interrogative dirette
Le interrogative dirette sono frasi indipendenti (come negli esempi 1 e 2) o principali (es. 3) che contengono una domanda:
(1) hai dormito bene?
(2) quando vieni?
(3) pensi che Carlo abbia ragione?
Nella lingua parlata, il segnale essenziale della frase interrogativa diretta è una tipica intonazione ascendente (➔ intonazione). Nella lingua scritta, il suo segnale è il punto interrogativo che la chiude: ‹?›.
A seconda dei parametri utilizzati, è possibile distinguere le frasi interrogative dirette in due classi. La prima distinzione va fatta fra interrogative canoniche o non marcate (cioè normali) e interrogative non canoniche o marcate (Fava 1984: 18-19; Fava 20012: 72-74); la seconda fra interrogative totali, interrogative parziali e interrogative disgiuntive o alternative (Serianni 1988: cap. XIII, § 6; Salvi & Vanelli 2004: 209-211).
La ragion d’essere di una frase interrogativa canonica è quella di ottenere una risposta (qui indicata con ri):
(ri1) sì
(ri2) domani
(ri3) no
Oltre che esplicita, la risposta può anche essere extralinguistica o paralinguistica: per es., alla domanda che cosa ti hanno regalato? posso rispondere indicando un libro sul tavolo, o facendo un gesto che significa «niente», mentre alla domanda hai fame? posso rispondere accennando sì o no con la testa.
Anziché una risposta, a una domanda può seguire una replica, consistente, di volta in volta, in un’altra domanda (re1), in un’esclamazione (re2), in un’affermazione che nega la possibilità di fornire una risposta (re3) e anche in altre possibili soluzioni:
(re1) perché me lo chiedi?
(re2) mai una volta che venissi tu!
(re3) non lo so
Alle interrogative dirette canoniche, la cui ragion d’essere è, come s’è detto, quella di ottenere una risposta, si oppongono le interrogative dirette non canoniche, che non veicolano (o non veicolano principalmente) una domanda vera e propria, ma un atto linguistico d’altro tipo, la cui ragion d’essere non è, o non è principalmente, quella di ottenere una risposta. Rientrano in questa categoria:
(a) le interrogative retoriche (o fittizie), nelle quali chi fa la domanda non richiede affatto una risposta;
(b) le interrogative ottative-dubitative, con le quali si esprime un dubbio o un desiderio in merito a ciò che viene espresso con la domanda;
(c) le interrogative-eco, nelle quali si riprende in tutto o in parte ciò che è stato detto prima da un altro parlante allo scopo di ottenere un chiarimento o un supplemento d’informazione;
(d) le interrogative orientate, le quali preannunciano una risposta positiva o negativa (l’intera lista è ricavata da Fava 20012: 112-127).
Le ➔ interrogative retoriche veicolano domande alle quali non è previsto che chi ascolta dia una risposta: questa è, in qualche modo, implicita nella domanda, perché chi la formula già conosce o già si è data la risposta. Alla domanda non sarebbe (forse) meglio per tutti se non ci fossero guerre?, la risposta implicita, già data da chi la formula, è sì, sarebbe meglio per tutti se non ci fossero guerre. A volte la domanda è retorica non perché la risposta sia scontata, ma perché è imposta dal parlante o da un contesto in cui l’interlocutore o gli interlocutori devono rimanere silenziosi. Se, in un discorso pubblico, un oratore dice: è forse questa la soluzione del problema?, la risposta implicita (la soluzione del problema non è questa) non è scontata, ma è imposta dal parlante e dalla situazione.
Quando una domanda retorica provoca una risposta, e in particolare una risposta diversa da quella che si è data chi l’ha formulata, si ha una sorta di ‘collasso’ conversazionale: la domanda, cioè, provoca un effetto indesiderato o inaspettato. Tipici esempi di risposte inaspettate a domande retoriche sono quelle date talvolta dai bambini, con effetto (anche divertito) di sorpresa sugli interlocutori adulti, come in (4):
(4) – Vuoi fare arrabbiare papà?
