Abstract
Il contributo analizza gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, prendendone in considerazione l’evoluzione storico-giuridica, in seguito all’introduzione di una disciplina ad hoc in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali.
Il reato di interruzione o turbamento di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità tutela il buon andamento della Pubblica Amministrazione, ed in particolare il funzionamento regolare e continuativo dell’ufficio o del servizio (Manzini, V., Interruzione o turbamento di uffici o di servizi pubblici o di servizi di pubblica necessità, in Manzini, V., Trattato di diritto penale italiano, V, Dei delitti contro la pubblica amministrazione e l’amministrazione della giustizia, V ed. aggiornata da P. Nuvolone e G.D. Pisapia, Torino, 1982, 498; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, pt. spec., I, V ed., Bologna, 2012, 300; Romano, M., Art. 340, in Romano, M., I delitti contro la Pubblica Amministrazione. I delitti dei privati. Le qualifiche soggettive pubblicistiche. Artt. 336-360 cod. pen., Milano, 2015, 64; Seminara, S., Art. 340, in Comm. breve cod. pen. Crespi-Forti-Zuccalà, Padova, 2008, 832; Assumma, B., Abbandono o interruzione di uffici, impieghi o servizi pubblici o di pubblica necessità, in Dig. pen., I, Torino, 1987, 24; Mirri, B., Interruzione ed abbandono di pubblici uffici, in Enc. giur., Treccani, Roma, 1989, 2 s.; Contieri, E., Abbandono, interruzione e turbamento di pubblici uffici e di servizi pubblici o di pubblica necessità, in Enc. dir., I, Milano, 1958, 41; sia altresì consentito rinviare a Cassani, C., L’interruzione del servizio pubblico. § 1 - Interruzione di un ufficio o servizio pubblico. Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, in Cadoppi, A.-Canestrari, S.-Manna, A.-Papa, M., a cura di, I delitti contro la Pubblica Amministrazione, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, II, diretto da Cadoppi, A.-Canestrari, S.-Manna, A.-Papa, M., Torino, 2008, 617 ss.; il privato danneggiato non è pertanto legittimato ad assumere la qualità di persona offesa e a proporre opposizione contro la richiesta di archiviazione del pubblico ministero: Cass. pen., sez. VI, 23.9.2011-28.10.2011, n. 39238, S.A.; Cass. pen., sez. VI, 25.1.2011-31.1.2011, n. 3412, P.M., Z.M., B.A.).
L’intenzione del legislatore del 1930 si manifesta nel considerare «ogni offesa all’attuazione dei mezzi di soddisfacimento dei bisogni fondamentali della popolazione» come «un attacco sostanzialmente diretto allo Stato medesimo» (Rocco, A., Relazione sui libri II e III del Progetto, in Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del Guardasigilli On. Alfredo Rocco, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, Roma, 1929, 148).
L’art. 340, co. 1, c.p. prevede un reato comune, che può essere commesso da «chiunque». La qualifica di pubblico ufficiale oppure di incaricato di pubblico servizio rileva al fine della sussistenza della circostanza aggravante ex art. 61, n. 9, c.p. Il ruolo di promotore, capo od organizzatore determina la sussistenza della circostanza aggravante prevista dall’art. 340, co. 2, c.p.
La collocazione sistematica della fattispecie incriminatrice nell’ambito dei delitti dei privati contro la p.a. non rappresenta un elemento preclusivo per la commissione del reato anche da parte dei soggetti qualificati ex artt. 357-359 c.p., secondo l’orientamento dominante (Manzini, V., Interruzione o turbamento, cit., 498; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, cit., 301; Seminara, S., Art. 340, cit., 833; contra, nel senso che soggetti attivi possano essere esclusivamente i privati, Pulitanò, D., Riflessi penalistici della nuova disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, in Legisl. pen., 1991, 182), fatta eccezione per coloro che esercitino attività di servizio pubblico o di pubblica necessità in forma di impresa, qualora ricorrano i requisiti previsti dall’art. 331 c.p. (Romano, M., Art. 340, cit., 65).
La condotta è a forma libera, e può essere sia commissiva, sia omissiva: in quest’ultimo caso, occorre che in capo al soggetto agente sia ravvisabile una posizione di garanzia, che determini l’obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40, co. 2, c.p.
