetto diventa l’insieme delle norme positive, dei precedenti giurisprudenziali, dei principi-beni-valori costituzionali; il metodo diventa una pluralità di metodi interpretativi ed il test finale dell’argomentazione diventa la sua capacità persuasiva. In questo modo Ehmke può proporre una concezione culturale della dottrina e dell’interpretazione costituzionale. Tali impostazioni metodologiche sono state raccolte e sviluppate dai decani della teoria costituzionale tedesca del dopoguerra: Konrad Hesse e Peter Häberle.
Nei suoi autorevoli Grundzüge (Hesse, K., Grundzüge des Verfassungsrechts der Bundesrepublik Deutschland, Heidelberg, 1995) Hesse delinea le categorie fondamentali dell’interpretazione costituzionale. Hesse comincia la esposizione dei metodi interpretativi con una citazione di una sentenza del tribunale costituzionale federale in cui si afferma che «laddove non esistono dubbi, non si interpreta e non si ha dunque neanche bisogno di alcuna interpretazione». La dottrina tradizionale dell’interpretazione ricerca in ogni regola la volontà oggettiva della norma o la volontà soggettiva del legislatore attraverso un esame della lettera della legge, dei lavori preparatori, dell’inserimento all’interno del sistema, o della sua ratio. Una volta individuato il contenuto normativo della regola, i fatti da giudicare vengono sussunti all’interno della norma e la decisione viene “trovata”. Tale impostazione, che presuppone una volontà precedente già compiuta ed una norma giuridica esistente già pronta per essere applicata e che aspetta soltanto di venire scoperta dall’interprete, trova i suoi presupposti storico-metodologici nella pandettistica del XIX secolo e nel dogma volontaristico. Essa – così Hesse – costituisce una mistificazione della realtà. Nella maggior parte dei casi, infatti, la Costituzione non offre alcuna norma precisa suscettibile di applicazione, ma si limita a fornire alcuni punti di appoggio – per di più incompleti ed indefiniti - per la soluzione di un caso concreto. L’interpretazione costituzionale segue dunque un iter argomentativo, ma non consiste in un ragionamento deduttivo. Essa inoltre deve procedere dall’assunto che il suo “scopo” non è precostituito. I singoli metodi interpretativi non garantiscono affatto la univocità del risultato: il tenore letterale è spesso ambiguo, la interpretazione sistematica varia a seconda del parametro di riferimento, l’interpretazione teleologica è una cambiale in bianco concessa all’interprete che può imporre le proprie preferenze individuali spacciandole per lo scopo della norma. Infine – incalza Hesse – nella giurisprudenza e nella dottrina costituzionalistica tedesca, non vi è alcun consenso sul rapporto reciproco tra i diversi metodi interpretativi e sulla possibilità di una loro gerarchizzazione.
Hesse concepisce l’attività di interpretazione costituzionale come un processo di concretizzazione: il contenuto della norma si specifica soltanto successivamente all’attività interpretativa, che mostra così il suo carattere creativo. Per una tale concezione ermeneutica il contenuto di una norma non può essere dedotto dal punto archimedeo della fissità sistematica, ma viene raggiunto a seguito di un procedimento interpretativo che mette in circolo le precomprensioni individuali, le norme giuridiche e le concrete condizioni storico-sociali che influenzano – e che vengono modificate da – la decisione del singolo caso. Ammettere la precomprensione come un legittimo elemento del procedimento interpretativo – con i corollari della legittimità delle aspettative dell’interprete, delle condizioni storico-sociali in cui si svolge l’interpretazione e delle aspettative dell’uditorio – non significa però sancire l’arbitrarietà dei criteri di giudizio. La scelta dei topoi argomentativi è limitata, così Hesse, da quattro fattori principali: innanzitutto vengono esclusi tutti quei punti di vista che non pertengono al caso in esame; quindi si escludono gli argomenti che non attengono al Normprogramm (è questo l’ambito privilegiato dei metodi interpretativi tradizionali), quelli che esulano dal Normbereichs (l’ambito di applicazione della norma ed il mondo di vita cui si riferisce), quelli che non rispettano il principio della unità della costituzione (l’ambito della interpretazione sistematica e della totalità ermeneutica) ed infine, nell’ambito dei diritti fondamentali, quelli che ignorano i livelli sovranazionali ed internazionali e che rifiutano il ricorso al metodo comparativo.