– Sì
Nei soliloqui le domande sono intrinsecamente retoriche, perché non c’è nessuno che possa rispondere, a prescindere da ciò che chiedono: perché non sono morto anch’io con lei? A volte chi pone la domanda retorica fornisce subito anche la risposta: perché devo preoccuparmi tanto per questa storia?
Oltre che i modi verbali propri dell’interrogativa canonica (e cioè, come in tutti gli esempi fin qui allegati, l’indicativo e, in misura ridotta, il condizionale: vedi più avanti), l’interrogativa retorica può avere il verbo all’➔infinito: io chiederle scusa? Mai! In particolare, un’interrogativa retorica all’infinito introdotta da perché equivale a un’esortazione o a una proposta: perché non fare tutti un passo indietro? (= «facciamo tutti un passo indietro», «propongo di fare tutti un passo indietro»).
Interrogative didascaliche, narrative e fàtiche. Rientrano tra le interrogative retoriche le interrogative didascaliche (che servono a spiegare qualcosa), le interrogative narrative (che servono a raccontare qualcosa) e le interrogative fàtiche (che servono ad attivare o a mantenere il contatto comunicativo con l’interlocutore: cfr., su queste tipologie, Serianni 1988: cap. XIII, §§ 12, 13 e 15).
L’interrogativa didascalica è tipica della lingua delle lezioni, delle conferenze e dei libri scolastici. Si ha quando, nel corso di una spiegazione, chi parla o scrive rivolge una domanda a sé stesso, fingendo che essa venga da chi ascolta o legge:
(5) La società contemporanea trae origine dalla rivoluzione francese e dalla rivoluzione industriale. Dove e quando nacque il primo nucleo industriale moderno? Nacque in Inghilterra intorno al 1780
Le interrogative narrative compaiono soprattutto nei testi narrativi, in particolare nelle fiabe. Come nel caso precedente, l’emittente rivolge a sé stesso una finta domanda per catturare l’attenzione del destinatario:
(6) cammina cammina, chi incontrò il nostro eroe? Incontrò un mago
Le interrogative fàtiche, infine, veicolano le tipiche domande fittizie che si fanno per aprire o mantenere la conversazione con qualcuno, soprattutto in situazioni formali: Come va? (anche rivolto a estranei, sul modello dell’angloamericano how do you do?), come sta?, anche lei qui?, eccetera.
Con le interrogative ottative-dubitative si esprime un dubbio (7 e 8) o un desiderio (9 e 10) in merito a ciò che viene espresso con la domanda:
(7) che sia lui?
(8) che gli sia successo qualcosa?
(9) (che) fosse il mio giorno fortunato?
(10) (che) avessi vinto alla lotteria?
Come risulta dagli esempi appena visti, le interrogative ottative-dubitative hanno il verbo al congiuntivo, presente o passato se esprimono un dubbio, imperfetto o trapassato se esprimono un desiderio. Se veicola un dubbio, questo tipo di frase interrogativa è aperto obbligatoriamente dalla parola che, la quale, in questo caso, non è un pronome interrogativo e non introduce un’interrogativa cosiddetta parziale (vedi più avanti; ➔ che polivalente), ma è una congiunzione subordinante che sottintende una frase sovraordinata del tipo credi, crede, credete, pensi, pensa, pensate (si tenga conto che il verbo alla seconda persona singolare lo usiamo anche per rivolgerci a noi stessi; Serianni 1988: cap. XI, § 396).
Mette conto segnalare, infine, che un’interrogativa dubitativa può essere contrassegnata anche dal verbo all’infinito: che dire? che fare? dove andare?; al futuro: che dirò? che farò? dove andrò?; al presente usato al posto del futuro: e adesso, che dico? che faccio? dove vado?