L’evento, di danno, consiste nell’interruzione, che pregiudica la continuità, oppure nel turbamento, che arreca un pregiudizio alla regolarità, dell’ufficio o del servizio.
L’interruzione deve essere oggettivamente significativa (v., ex multis: Cass. pen., sez. V, 6.3.2014-3.4.2014, n. 15388, S.R.; Cass. pen., sez. VI, 21.5.2012-13.7.2012, n. 28110, M.A., P.C.; Trib. Lib. Palermo, ord. 11.2.2009, M.P., in DeJure) e può essere anche temporanea, purché la durata non sia irrilevante (Romano, M., Art. 340, cit., 69 s.; Manzini, V., Interruzione o turbamento, cit., 499 s.; Seminara, S., Art. 340, cit., 833; Contieri, E., Abbandono, interruzione e turbamento, cit., 50).
Anche il turbamento del regolare funzionamento dell’ufficio o del servizio rileva se è temporaneo, qualora sia oggettivamente apprezzabile (Romano, M., Art. 340, cit., 69 s.; Seminara, S., Art. 340, cit., 833; in giurisprudenza v., ex multis: Cass. pen., sez. VI, 11.3.2014-25.3.2014, n. 14010, R.A.; Cass. pen., sez. VI, 30.10.2013-21.11.2013, n. 46461, G.O.; Cass. pen., sez. VI, 4.6.2013-4.7.2013, n. 28716, F.G.; Cass. pen., sez. II, 12.12.2012-14.1.2013, n. 1630, C.L. ed altri; Cass. pen., sez. VI, 1.2.2012-2.7.2012, n. 25574; Cass. pen., sez. VI, 22.9.2011-6.10.2011, n. 36253, C.G.; Cass. pen., sez. II, 8.3.2011-3.5.2011, n. 17096, G.D.; Cass. pen., sez. VI, 9.12.2010-20.1.2011, n. 1555, C.L.; Cass. pen., sez. VI, 5.2.2010-6.3.2010, n. 9074, B.F.R.F., D.C.; Cass. pen., sez. V, 6.5.2009-7.7.2009, n. 27919, D.A.L.; Cass. pen., sez. VI, 5.3.2009-8.7.2009, n. 27997, B.R.; Trib. Santa Maria Capua Vetere, sez. I, 8.3.2010, D.C.L., M.A., D.B.A., G.V., in DeJure; Trib. La Spezia, 28.4.2009, C.T.A.P., ibidem; Trib. Lib. Palermo, ord. 11.2.2009, M.P., ibidem; Trib. Vicenza, 3.5.2013-2.8.2013, n. 335, R.N.H. e altri, inedita).
Sotto il profilo qualitativo, non sussiste unanimità di consensi sull’oggetto materiale della condotta, rispetto al nocumento arrecato al servizio o all’ufficio.
Secondo un orientamento, sostenuto da una parte della dottrina e della giurisprudenza (Manzini, V., Interruzione o turbamento, cit., 500; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, cit., 301; Assumma, B., Abbandono o interruzione, cit., 24; in giurisprudenza v.: Cass. pen., sez. VI, 28.5.2014-29.8.2014, n. 36404, P.S.; Cass. pen., sez. VI, 4.6.2013-4.7.2013, n. 28716, F.G., cit.; Trib. Santa Maria Capua Vetere, sez. I, 8.3.2010, cit.; Trib. Lib. Palermo, ord. 11.2.2009, cit.), esso è rappresentato dall’ufficio o dal servizio nel suo complesso.
A titolo esemplificativo, è stata esclusa la sussistenza del reato in capo a un automobilista per avere, a causa di un litigio con il conducente, arrecato turbamento alla circolazione di una corriera (Cass. pen., sez. VI, 8.6.2006-23.10.2006, n. 35399, N.R.), in quanto l’oggetto della condotta è stato individuato in una parte modesta del trasporto effettuato da un solo mezzo pubblico.
Una diversa impostazione, invece, ritiene sufficiente che l’interruzione o il turbamento riguardino un singolo atto, oppure anche un solo settore, purché in modo apprezzabile (Romano, M., Art. 340, cit., 69; Cass. pen. n. 14010/2014, cit.; Cass. pen. n. 1630/2013, cit.; Cass. pen. n. 25574/2012, cit.; Cass. pen. n. 36253/2011, cit.; Trib. Santa Maria Capua Vetere, sez. I, 12.3.2014-16.7.2014, n. 3011, L.M., in DeJure).
