Intestino
L'intestino (dal latino intestinum, derivato di intus, "dentro") rappresenta il tratto del tubo digerente, compreso nella cavità addominale, deputato alla digestione enzimatica del materiale ingerito, all'assorbimento delle molecole nutritive, delle vitamine, degli ioni e dell'acqua, e al compattamento del materiale indigeribile in preparazione della sua eliminazione (v. vol. 1°, II, cap. 8: Addome, Intestino). Viene distinto in tenue e crasso, essendo ciascuna di queste due porzioni dotata di caratteristiche anatomofunzionali specifiche.
Aspetti evolutivi
di Daniela Caporossi
l. Filogenesi
Tutti gli animali, compreso l'uomo, sono organismi eterotrofi, devono cioè assimilare l'energia necessaria per la propria sopravvivenza già in forma organica, ingerendo sostanze provenienti dagli organismi autotrofi (piante) o da altri animali. Tutti gli animali possiedono quindi delle strutture idonee all'ingresso e alla trasformazione del materiale nutritivo: tali strutture costituiscono, nel loro insieme, l'apparato digerente. Negli animali più semplici, come i Poriferi (spugne) e i Celenterati (polipi e meduse), la digestione del materiale nutritivo avviene a livello intracellulare e l'apparato digerente risulta costituito da una semplice cavità di raccolta a fondo cieco, comunicante con l'esterno tramite un'apertura singola, che viene utilizzata sia per l'introduzione del cibo sia per l'eliminazione delle scorie non assimilate.
Dal phylum dei Nemertini (vermi filiformi), l'apparato digerente assume un aspetto tubulare: il cibo transita a senso unico dalla bocca (punto di ingresso del materiale nutritivo) all'ano (punto di eliminazione delle scorie). Questo canale diventerà via via più complesso, poiché l'aumentare delle dimensioni e della complessità degli animali determina un incremento della grandezza e della quantità di cibo ingerito. Con lo sviluppo di una maggiore superficie di lavoro e la specializzazione dei vari segmenti, la digestione diviene completamente extracellulare. Anteriormente, il canale digerente darà origine a strutture atte alla presa e all'ingestione del nutrimento, nonché a organi specializzati nella riduzione sia meccanica sia chimica dello stesso (bocca, faringe, esofago e stomaco), mentre la restante porzione, identificabile con l'attuale intestino dei Vertebrati, sarà utilizzata per i processi più importanti relativi alla digestione, come l'assorbimento dei principi nutritivi e la regolazione della stessa attività digestiva, con successiva eliminazione attraverso l'ano dei residui che non vengono utilizzati.
La comparsa dell'intestino come organo deputato alla digestione extracellulare, che si compie tramite la secrezione di enzimi specifici, si può far risalire all'apparizione di semplici Invertebrati, assimilabili ai Molluschi, nei quali il nutrimento ingerito tramite la bocca passa direttamente in un canale intestinale anatomicamente omogeneo, ma contenente regioni funzionalmente specializzate. Il progredire del materiale nutritivo è determinato non da movimenti muscolari, ma dal movimento delle ciglia presenti nelle cellule dell'epitelio, e la sua digestione e l'assorbimento avvengono a opera di cellule secernenti e assorbenti sparse all'interno della mucosa intestinale. Già negli Anellidi la regione intestinale dove avviene la digestione si differenzia da quelle anteriori (faringe, esofago e ingluvie), in cui si ha la raccolta, il transito e l'accumulo temporaneo delle sostanze ingerite. Negli Artropodi, nei quali la parte anteriore e quella posteriore del canale digerente sono rivestite da una spessa cuticola, la maggior parte del nutrimento viene assorbito dalla regione mediana dell'intestino, fornita in alcuni casi di una grossa ghiandola digestiva.