Il principio generale della concordanza pratica implica inoltre che allorquando vi siano collisioni tra pretese giuridiche confliggenti, l’interprete non procede ad una sbrigativa ponderazione dei beni e dei valori coinvolti, o tra essi ed un superiore interesse generale, ma si attiene ai parametri costituzionali entro cui può aver luogo il bilanciamento. Infine – conclude Hesse – la stella polare dell’interpretazione deve sempre essere il principio della forza normativa della costituzione, secondo cui tra possibili opzioni ermeneutiche, l’interprete deve sempre favorire la soluzione che espande la forza della legge fondamentale, rispetto alla soluzione che ne restringe l’ambito di applicazione. Il procedimento ermeneutico ancorato alle circostanze concrete del caso in esame, orientato normativamente dalla costituzione, ed argomentato secondo topoi delimitati, comporta l’abbandono di una pretesa di assoluta correttezza (tipica delle scienze naturali) in favore di una ricerca di una razionalità possibile che si lascia controllare dalla sua forza persuasiva. La concezione dell’interpretazione costituzionale come di una concretizzazione esalta la doppia natura del testo costituzionale, che è al contempo norma ordinante e compito da realizzare.
La lezione di Hesse è stata ripresa e ampliata dal suo allievo Peter Häberle, che in polemica contro il formalismo ed il positivismo testualista prefigura una duplice funzione dei principi costituzionali: essi non adempiono soltanto ad una funzione integrativa dell’interpretazione delle norme giuridiche, bensì svolgono anche una funzione pedagogica; il principio democratico, repubblicano, della dignità dell’uomo, dello stato sociale, ecc… sono dunque degli scopi educativi (eccedenza di contenuto deontologico e pedagogico!). La riduzione dei principi costituzionali alla dimensione giuridico-formale li renderebbe precari; viceversa l’interpretazione pedagogico-costituzionale consente di contestualizzare la forza normativa della costituzione nel processo di apprendimento critico che genera il contratto infra-generazionale (Häberle, P., Verfassungsprinzipien als Erziehungsziele, in Rechtsvergleichung im Kraftfeld des Verfassungstaates, Berlin, 1992, 332 ss.). La polemica contro la chiusura del testualismo positivista si allarga anche alla polemica contro a chiusura nazionalistica e monodimensionale dell’interpretazione costituzionale: nel corso di tutta la sua opera Häberle ha sempre insistito sul posto centrale della comparazione giuridica, sul paradigma dei livelli testuali e sui processi di ricezione e comunicazione tra culture costituzionali.
Questa insistenza sul carattere culturale del testo costituzionale, della comunità che struttura e del processo aperto e critico della sua interpretazione – ispirato dal pensiero delle possibilità – conducono ad una concezione culturale dei diritti fondamentali nello stato costituzionale e richiedono un salto metodologico dalla Staatslehre alla Verfassungslehre, dalla dottrina dello stato a quella della costituzione. La polemica costituzionalistica contro il testualismo implica una concezione aperta del catalogo dei diritti fondamentali. La considerazione dei diritti fondamentali come di una «totalità tendenzialmente espansiva» comporta tanto la possibilità di enucleare giurisprudenzialmente nuovi diritti, quanto la possibilità di sviluppare pretorilmente nuove dimensioni di tutela dei diritti già storicamente riconosciuti. Il superamento delle concezioni liberali classiche, che configurano i diritti pubblici soggettivi come mere difese dell’individuo contro lo stato, comporta dunque, tramite il riconoscimento della centralità del concetto di funzione sociale, una costellazione normativa di principi costituzionali che possono entrare in conflitto tra loro.
Nel contesto statunitense la produzione accademica sull’interpretazione costituzionale è sterminata e vivissima. La lunga tradizione del judicial review ed il progressivo rafforzamento della Corte suprema federale hanno di fatto concentrato l’attenzione sull’ambito dell’applicazione giudiziaria della costituzione. Negli Stati uniti spesso le teorie dell’interpretazione costituzionale si intrecciano con le teorie sulla posizione della Corte suprema federale all’interno del sistema politico. In via generale si fronteggiano, come in ogni cultura giuridica, ma con proprie specificità politiche, teorie conservative e teorie evolutive. Le prime invocano l’esigenza di restringere l’arbitrarietà dell’interprete mediante l’adesione al testo originario, all’intenzione del costituente o del testo costituzionale oggettivato, le seconde ricorrono alla metafora della living constitution per sostenere il carattere dinamico ed evolutivo dell’interpretazione costituzionale. Non mancano pregevoli ricostruzioni intermedie (Balkin, J. M., Living originalism, Cambridge MA, 2011) che ravvisano nella stessa visione originaria dei padri costituenti (v. Federalist 78) una concezione che tiene in egual considerazione le esigenze di fedeltà alle origini e le esigenze di fedeltà alla realtà che si trasforma. In presenza di una fiorentissima produzione accademica sulle teorie dell’interpretazione costituzionale, la Corte suprema federale non ha mai adottato una vera e propria teoria specifica. Nel contesto statunitense il dibattito muove sempre dalla confutazione delle teorie originaliste (testualiste ed intenzionaliste) che fanno della loro assenza di sofisticazione ermeneutica un punto di forza per veicolare un’operazione ideologica di sostegno ad un attivismo giudiziario mascherato da deferenza. È importante ricordare che nel contesto culturale statunitense, ossessionato dalla giurisprudenza, non mancano voci importanti che puntano l’attenzione sul ruolo del popolo nell’interpretazione costituzionale (Ackerman; Tushnet; Kramer), tra cui la voce più influente rimane quella di Robert Cover con la sua distinzione tra nomos imperiale e nomos paideico (Cover, R., Nomos e narrazione, a cura di M. Goldoni, Torino, 2008).