Tale requisito è stato ritenuto sussistente nel caso dell’interruzione e del turbamento dello svolgimento del servizio di pronto soccorso, mediante il ricorso a telefonate di intensità e durata, tali da pregiudicare il continuativo e regolare funzionamento delle linee telefoniche (Cass. pen. n. 14010/2014, cit.).
La distinzione operata tra le due tipologie di evento non sembra tuttavia dirimente, al fine di appurare in concreto l’incidenza della condotta sul funzionamento dell’ufficio o del servizio.
Pare piuttosto preferibile optare per una valutazione che tenga conto, al di là del dato quantitativo – che sembra orientato verso una connotazione eccessivamente formalistica del quantum di servizio o ufficio compromessi –, della qualità del pregiudizio arrecato, sotto il profilo dell’offensività, al fine della sussistenza della tipicità (per una valutazione dell’offensività sotto il profilo della tipicità v.: Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, pt. gen., VII ed., Bologna, 2014, 195 s.; Fiandaca, G., L’offensività è un principio codificabile?, in Foro it., 2001, V, 6 ss.; sia consentito altresì rinviare a Cassani, C., L’interruzione del servizio pubblico, cit., 629).
Come è stato sottolineato, occorre appurare se la condotta abbia cagionato «un effettivo ostacolo al conseguimento dei fini cui l’ufficio o il servizio è preposto» (Seminara, S., Art. 340, cit., 833; v. altresì Cass. pen., sez. VI, 8.4.2003-5.8.2003, n. 33062, Roggero, in Cass. pen., 2004, 430 ss., con nota di Lepera, M., Brevi osservazioni sull’elemento oggettivo del reato di interruzione di un ufficio o di un pubblico servizio (art. 340 c.p.)), valorizzando se sia stato «compromesso, nella sua regolare funzionalità, un settore particolare del servizio» (Cass. pen., sez. VI, 30.4.1997-9.7.1997, n. 6654, T.V.).
Se, da una parte, una breve interruzione, oppure una momentanea alterazione, di un intero servizio o ufficio, possono in concreto condurre ad escludere la rilevanza penale del fatto, d’altra parte anche un’interruzione o un’alterazione di una porzione dell’ufficio o del servizio stesso possono essere tali da arrecare offesa al bene giuridico tutelato, valutandone in concreto, l’entità.
Così, si può pervenire a ritenere significativo il danno cagionato alle linee telefoniche del pronto soccorso, in ragione del rilievo di tale servizio, valutando, nel caso concreto, la durata dell’interruzione o della turbativa, al fine di apprezzarne la consistenza, sotto il profilo dell’offensività (sotto tale profilo v. Cass. pen. n. 14010/2014, cit.).
Il reato non si configura, per assenza di tipicità, nel caso in cui la condotta di interruzione o turbamento sia manifestazione del diritto di sciopero (in questo senso v. Pulitanò, D., Riflessi penalistici, cit., 181).
Tale conclusione discende dall’art. 40 Cost. e dall’introduzione della l. 12.6.1990, n. 146 (recante Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge), il cui art. 1, co. 1, definisce i servizi pubblici essenziali, ambito applicativo nel quale il diritto di sciopero è oggetto di bilanciamento con le esigenze della collettività di fruire degli stessi.
Essi sono individuati nei servizi «volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione», a prescindere dalla qualificazione giuridica del rapporto lavorativo, anche qualora siano svolti mediante concessione o convenzione (v. inoltre l’art. 1, co. 2, lett. a-e, con riguardo alle prestazioni considerate indispensabili nel successivo art. 2, che indica, sotto il profilo procedurale, le regole da osservare). È da segnalare la recente introduzione, con d.l. 20.9.2015, n. 146 (Misure urgenti per la fruizione del patrimonio storico e artistico della Nazione), tra i servizi pubblici essenziali, della «apertura al pubblico dei musei e luoghi della cultura», definiti dall’art. 101 d.lgs. 22.1.2004, n. 40 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
L’indicazione, tra tali servizi, dell’amministrazione della giustizia (art. 1, co. 2, lett. a), è stata oggetto, durante la vigenza della formulazione originaria della legge, di opinioni differenziate in merito alla qualificazione giuridica dell’astensione degli avvocati dalle udienze.
La Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 2, co. 1 e 5, l. n. 146/1990, nella parte in cui non prevedevano, rispetto all’astensione degli avvocati, «l’obbligo di un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale dell’astensione» e non prescrivevano «gli strumenti idonei a individuare e assicurare le prestazioni essenziali, nonché le procedure e le misure consequenziali nell’ipotesi di inosservanza», demandando al legislatore il compito di emanare norme specifiche per tale regolamentazione (v. C. cost., 27.5.1996, n. 171, che ha dichiarato invece l’inammissibilità e l’infondatezza di ulteriori questioni sollevate, in particolare dell’art. 486, co. 5, c.p.p. previgente; v. altresì, in senso conforme sui principi affermati, per la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 486, co. 5, c.p.p.: C. cost., ord. 22.7.1996, n. 273; C. cost., ord. 26.7.1996, n. 318; v. infine, per la manifesta inammissibilità di una nuova questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, co. 1 e 5, l. n.146/1990, precedentemente dichiarata da C. cost., 27.5.1996, n. 171: C. cost., ord. 6.4.1998, n. 105).
La Corte, tuttavia, non qualificava l’astensione quale esercizio del diritto di sciopero, bensì come espressione della libertà di associazione, costituzionalmente tutelata ex art. 18 Cost. (C. cost. n. 171/1996, cit.; per una valutazione dell’astensione quale ipotesi da regolamentare, senza tuttavia ricondurla al diritto di sciopero, v. la declaratoria di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 159, co. 1, c.p. pronunciata da C. cost., 31.3.1994, n. 114).
La Corte di cassazione, in senso conforme, ne ravvisava il fondamento nella causa di giustificazione dell’esercizio del diritto ex art. 51 c.p., e in particolare della libertà di associazione (Cass. pen., sez. VI, 9.1.1997-27.2.1997, n. 1895, Sorrentino e altri, in Cass. pen., 1998, 456 ss., con nota di Di Nicola, P.-Guzzetta, G., «Esercizio del diritto» e suo abuso. L’astensione degli avvocati tra disciplina costituzionale ed ordinamento penale).
In dottrina si registravano posizioni contrastanti, tra lo sciopero ex art. 40 Cost. (Ruga Riva, C., Sciopero - profili penalistici dello, in Dig. pen., Aggiornamento, I, Torino, 2000, 748) e il «quasi sciopero», che con esso condivide la «funzione» e la «incidenza sull’adempimento di prestazioni altrimenti dovute nell’interesse di terzi», con la conseguenza dell’inapplicabilità all’avvocato dell’art. 503 c.p. (Pulitanò, D., Lo sciopero degli avvocati: se, come, quando, in Dir. pen. e processo, 1999, 7). Tale seconda impostazione prende in considerazione un profilo che, effettivamente, distingue la posizione del professionista da quella del lavoratore subordinato, vale a dire l’assenza per il primo di un pregiudizio conseguente all’astensione dalle udienze, e, anzi, il possibile effetto favorevole per il proprio assistito, ad esempio l’allungamento dei tempi del processo.
Il profilo da ultimo delineato, tuttavia, non sembra assumere valore decisivo al fine di escludere la qualifica del diritto all’astensione alla stregua del diritto di sciopero, rilevando piuttosto il riconoscimento del diritto del difensore in rapporto ai beni che rispetto ad esso, nel caso concreto, sono suscettibili di un bilanciamento, valorizzandone i «limiti esterni» (così Ruga Riva, C., Sciopero - profili penalistici dello, cit., 748; i limiti esterni consentono allo sciopero di «espandersi fino al punto in cui non vi ostino esigenze prioritarie di tutela di interessi esterni e contrapposti»: Pulitanò, D., Sciopero: b- Diritto penale, in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, 728 ss.).
La questione è stata solo in parte risolta sul piano normativo, mediante l’espressa previsione dei professionisti, quindi anche degli avvocati, tra i soggetti ai quali la l. n. 146/1990 trova applicazione, con l’introduzione dell’art. 2 bis (l. 11.4.2000, n. 83, Modifiche ed integrazioni della legge 12 giugno 1990, n. 146, in materia di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati).