Nei primi Vertebrati, la distinzione netta tra i vari organi digerenti e regioni intestinali era presumibilmente assente. Dovevano essere però riconoscibili un intestino anteriore e uno posteriore, presumibilmente separati dal restringimento valvolare del piloro e dal dotto coledoco. Inizialmente, l'intestino anteriore doveva svolgere la sola funzione di connessione tra bocca e intestino posteriore, dove avvenivano sia la digestione sia l'assorbimento del cibo. Nell'anfiosso, per es., la faringe è seguita da un canale intestinale pressoché omogeneo, mentre in alcune specie di Pesci possono mancare esofago o stomaco. Nel corso dell'evoluzione, la regione intestinale anteriore si è specializzata, con l'acquisizione di una vera funzione digestiva da parte dello stomaco e con l'accrescimento, nei Vertebrati terrestri, dell'esofago. L'intestino posteriore, coadiuvato dal contemporaneo sviluppo di ghiandole digestive separate, ha mantenuto solo parzialmente la funzione digestiva, specializzandosi invece nell'assorbimento dei principi nutritivi, nonché nella funzione, particolarmente importante nei Vertebrati terrestri, del riassorbimento dell'acqua. L'evoluzione dell'intestino propriamente detto dipende, quindi, dalla necessità di garantire nei vari animali, con dimensioni, stili di vita e diete alimentari diverse, la migliore capacità di assorbimento, spesso correlata con l'estensione della superficie assorbente e proporzionale alla massa corporea da nutrire. In tutti i Vertebrati, la mucosa intestinale forma innumerevoli pliche, simili a creste, che raggiungono un alto grado di specializzazione nei Mammiferi, con la formazione dei villi intestinali. Sempre nei Mammiferi, anche la sottomucosa può partecipare ai ripiegamenti della superficie intestinale, dando origine a pliche che concorrono ad accrescere la superficie assorbente. Tale aumento è stato ottenuto anche grazie allo sviluppo di strutture particolari, quali la valvola spirale, caratteristica dei Vertebrati primitivi e attualmente presente nei Pesci cartilaginei, e le estroflessioni digitiformi a fondo cieco (ciechi pilorici), che sono osservabili in alcuni Pesci ossei; fra queste strutture vi è l'intestino tubulare di piccolo calibro ma notevolmente lungo, che si ripiega a formare numerose anse, presente nella maggior parte dei Vertebrati, compreso l'uomo.
La regione dell'apparato digerente corrispondente all'intestino dell'individuo adulto si sviluppa, nel corso dell'embriogenesi, dalla regione caudale dell'intestino primitivo anteriore (regione anteriore del duodeno), dall'intestino primitivo medio (intestino tenue e parte dell'intestino crasso, sino alla porzione prossimale del colon trasverso) e dall'intestino primitivo posteriore (intestino crasso, dalla porzione distale del colon trasverso sino alla parte superiore del canale anale). Dall'intestino primitivo anteriore si originano anche la faringe con i suoi derivati, il tratto respiratorio inferiore, l'esofago e lo stomaco. L'entoderma dell'intestino primitivo genererà la quasi totalità dell'epitelio intestinale e le ghiandole annesse al tubo digerente (fegato, pancreas e apparato biliare). Gli strati di tessuto connettivo e tessuto muscolare compresi nella parete del canale intestinale derivano, invece, dal mesoderma splancnopleurico che circonda l'entoderma dell'intestino primitivo.
Lo sviluppo dell'intestino, come di tutto il canale digerente, comincia dalla 4ª settimana di vita intrauterina, dando origine a un tubo intestinale sospeso tra il mesentere dorsale e il mesentere ventrale, due membrane derivate dai mesoteli uniti, tra le quali penetrano mesenchima e vasi. Dal mesotelio che tappezza la superficie esterna del canale digerente deriva il peritoneo. Il mesentere ventrale scompare quasi integralmente, mentre il mesentere dorsale mantiene una situazione di continuità, garantendo la formazione dei mesenteri che collegano le varie regioni del tubo intestinale alla parete addominale posteriore.