Un’interrogativa-eco veicola una domanda-eco, cioè una domanda realizzata ripetendo in tutto o in parte, in forma interrogativa, ciò che è stato appena affermato dall’interlocutore. Per es., a un’affermazione come oggi arriva Gianni possono seguire diverse interrogative-eco:
(11) oggi arriva chi?
(12) Gianni chi?
(13) oggi arriva Gianni?
(14) Gianni? Giacomo, vorrai dire
Le domande-eco possono avere diverse funzioni. Per es., (11) chiede di ripetere in parte quanto è stato appena detto, perché non lo si è capito bene; (12) chiede un supplemento d’informazione; (13) esprime sorpresa o incredulità; (14) suggerisce una correzione.
Le interrogative orientate sono quelle che veicolano una domanda orientata, la quale cioè preannuncia una risposta positiva o negativa. Alcune domande, infatti, hanno un significato tale (o sono formulate in modo tale) da richiedere una risposta obbligata da parte del destinatario. Si pensi, in particolare, alle affermazioni che si concludono con parole o frasi come vero?, non è vero?, no?, è così?, non è così?, non credi (non crede, non credete)? Tutte queste sono domande su affermazioni, veicolate da interrogative cosiddette parentetiche (Fava 20012: 123-127; ➔ parentetiche, frasi; ➔ intercalari), che orientano l’interlocutore nella risposta, spingendolo a confermare quello che è stato detto, come in (15):
(15) – Il posto è delizioso, vero? [oppure: non è vero? no? non credi?]
– Sì, non c’è dubbio, il posto è proprio delizioso.
Un’interrogativa è totale quando la domanda che contiene investe l’intera frase, e in particolare il rapporto fra soggetto (espresso o sottinteso) e predicato: Gianni ha fatto l’esame?, Partite?, Vuoi un panino?, ecc. Sebbene, normalmente, le interrogative totali vertano sull’intera frase, è anche possibile che esse vertano su un particolare costituente. Per es., nella frase Gianni ha invitato Laura? la domanda può investire l’intera frase o il solo costituente Laura.
Le interrogative totali sono chiamate anche interrogative dirette alternative (Fava 20012: 70; Salvi & Vanelli 2004: 211); la qualifica più efficace (che fa riferimento al fatto che questi tipi di frasi sono, generalmente, la manifestazione linguistica di atti di domanda praticati per ottenere una risposta) è però quella di domande sì / no (o polari: Tekavčić 1980: II, p. 420; Serianni 1988: cap. XIII, § 7): la domanda veicolata da un’interrogativa totale richiede, infatti, come risposte fondamentali, le profrasi sì o no (vedi oltre), fermo restando il fatto che le risposte possibili, anche se meno tipiche, sono anche altre: non (lo) so, forse, grazie, ecc.
Le interrogative totali non hanno contrassegni particolari. Gli unici segnali costanti sono, come si è accennato, la curva intonativa ascendente nel parlato (➔ curva melodica) e il punto interrogativo nello scritto. Nell’italiano parlato in Toscana e a Roma e nel Lazio (Telmon 1993: 121), tuttavia, la domanda può essere introdotta dal segnale di interrogazione che:
(16) a. c’è Carla?
b. che, c’è Carla?
(17) a. mi fai guidare?
b. che, mi fai guidare?
In Toscana un altro segnale d’interrogazione è o, che nelle interrogative parziali precede la parola interrogativa (18, da Giannelli 1988: 600), mentre nelle interrogative totali precede la negazione un o l’altro segnale d’interrogazione che (19 e 20, da Garzonio 2004: 223):
(18) o chi c’era?
(19) o un tu eri bell’e partito?
(20) o che gl’è questo il modo?