Permangono infatti orientamenti differenziati in dottrina (nel senso del diritto di sciopero degli avvocati v. Ruga Riva, C., Sciopero degli avvocati e modifiche alla legge sui servizi pubblici essenziali, in Dir. pen. e processo, 2000, 770; riconduce l’astensione al diritto di associazione Vallebona, A., Le regole sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, Torino, 2007, 13; richiama invece la libertà di iniziativa economica privata ex art. 41 Cost. Gianfrancesco, E., «Sciopero» degli avvocati e Costituzione, Milano, 2002, 79 ss.) e in giurisprudenza. Recentemente la Corte di cassazione ha qualificato l’astensione dell’avvocato alla stregua di un diritto, costituzionalmente rilevante, pur senza pervenire a considerarlo come diritto di sciopero, superando l’orientamento consolidato nel senso della libertà di associazione (v.: Cass. pen., S.U., 30.10.2014-14.4.2015, n. 15232, Tibo, Fazio; conf. v.: Cass. pen., S.U., 27.3.2014-29.9.2014, n. 40187, Lattanzio; Cass. pen., S.U., 30.5.2013-19.6.2013, n. 26711, U.V.; nel senso della libertà di associazione v. invece: Cass. pen., sez. VI, 11.2.2015-27.2.2015, n. 8943, M.A. e altri; Cass. pen., sez. IV, ord. 25.3.2014-5.5.2014, n. 18575, Tibo, Fazio; Cass. pen., sez. VI, 24.10.2013-17.1.2014, n. 1826, S.A.).
La conclusione maggiormente condivisibile appare ravvisabile nel riconoscimento del diritto di sciopero degli avvocati, sia, sotto il profilo normativo, per l’espressa previsione dei professionisti tra i destinatari della l. n. 146/1990, sia per ragioni di merito, da rinvenire nell’esigenza di consentire, anche a tale categoria professionale, l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito anche alle altre categorie di lavoratori.
Il Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, approvato dalla Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali il 13.12.2007, prende in considerazione i singoli settori nell’ambito dei quali l’attività professionale viene esercitata, e le prestazioni che devono, comunque, essere assicurate.
Tale normativa ha natura di fonte secondaria ed è da considerare vincolante per il giudice, destinatario della dichiarazione di astensione (in questo senso v.: Cass. pen., S.U., n. 15232/2015, cit.; Cass. pen., S.U., n. 40187/2014, cit.; Cass. pen., S.U., n. 26711/2013, cit.).
In ambito penale, a titolo esemplificativo, non è consentita l’astensione dalle udienze di convalida dell’arresto e del fermo, né dai giudizi direttissimi (art. 4, lett. a), mentre, con riguardo ai processi con imputati in custodia cautelare, essa è possibile, fatta eccezione per i casi nei quali gli imputati avanzino richiesta di celebrazione del processo, la quale comporta il dovere del difensore di svolgere la propria prestazione professionale (art. 4, lett. b).
È da escludere, quindi, che nelle ipotesi di astensione consentite l’avvocato possa commettere il reato ex art. 340 c.p.
3.3 L’art. 340 c.p. e le fattispecie criminose in materia di sciopero
In epoca antecedente all’intervento del Legislatore del 1990, i rapporti tra le fattispecie criminose previste dagli artt. 330, 333, 340 c.p., inerenti l’interruzione, il turbamento e l’abbandono di uffici o servizi pubblici o di pubblica necessità e quelle specifiche in materia di sciopero ex artt. 502-505 c.p. da un lato e il diritto di sciopero dall’altro, sono stati oggetto di pronunce della Corte costituzionale (per un’analisi della giurisprudenza costituzionale v.: Romagnoli, U., Introduzione, in Romagnoli, U.-Balestrero, M.V., Art. 40. Supplemento. Legge 12 giugno 1990, n. 146. Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, Bologna, 1994, Comm. Cost. Branca, 1 ss.; Pera, G., Sciopero: a - Diritto costituzionale e diritto del lavoro, in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, 720 ss.; Giugni, G., Sciopero: I - Ordinamento italiano, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1992, 1 ss.).