Con l'accrescimento dell'embrione, tutto il canale digerente, e particolarmente la porzione intestinale, subisce un allungamento superiore a quello del corpo, sproporzione che determina sia il ripiegamento sia la formazione di numerose anse o circonvoluzioni. Verso la 6ª settimana, l'allungamento dell'intestino medio oltre i limiti dello spazio lasciato libero dallo sviluppo di organi voluminosi, come il fegato, determina la migrazione di parte dell'intestino medio all'interno del celoma extraembrionale. Questo fenomeno del tutto normale, indicato come erniazione ombelicale fisiologica, si riduce verso la 10ª settimana di vita intrauterina con il rientro dell'intestino medio all'interno della cavità addominale. Nella regione caudale, il canale digerente dà inizialmente origine alla cloaca, una cavità rivestita di entoderma, a contatto con l'ectoderma della membrana cloacale, derivata dall'invaginazione originaria del proctodeo, o fossetta anale. Entro la 7ª settimana, la cloaca viene suddivisa in due comparti dal setto urorettale: dal comparto dorsale si genererà poi il retto e la porzione prossimale del canale anale, mentre dal comparto ventrale deriverà il seno urogenitale.
Anomalie durante lo sviluppo embrionale possono determinare alterazioni strutturali e funzionali dell'intestino, riconducibili generalmente a due tipi di errori ontogenetici: la mancata o alterata ricanalizzazione del lume intestinale, che darà origine a forme di stenosi e atresie intestinali (v. oltre), e l'incompleta rotazione o fissazione delle anse intestinali. Nel primo gruppo rientrano, per es., la stenosi e l'atresia duodenale, determinate da restringimento o, raramente, completa chiusura del lume duodenale, così come la stenosi o atresia intestinale, generalmente a carico dell'ileo, a volte causata dalla permanenza di diaframmi trasversi nel lume (atresia diaframmatica) o dall'interruzione della vascolarizzazione sanguigna (accidente vascolare fetale). Nel secondo gruppo di malformazioni sono comprese invece anomalie come, per es., l'onfalocele e l'ernia ombelicale, causati dal non corretto rientro dell'intestino medio nella cavità addominale verso la 10ª settimana di sviluppo fetale e dalla mancata rotazione o volvolo dell'intestino medio, accompagnati da alterata o incompleta fissazione dei mesenteri intestinali. Infine, alterazioni nella formazione del setto urorettale possono produrre varie alterazioni dell'intestino posteriore, come l'agenesia anale (canale anale a fondo cieco), dovuta a un'incompleta suddivisione della cloaca, la stenosi anale, che deriva da una deviazione dorsale del setto urorettale, e l'atresia membranosa o ano imperforato, nella quale l'ano, in posizione normale, è coperto esternamente da un sottile strato di tessuto.
Intestino tenue
di Giovanni Gasbarrini e Anna Jorizzo
l. Fisiologia
L'intestino tenue, situato nell'addome, inizia dopo la valvola pilorica e termina a livello della valvola ileocecale. Dal punto di vista anatomofunzionale, si riconoscono tre distretti: duodeno (a sua volta diviso in bulbo e tratto extrabulbare), digiuno e ileo. La normale lunghezza dell'intestino tenue varia da circa 3 a 7,2 m nella donna e da 4,8 a 7,8 m nell'uomo. La parete dell'intestino tenue è suddivisa in quattro strati che, a partire dal lume, sono: mucosa, sottomucosa, tonaca muscolare e tonaca sierosa. La mucosa in particolare è composta da un epitelio monostratificato con cellule cilindriche a nucleo basale, dette enterociti, e dalla tonaca propria, in cui sono presenti vasi ematici e linfatici e terminazioni nervose. La membrana cellulare degli enterociti è provvista di numerose estroflessioni, dette microvilli. Sul versante luminale, la parete intestinale è provvista di dispositivi anatomici che ne amplificano la superficie totale e ne ottimizzano le capacità assorbenti. La superficie assorbente, infatti, se fosse rappresentata unicamente dall'area del semplice 'tubo cilindrico' sarebbe di circa 3,3 m2; questa superficie, pertanto, viene incrementata notevolmente dalla presenza di estroflessioni della mucosa, particolarmente abbondanti nel duodeno distale e nel digiuno, dette valvole conniventi, da sollevamenti della mucosa, detti villi mucosi, e infine dai microvilli. Tale amplificazione della superficie porta a un'area assorbente equivalente a circa 200 m2 (maggiore cioè di un campo da tennis!). Data questa enorme riserva funzionale, si deduce che, affinché si evidenzi clinicamente un difetto di assorbimento, sono necessarie alterazioni epiteliali molto estese.