Il che segnale d’interrogazione di cui qui si tratta non va confuso con il che pronome interrogativo oggetto dell’infinito fare il quale, ‘estratto’ (vedi oltre) dalla struttura infinitiva introdotta da a, apre frasi interrogative (generalmente retoriche) del tipo che ce lo dici a fare?, di origine centromeridionale ma ormai diffuse nel parlato di tutta Italia (D’Achille 2001).
Nelle interrogative dirette totali la disposizione degli elementi che costituiscono la frase è notevolmente libera, come dimostrano gli esempi che seguono, nei quali i costituenti frasali sono sempre gli stessi, ma la loro collocazione è di volta in volta diversa:
(21) Carla, domani, potrà prendere l’aereo?
(22) potrà prendere l’aereo domani, Carla?
(23) l’aereo, domani, Carla potrà prenderlo?
(24) l’aereo, Carla, potrà prenderlo domani?
(25) domani, Carla potrà prendere l’aereo?
(26) Carla potrà prendere l’aereo, domani?
Naturalmente, la diversa collocazione delle parole non è priva di conseguenze sul significato della domanda e sull’orientamento della risposta. A seconda di dove vengono collocati, i diversi costituenti frasali vengono tematizzati o focalizzati, cioè messi in evidenza (➔ focalizzazioni), diventando in questo modo l’argomento centrale della domanda: così, per es., mentre in (21) e in (22) il centro della domanda è Carla, in (23) e in (24) il centro della domanda è l’aereo; infine, in (25) e in (26) il centro della domanda è domani.
Un’interrogativa è parziale quando la domanda investe solo uno degli elementi della frase, e la risposta riguarda solo l’elemento non noto. Nella domanda chi ha suonato? non metto in dubbio che qualcuno abbia suonato: voglio sapere chi lo ha fatto; in quando sei arrivato? non metto in dubbio che tu sia arrivato, ma voglio sapere quando. Questo tipo di interrogative dirette, oltre che parziali, è chiamato anche di tipo x (Fava 20012: 70; Salvi & Vanelli 2004: 209), dove x è una funzione interrogativa che contiene diverse variabili: è, cioè, una parola interrogativa che può interrogare sull’identità (per es., chi, che cosa: chi, che cosa hai visto?), sulla qualità (per es., che, quale: che [o quale] vestito preferisci?), sul tempo (per es., quando: quando vieni?), sul luogo (per es., dove: dove andate?), sul modo (per es., come: come stai?), sulla causa o sullo scopo (per es., perché: perché lo fai?).
Più semplicemente (ma con altrettanta efficacia) si può ricordare che l’interrogativa parziale, a differenza della totale, è sempre aperta da una parola interrogativa, detta operatore interrogativo (Benincà 1993: 275) che può essere, a seconda dei casi, un avverbio (come stai?), un aggettivo (quale dolce preferisci?) o un pronome (chi te lo ha detto?).
È interessante ricordare che, siccome in inglese gli operatori che più frequentemente aprono l’interrogativa parziale iniziano tutti per wh- (who, what, when, where, why), da ciò si è diffusa la denominazione alternativa di wh-questions (o domande k, dato che in italiano le parole interrogative cominciano quasi tutte con /k/). Nell’interrogativa parziale l’intonazione ascendente investe la parola interrogativa e il verbo, ed eventualmente il costituente che segue; il resto della frase viene pronunciato con intonazione spezzata. Come risulta dagli esempi che precedono, normalmente l’operatore è la prima parola della frase, ma può essere preceduto da una preposizione: da dove vieni?, di quali dolci sei goloso?, a chi lo hai detto?
Se c’è bisogno di metterlo in rilievo, l’operatore non apre, ma chiude la domanda. Anche in questo caso l’intonazione ascendente si concentrerà sulla parola interrogativa:
(27) vieni da dove?
(28) sei goloso di quali dolci?
(29) lo hai detto a chi?