Il Giudice delle leggi ha affermato la legittimità dell’abbandono individuale di un ufficio, servizio o lavoro pubblico ex art. 333 c.p., commesso per esercitare il diritto di sciopero, sempre che quest’ultimo sia legittimo (C. cost., 2.7.1958, n. 46: la Corte ha dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata), principio ribadito successivamente rispetto al reato di abbandono collettivo o turbamento di un ufficio, impiego, servizio o lavoro pubblico ex art. 330 c.p., con la precisazione della liceità dello sciopero a fini economici, quale esercizio del diritto ai sensi dell’art. 51 c.p., demandando al giudice di merito la valutazione dell’insussistenza del reato in tali ipotesi (C. cost., 28.12.1962, n. 123: la questione è stata dichiarata infondata per violazione dell’art. 40 Cost. rispetto agli artt. 330, 504, 505 c.p.). L’illegittimità costituzionale dell’art. 330, co. 1-2, c.p., nella parte relativa allo sciopero per motivi economici, che non compromettesse «funzioni o servizi pubblici essenziali, aventi carattere di preminente interesse generale ai sensi della Costituzione», è stata dichiarata invece nel 1969, affidando al legislatore la determinazione delle modalità di esercizio del diritto rispetto ai servizi pubblici essenziali e al giudice il giudizio di bilanciamento dei beni in conflitto (C. cost., 17.3.1969, n. 31, in Giur. cost., 1969, 447, con note di Neppi Modona, G., Sciopero nei pubblici servizi, ordinamento corporativo e politica costituzionale, e Zaccaria, R., Illegittimità dell’art. 330 c.p.: un’altra sentenza difficile della Corte Costituzionale), principio, quest’ultimo, affermato nuovamente ai fini sia dell’art. 330 c.p., sia dell’art. 340 c.p., rispetto all’individuazione dei servizi essenziali e delle singole esigenze (C. cost., 3.8.1976, n. 222).
La prudenza della Corte costituzionale, manifestatasi nella solo parziale declaratoria di incostituzionalità dell’art. 330 c.p., è stata oggetto di censure, rispetto all’incompatibilità tra tale fattispecie delittuosa e l’ordinamento costituzionale, considerando la matrice storica e politica della criminalizzazione dello sciopero, quindi il contesto nel quale tale norma era stata emanata, tale da far propendere per un’incostituzionalità totale della stessa, in quanto incompatibile con il riconoscimento del diritto di sciopero ex art. 40 Cost. (così v. Neppi Modona, G., Sciopero nei pubblici servizi, cit., 430 ss.).
L’art. 11 l. n. 146/1990 ha abrogato gli artt. 330 e 333 c.p.
Non appare attualmente sostenibile che la depenalizzazione di tali fattispecie criminose possa condurre ad estendere l’ambito applicativo dell’art. 340 c.p., norma che peraltro è sempre stata connotata da un carattere residuale, in forza della clausola di sussidiarietà espressa (Romano, M., Art. 340, cit., 66). Né si ravvisa la possibilità di ricondurre a tale reato comportamenti riconducibili ai delitti di sciopero e serrata per fini contrattuali (art. 503 c.p.) o non contrattuali (art. 504 c.p.), nella formulazione oggi vigente.
A tale conclusione si perviene anche con riferimento agli scioperi effettuati in violazione delle norme della l. 146/1990, che per queste ipotesi prevede un apparato sanzionatorio ad hoc sotto il profilo disciplinare, civile e amministrativo (Romano, M., Art. 340, cit., 67; Pulitanò, D., Riflessi penalistici, cit., 181 s.).
Permane invece la rilevanza penale di fattispecie di reato, riconducibili allo sciopero, previste da speciali disposizioni di legge, quali: il reato di ammutinamento ex art. 1105 c.nav., per quanto riguarda il personale marittimo (ha dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma C. cost., 28.12.1962, n. 124: nel senso dell’incompatibilità del reato con la l. n. 146/1990 rispetto all’ammutinamento derivante dallo sciopero del personale marittimo v. Ruga Riva, C., Sciopero - profili penalistici dello, cit., 743), nonché, per espressa previsione dell’art. 20 l. n. 146/1990, l’abbandono degli impianti nelle centrali nucleari da parte del personale «indispensabile» ex artt. 48 e 138 d.lgs. 17.3.1995, n. 230 (Attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom, 2006/117/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti, 2009/71/Euratom in materia di sicurezza nucleare degli impianti nucleari e 2011/70/Euratom in materia di gestione sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi derivanti da attività civili: norme applicabili in seguito all’abrogazione del d.P.R. 13.2.1964, n. 185, Sicurezza degli impianti e protezione sanitaria dei lavoratori e delle popolazioni contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti derivanti dall’impiego pacifico dell’energia nucleare, ex art. 163 d.lgs. n. 230/1995, il cui co. 2 rinvia alle norme del d.lgs. n. 230/1995), e, per i soggetti appartenenti alla Polizia di Stato, l’abbandono del posto o del servizio ex art. 72 l. 1.4.1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza).