L'intestino tenue risulta dotato di cinque funzioni principali, e cioè: motoria, digestiva, assorbitiva, immunologica, endocrina.
a) Funzione motoria. La motilità intestinale permette il trasporto del chimo in senso aborale, il suo mescolamento con i succhi digestivi (succo pancreatico, intestinale e bile) e il contatto appropriato dei nutrienti che vengono prodotti dalla digestione con la mucosa assorbente.
b) Funzione digestiva. Nell'intestino tenue avvengono i processi di digestione dei nutrienti, introdotti in forme complesse e trasformati in questa sede in forme semplici, assorbibili grazie all'intervento dei succhi digestivi, degli enzimi enterocitari e della bile.
c) Funzione assorbitiva. La mucosa intestinale è preposta all'assorbimento dei prodotti finali della digestione con meccanismi di diffusione semplice o passiva (per es., zuccheri e acidi grassi), trasporto attivo (per es., elettroliti e aminoacidi) e diffusione facilitata (per es., alcuni aminoacidi, glucosio). I fenomeni di assorbimento avvengono principalmente nel duodeno-digiuno, a eccezione della vitamina B₁₂ e degli acidi biliari assorbiti nell'ileo. I segmenti distali, tuttavia, in caso di estese resezioni di quelli prossimali sono in grado di vicariarne la funzione assorbitiva.
d) Funzione immunologica. La ricchezza di strutture linfoidi (placche di Peyer), la presenza di cellule immunocompetenti a livello mucoso e sottomucoso e la produzione locale di anticorpi (specie di classe IgA) rendono l'intestino tenue fondamentale nell'ambito del sistema immunitario dell'organismo, specialmente perché sottoposto a un'enorme stimolazione derivante dagli alimenti e dai microrganismi ingeriti e localizzati in altri distretti del tubo gastroenterico.
e) Funzione endocrina. L'intestino tenue è sede di produzione, a opera di cellule specializzate appartenenti al cosiddetto sistema APUD (Amine precursor uptake and decarboxylation), di numerosi ormoni ad azione locale e generale (secretina, gastrina, colecistochinina-pancreozimina, VIP, Vasoactive intestinal polipeptide, GIP, Gastric inhibitory peptide, e altri), i quali regolano in modo specifico e in cooperazione con il sistema nervoso autonomo tutte le funzioni sopra elencate.
2.
Per la sua sede anatomica, l'intestino tenue è un organo non agevolmente raggiungibile con metodiche dirette di studio che permettano una valutazione strutturale e anatomopatologica (per es., l'endoscopia, anche se attualmente in alcuni centri tale studio è facilitato dall'introduzione dell'enteroscopia). Pertanto, lo studio dell'intestino tenue deve passare attraverso un'anamnesi molto accurata, uno scrupoloso esame obiettivo generale e addominale, e attraverso due diversi tipi di esami fondamentali: quelli funzionali e quelli morfologici.