Di solito l’interrogativa parziale contiene una sola parola interrogativa. Se ne contiene più d’una, gli elementi interrogativi sono coordinati mediante la congiunzione e: chi è venuto e quando? Interrogative multiple in cui una parola interrogativa occupa la posizione iniziale e un’altra, senza la congiunzione e, segue il verbo (chi è chi?, chi fa che cosa?) sono proprie di uno stile anglicizzante (Fava 20012: 102), dato che la struttura ricalca un’analoga struttura inglese.
Invece che far parte della frase interrogativa, la parola interrogativa può far parte di una frase subordinata completiva introdotta da che (30) o da di (31), dalla quale viene, per così dire, estratta:
(30) chi pensi che piaccia a Carla?
(31) quando pensi di venire a trovarci?
Mentre, come si è detto, nelle interrogative totali la collocazione dei costituenti (compreso il soggetto) è notevolmente libera, nelle interrogative parziali la presenza dell’operatore in posizione iniziale ha conseguenze automatiche sull’ordine degli altri costituenti, e in particolare sul ➔ soggetto. Questo, se è espresso (e non coincide col pronome che apre l’interrogativa), è normalmente collocato alla fine della frase: quando è arrivato Marco? Se invece deve essere messo in rilievo, il soggetto viene dislocato a sinistra della parola interrogativa e del verbo: Marco, quando è arrivato?
Mette conto segnalare, tuttavia, che – fatti salvi i casi in cui ciò non sia di danno alla comprensione del discorso – nell’italiano contemporaneo il soggetto tende a non essere espresso, così nelle interrogative come in tutti gli altri tipi di frase (Patota 1990: 17 e 325-333 e note; Palermo 1997: 21-24 e note). Così, per es., in un contesto in cui il soggetto rappresentato da Carla fosse già stato esplicitato in precedenza, le frasi interrogative esemplificate in (21-26) si presenterebbero, nella forma non marcata, senza soggetto nominale, come in (32-35), mentre l’espressione della parola lei, sostituente pronominale di Carla, attribuirebbe loro un tratto di marcatezza, come in (36-41):
(32) domani, potrà prendere l’aereo?
(33) potrà prendere l’aereo domani?
(34) l’aereo, domani, potrà prenderlo?
(35) l’aereo, potrà prenderlo domani?
(36) lei, domani, potrà prendere l’aereo?
(37) potrà prendere l’aereo domani, lei?
(38) l’aereo, domani, lei potrà prenderlo?
(39) l’aereo, lei, potrà prenderlo domani?
(40) domani, lei potrà prendere l’aereo?
(41) lei potrà prendere l’aereo, domani?
Come si mostra in Patota (1990), nell’italiano antico la strutturazione della frase interrogativa era diversa. In particolare, l’interrogativa diretta totale presentava, assai più della parziale, in cui comunque il fenomeno era presente (42), una forte e quasi generalizzata tendenza a esprimere il soggetto pronominale e a posporlo al verbo, come in (43-45):
(42) Chi se’ tu che vieni anzi ora? (Dante, Inf. VIII, 33)
(43) Figliuolo mio, tu se’ molto savio: or non pensi tu ch’i’ ho figliuoli piccolini, li quali mi conviene nodricare? Vo’ tu che io li abandoni? (Novellino LXXII)
(44) reputianci noi men care che tutte l’altre? (Boccaccio, Dec. I, Introduzione)
(45) Sapete voi qual è la più bella storia che sia nella Bibbia? (Franco Sacchetti, Trecentonovelle, 2)
In assenza di altri segnali grammaticali (come le parole interrogative nel caso delle parziali), nelle interrogative totali l’espressione del soggetto pronominale e la sua collocazione a destra del verbo, in posizione per così dire invertita rispetto a quella tipica della frase non interrogativa, si configurò come un vero e proprio segnale d’interrogatività. Tale costruzione, normale nel fiorentino parlato e scritto del Trecento, venne accolta in modo generalizzato dagli scrittori italiani dei secoli successivi, intenzionati a far proprio il modello offerto dalla lingua di ➔ Dante, ➔ Francesco Petrarca e ➔ Giovanni Boccaccio, e declinò dall’uso italiano scritto solo a partire dal secondo Ottocento, in forza di una nuova tendenza, inaugurata da ➔ Alessandro Manzoni nell’edizione definitiva dei Promessi sposi (1840-1842), volta a ridurre lo scarto fra lingua scritta (caratterizzata anche, per la spinta imitativa di cui si è detto, dalla struttura interrogativa con pronome personale soggetto espresso e posposto al verbo) e lingua parlata (in cui invece era normale la struttura interrogativa senza soggetto espresso).