Nei casi in cui l’interruzione oppure il turbamento dell’ufficio o del servizio pubblico esorbitino dai limiti esterni del diritto di sciopero, possono ravvisarsi gli estremi di fattispecie criminose differenti.
Si può fare riferimento, a titolo esemplificativo, qualora ne sussistano i presupposti, al rifiuto e omissione di atto d’ufficio ex art. 328 c.p., oppure alle norme penali in materia di sciopero ex artt. 503-504 c.p. (esprime dubbi sulla legittimità costituzionale di tali fattispecie criminose, sotto il profilo dell’offensività, Ruga Riva, C., Sciopero - profili penalistici dello, cit., 741 s.).
L’esercizio del diritto di sciopero, escludendo la sussistenza del fatto tipico, non rileva sotto il profilo delle cause di giustificazione.
Possono tuttavia ricorrere gli estremi di ulteriori scriminanti, qualificabili alla stregua dell’esercizio del diritto ex art. 51 c.p.
In particolare, vengono in considerazione il diritto di riunione ex art. 17 Cost. e di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost., purché non ne vengano travalicati i limiti. A titolo esemplificativo, la Corte di cassazione ne ha escluso la sussistenza con riferimento a condotte di occupazione: di una stazione, con la conseguente interruzione del traffico ferroviario (Cass. pen., sez. VI, 27.11.1998-16.7.1999, n. 7822, Manganelli); di terreni, per impedire la costruzione di una discarica (Cass. pen., sez. VI, 14.1.2000-16.2.2000, n. 1831, D.P.); di un edificio scolastico da parte del personale (Cass. pen., sez. II, 3.7.2007-20.9.2007, n. 35178, Pisano, Rizzati); di edifici universitari da parte degli studenti (Cass. pen., sez. VI, 18.12.1968, Di Donato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1970, 559 ss., con nota di Crespi, A., Serio e faceto nella giurisprudenza: «aperçus désagréables» sulla occupazione di edifici universitari; contra, nel senso della liceità dell’occupazione ex art. 633 c.p., in quanto «le università appartengono anche agli studenti, anzi soprattutto agli studenti», v. Pret. Milano, sez. I, 27.1.1970, Ferrari e altri, in Riv. it. dir. proc. pen., 1970, 563, con nota di Crespi, cit.).
Il reato è punito a titolo di dolo generico, che ha per oggetto l’interruzione oppure il turbamento dell’ufficio o del servizio pubblico o di pubblica necessità.
L’orientamento prevalente, in dottrina (Manzini, V., Interruzione o turbamento, cit., 501; Romano, M., Art. 340, cit., 71; Seminara, S., Art. 340, cit., 834; Mirri, B., Interruzione ed abbandono di pubblici uffici, cit., 6; Assumma, B., Abbandono o interruzione di uffici, impieghi o servizi pubblici o di pubblica necessità, cit., 24) e in giurisprudenza (Cass. pen. n. 15388/2014, cit.; Cass. pen., sez. VI, 9.4.2013-23.9.2013, n. 39219, T.P.M.G.; Cass. pen., sez. VI, 11.2.2010-5.3.2010, n. 8996, N.M.G.; Trib. Lib. Palermo, ord. 11.2.2009, M.P., cit.; Trib. Milano, 20.1.2009, n. 14658, F.G.D.L.; Cass. pen. n. 33062/2003, cit.), ritiene che l’art. 340 c.p. sia configurabile a titolo di dolo eventuale.