Rientrano nella tipologia degli esami funzionali gli ematochimici e i test dinamici. Gli esami ematochimici sono diretti all'identificazione di deficit nutrizionali indicativi di malassorbimento (per es., sideropenia), di indici di flogosi (per es., leucocitosi, VES o velocità di sedimentazione degli eritrociti), di enzimi indicativi di danno della mucosa (per es., diaminossidasi intestinale), di anticorpi specifici (per es., anticorpi antigliadina e antiendomisio nella malattia celiaca), di marker tumorali (per es., antigene carcinoembrionario) e di numerosi altri parametri; gli esami chimico, fisico e microbiologico delle feci sono diretti all'identificazione di situazioni di malassorbimento (per es., il contenuto di grassi fecali maggiore di 7 g al giorno indica malassorbimento o maldigestione di lipidi), di infezioni batteriche, fungine e di infestazioni parassitarie (protozoarie ed elmintiche), di sanguinamento (per es., presenza di sangue occulto in caso di neoplasie, angiodisplasia intestinale ecc.). I test dinamici, invece, sono basati sulla somministrazione orale di una sostanza campione e sulla successiva quantizzazione di essa o dei suoi metaboliti nel sangue, nelle urine, nelle feci o nell'aria espirata. Alcuni esempi di test dinamici sono: test da carico orale di xilosio (la presenza di bassi livelli urinari o ematici di xilosio dopo carico orale di questo zucchero indica malassorbimento); test di Schilling (livelli bassi di radioattività urinaria indicano un malassorbimento ileale del complesso vitamina B₁₂ e fattore intrinseco radiomarcato); breath test all'idrogeno (H₂-breath test) dopo carico orale di lattosio (elevati livelli di idrogeno nell'aria espirata indicano malassorbimento di questo disaccaride: v. anche intolleranze alimentari), di lattulosio (fornisce indicazione sul tempo di transito orocecale e su eventuale contaminazione batterica del tenue) e di sorbitolo (fornisce indicazioni sulla funzione assorbente in generale); test di permeabilità intestinale (elevati livelli di lattulosio e sucrosio nelle urine indicano danni dell'integrità strutturale della mucosa intestinale). Nella tipologia degli esami morfologici rientrano quelli radiologici, che comprendono il clisma con mezzo di contrasto con la metodica tradizionale (clisma per via orale) o mediante doppio contrasto (clisma a doppio contrasto con sondino): entrambe le metodiche permettono lo studio delle alterazioni parietali del viscere. L'ecografia delle anse intestinali, sebbene resa difficoltosa dal contenuto gassoso del viscere, riveste utilità nella valutazione dello spessore della parete in corso di patologie infiammatorie croniche o neoplasie dell'intestino. La scintigrafia intestinale è utilizzata con successo nei casi di sanguinamento intestinale e nelle patologie infiammatorie. La TAC (tomografia assiale computerizzata) e l'RMN (risonanza magnetica nucleare) assumono importanza nello studio delle masse addominali e dei loro rapporti con strutture limitrofe. L'arteriografia selettiva del tripode celiaco e dell'arteria mesenterica superiore permettono lo studio della vascolarizzazione intestinale; l'endoscopia digestiva, oltre alla visualizzazione diretta della mucosa del duodeno e dei primi segmenti del digiuno e in casi particolari dell'ultima ansa dell'ileo, consente di prelevare campioni bioptici di mucosa per l'esame istologico ed, eventualmente, campioni di succo intestinale per esami microbiologici.
3.