Mentre la normatività imperiale mira a stabilizzare l’assetto istituzionale, la normatività paideica produce nuovi significati normativi nelle relazioni sociali. I movimenti e le comunità producono normatività nelle loro lotte per il riconoscimento di istanze di giustizia, le istituzioni statali (tra cui le corti) scelgono tra le possibilità interpretative loro offerte dai gruppi. La normatività paideica è giusgenerativa, quella imperiale giuspatica: «l’interpretazione ha sempre luogo all’ombra della coercizione. Tenendo conto di questo fatto, dovremmo giungere a riconoscere un ruolo speciale alle corti. Esse – almeno le corti dello Stato, s’intende – sono caratteristicamente “giuspatiche” (jurispathic). Va rilevato, per la sua importanza, il fatto che nei miti e nella storia, l’origine e la giustificazione di un tribunale vengono raramente intese come un bisogno derivato dalla carenza di diritto. Piuttosto la necessità di istituire un tribunale viene interpretata come bisogno di sopprimere parte del diritto, di scegliere fra due o più leggi, oppure imporre una gerarchia fra diritti. È la molteplicità delle leggi, ossia la fecondità del principio giusgenerativo, la causa del problema di cui le Corti e lo Stato vorrebbero costituire la soluzione» (Cover, R., op.cit., 2008, 59). Nella visione di Cover, i giudici non creano diritto; al contrario essi amministrano la violenza statale sacrificando possibilità interpretative. Seconda questa concezione è la normatività paideica che produce costantemente un sovrappiù di diritto, che la normatività imperiale cerca di ridurre ed ordinare. Ciò presuppone un pluralismo radicale, l’impossibilità di ridurre ad un unità la molteplicità dei mondi normativi delle comunità umane. «I Codici che legano il sistema normativo alle nostre costruzioni sociali della realtà e alle nostre visioni di ciò che il mondo potrebbe divenire hanno una natura narrativa. La stessa imposizione di una forza normativa su uno stato di cose, reale o immaginario che sia, consiste nell’atto di creare una narrazione. I vari generi della narrazione – storia, romanzo, tragedia, commedia – sono simili nella loro condizione di racconto di uno stato di cose investito da un campo di forza normativo. Vivere in un mondo giuridico richiede che non si conoscano solo i suoi precetti, ma anche le connessioni fra questi ed altri possibili e plausibili stati di cose. Esso richiede che si integri non solo l’essere e il dover essere, ma più precisamente l’essere, il dover essere e il “potrebbe essere”. La narrazione è il materiale che integra fra loro questi domini. Le narrazioni sono modelli attraverso i quali studiamo ed esperiamo le trasformazioni che si verificano quando un dato stato di cose viene fatto passare attraverso il campo di forza di un altrettanto semplificato insieme di norme» (Cover, R., op. cit., 2008, 24).
Il messaggio profondo della riflessione di Cover consiste nell’unione stabilita tra il testo costituzionale e le narrazioni sociali che forniscono forza e legittimazione alle prassi istituzionali, tra il diritto e la letteratura. Compito del potere giudiziario è quello di scegliere tra interpretazioni possibili che le parti offrono: sono i movimenti sociali, gli individui che lottano per il riconoscimento dei propri diritti fondamentali e gli avvocati che traducono in linguaggio giuridico le pretese del mondo della vita a creare il diritto. Per interpretare il diritto costituzionale il testo è il punto di partenza che delimita il campo e orienta il senso di marcia, ma sono le narrazioni sociali a conferire linfa vitale alla concretizzazione dei principi costituzionali. La lotta tra il nomos paideico e quello imperiale è eterna, perché le costituzioni pluralistiche vogliono sia la stabilità e fedeltà alla tradizione, sia la trasformazione e l’adeguamento ai valori sociali.
«Perenne, invero, e non mai condotto a termine, è il compito dell’interpretazione» (Betti, E. op. cit., 859).
Costituzione della Repubblica italiana; Legge Fondamentale per la Repubblica federale tedesca; Costituzione degli Stati Uniti d’America.
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