Con riferimento alle scriminanti putative, il dolo è stato escluso nel caso dell’erroneo convincimento dell’esistenza dell’esercizio del diritto di sciopero (Cass. pen., sez. VI, 10.4.1989, Sardella e altri, in Foro it., 1990, II, 112 ss.) e, rispetto a un’occupazione universitaria da parte degli studenti, del diritto di critica (Pret. Pistoia, 6.11.1991, Bettini e altri, in Foro it., 1993, II, 525 ss., con nota di Amato, F.M., Sul problema della liceità penale delle occupazioni studentesche).
Il reato è punito, ai sensi dell’art. 340, co. 1, c.p., con la pena della reclusione fino a un anno.
La pena è aumentata per coloro che rivestono la qualità di capi, promotori e organizzatori, ai quali si applica la sanzione della reclusione da uno a cinque anni ex art. 340, co. 2, c.p.
La qualificazione giuridica di tale ipotesi è oggetto di opinioni contrastanti.
Parte della dottrina (Manzini, V., Interruzione o turbamento, cit., 501 s.; Romano, M., Art. 340, cit., 72 s.; Seminara, S., Art. 340, cit., 834) è orientata nel senso della natura di circostanza aggravante ad effetto speciale, soggetta pertanto al giudizio di bilanciamento con le eventuali circostanze attenuanti ex art. 69 c.p.
Tale circostanza, per il principio di specialità, prevale su quella prevista dall’art. 112, co. 1, n. 2, c.p.
Essa non è riconducibile all’art. 118 c.p., pertanto, sembrerebbe applicabile ai concorrenti nel reato, sulla base del criterio di imputazione soggettiva ex art. 59, co. 2, c.p.
È stato tuttavia sottolineato che la soluzione preferibile è di segno negativo, facendo riferimento alla ratio della norma, ravvisabile nell’esigenza di differenziare le posizioni di capi, promotori e organizzatori (così, anche rispetto all’art. 112, co. 1, n. 2, c.p.; v.: Romano, M.-Grasso, G., Art. 118, in Romano, M.-Grasso, G., Commentario sistematico del codice penale. Art. 85-149, IV ed., Milano, 2012, 280; Romano, M., Art. 340, cit., 73).
Secondo un’altra impostazione l’art. 340, co. 2, c.p. contempla un titolo autonomo di reato (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale, pt. spec., I, cit., 301; Contieri, E., Abbandono, interruzione e turbamento, cit., 50).
La prima soluzione appare preferibile, in ragione della struttura della norma, con riferimento alla formulazione della stessa, che non compie una definizione autonoma del fatto e della sanzione penale, e alla collocazione all’interno dello stesso articolo, il cui nomen iuris rimane il medesimo.
L’art. 340, co. 1, c.p. prevede una clausola di sussidiarietà espressa, e rende il reato configurabile «fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge».
È possibile ravvisare un concorso di reati, materiale o formale, rispetto a comportamenti che assumono rilievo penale, i cui elementi costitutivi siano differenti.
Il reato può concorrere, a titolo esemplificativo, con il delitto di violenza privata ex art. 610 c.p., e con l’invasione di terreni o edifici ex art. 633 c.p. (Cass. pen. n. 1555/2011, cit.; Cass. pen., sez. VI, 18.12.1968, Di Donato, cit., 559 ss.).
Si ritiene invece configurabile un concorso apparente di norme, dal quale deriva l’inapplicabilità del reato de quo, rispetto all’interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità commesso dall’esercente un’attività imprenditoriale ex art. 331 c.p. (Manzini, V., Interruzione o turbamento, cit., 498), alla resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p. (Manzini, V., Interruzione o turbamento, cit., 498; contra v. Romano, M., Art. 340, cit., 71; in giurisprudenza, per il concorso materiale di reati, in presenza del medesimo fatto, con motivazione che non appare condivisibile, v.: Trib. Bologna, sez. II, 14.7.2014-21.7.2014, n. 2825, C.M., inedita; Trib. Vicenza, 3.5.2013-2.8.2013, n. 335, R.N.H. e altri, cit.), all’attentato alla sicurezza dei trasporti ex art. 432 c.p. (Manzini, V., Interruzione o turbamento, cit., 498; Romano, M., Art. 340, cit., 72).
Art. 340 c.p.; l. 12.7.1990, n. 146.
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