Diversa dall’interrogativa diretta totale e dall’interrogativa diretta parziale è l’interrogativa diretta disgiuntiva o alternativa (46 e 47), con la quale si offrono due possibilità di scelta:
(46) preferisci l’acqua naturale o / oppure frizzante?
(47) l’acqua, la preferisci naturale o / oppure frizzante?
Come risulta dagli esempi, le parole dell’interrogativa disgiuntiva che esprimono la seconda possibilità sono collegate alle parole che esprimono la prima possibilità da o o da oppure.
In tutti gli esempi fin qui riportati il verbo della frase interrogativa diretta canonica, totale o parziale o disgiuntiva che sia, è all’indicativo, che è il modo di gran lunga più usato. Solo in alcuni casi il verbo dell’interrogativa diretta è al condizionale, che in particolare si adopera:
(a) nelle domande che esprimono una conseguenza, come in (48):
(48) se ti invitassi, verresti a cena con me?
e dove la condizione può anche essere sottintesa, come in (49):
(49) verresti a cena con me?
(b) per esprimere un dubbio (in particolare, coi verbi potere, dovere, volere): dove potremmo andare a cena stasera?, che dovrei (potrei) fare per scusarmi?, che vorresti dire?; rientrano in questa tipologia alcune espressioni che hanno una certa carica polemica: sarebbe a dire?, come sarebbe a dire?
Oltre che una domanda, un’interrogativa diretta può veicolare una richiesta, la cui ragione d’essere non è quella di ottenere una risposta, ma quella di agire sul destinatario della domanda per ottenere qualcosa (50-51):
(50) mi presti cento euro?
(51) puoi passarmi l’olio?
Un commensale che interpretasse la frase interrogativa diretta (51) come una domanda e non come una richiesta di azione, potrebbe, per assurdo, rispondere semplicemente di sì, senza passare l’olio. Rientrano nella tipologia appena descritta alcune domande che interrogano sull’ora del giorno: sai l’ora?, sa dirmi l’ora?, sai che ore sono? Se non si conosce l’ora, o se la si conosce ma non si vuole dare l’informazione a chi l’ha chiesta, a queste domande si può certamente rispondere di no; sarebbe però impensabile rispondere semplicemente di sì senza indicare l’ora, a meno di non voler suscitare un effetto di sorpresa o d’ilarità.
Nelle frasi interrogative che non veicolano domande ma richieste, chi parla evita di formulare una richiesta in modo perentorio, col verbo all’imperativo (52) o al congiuntivo esortativo (53), e sostituisce la richiesta con una domanda (54-58). Si noti la differenza:
(52) passami il sale!
(53) andiamo al cinema!
(54) mi passi il sale?
(55) mi passeresti il sale?
(56) puoi passarmi il sale?
(57) vogliamo andare al cinema?
(58) ti va di andare al cinema?
Al posto dell’imperativo e del congiuntivo esortativo, in frasi interrogative dirette di questo tipo si adoperano l’indicativo (54), il condizionale di cortesia (55), i verbi potere o volere seguiti dall’infinito (56-57), l’espressione ti (vi) va («gradisci», «hai desiderio di», «gradite», «avete desiderio di»: 58): tutti mezzi attraverso i quali chi parla attenua l’intensità della richiesta.
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