L'intestino tenue può essere interessato da patologie malformative, da malassorbimento, infettive, vascolari, infiammatorie, neoplastiche e attiniche.
a) Patologie malformative. L'atresia e la stenosi sono malformazioni che comportano l'interruzione (atresia) o il restringimento (stenosi) della continuità del lume intestinale. In alcuni casi può mancare un intero segmento intestinale, in altri l'ansa a monte prosegue con un cordone fibroso privo di lume. L'atresia e la stenosi possono essere uniche o multiple. Le manifestazioni cliniche di tipo occlusivo, si rendono evidenti, specie per l'atresia, subito dopo la nascita: se l'ostruzione è prossimale (duodeno) compare il vomito alimentare e si instaura rapidamente disidratazione; se l'ostruzione è distale (ileo) compare distensione addominale, mancata emissione del meconio e solo in seguito vomito alimentare. La diagnosi, oltre che sulla clinica, si basa sulla radiologia tradizionale (assenza di gas a valle dell'ostruzione), mentre la terapia si avvale della correzione chirurgica dei tratti atresici o stenotici.
b) Patologie da malassorbimento. Per malassorbimento si intende il difettoso attraversamento della parete intestinale da parte dei prodotti della normale digestione. Si configura nella sindrome da malassorbimento (diarrea, calo ponderale, astenia, segni e sintomi carenziali) solo quando l'estensione del processo morboso sia tale da superare le capacità di compenso dell'organo. La malattia celiaca e i malassorbimenti selettivi rientrano in questa patologia. La malattia celiaca è un'enteropatia cronica con lesioni caratteristiche (atrofia dei villi intestinali), ma non specifiche, della mucosa dell'intestino tenue e produzione di anticorpi specifici (antigliadina e antiendomisio), provocata, in individui geneticamente predisposti, dall'ingestione del glutine (proteina contenuta nel frumento) e delle prolamine (proteine contenute nell'orzo, segale e avena). La prevalenza della malattia celiaca in Italia si assesta su 1 caso su 250 individui ed è probabile che tale prevalenza sia sottostimata, in quanto spesso la patologia può esordire con sintomi lievi o extraintestinali. L'età media di esordio è intorno ai 30-40 anni; prevale il sesso femminile. Non si conoscono le cause della malattia: essa tuttavia è più frequente nei parenti di primo grado di pazienti celiaci, nei soggetti con patologie autoimmuni, quali diabete mellito insulinodipendente, malattie tiroidee, sindrome di Sjogren e di Addison, artrite reumatoide e nei pazienti affetti da sindrome di Down.
I malassorbimenti selettivi comprendono patologie spesso trasmesse geneticamente, che hanno in comune l'assenza di alterazioni istopatologiche della mucosa intestinale. Rappresenta un tipico caso di malassorbimento di carboidrati quello di lattosio conseguente al deficit dell'enzima lattasi che ne compie l'idrolisi. Un esempio di malassorbimento di lipidi è la α-β-lipoproteinemia, un difetto della sintesi dell'apoproteina B che comporta la mancata secrezione di chilomicroni da parte dell'enterocita, con conseguente accumulo di trigliceridi nelle cellule e malassorbimento lipidico. Si manifesta nell'infanzia con steatorrea, atassia e cecità per retinite pigmentosa. Tra i malassorbimenti di aminoacidi vi è la cistinuria, causata da un deficit del trasporto intestinale e renale di aminoacidi dibasici, che si evidenzia con litiasi renale ed evolve in insufficienza renale.
c) Patologie infettive. Le patologie infettive di più comune riscontro sono causate da batteri (tifo, colera, tubercolosi, enteriti da Shigella dyssenteriae, Yersinia enterocolitica, Campylobacter ieiuni, Escherichia coli, salmonelle, clostridi), virus (Enterovirus, Echovirus, Parvovirus, Cytomegalovirus), miceti (Candida albicans), Protozoi (Giardia lamblia, Entamoeba hystolitica, Coccidioides immitis, Cryptosporidium e Isospora belli) ed Elminti (Taenia solium, Taenia saginata, Ossiuridi, Ascaridi). La sintomatologia di queste forme è rappresentata da diarrea acquosa, purulenta oppure ematica, che può essere talvolta accompagnata da febbre, malessere generale, disidratazione, perdita di peso, nausea, vomito, meteorismo, artromialgie. Tra queste patologie si registrano: la sindrome da contaminazione batterica del tenue, la giardiasi, il morbo di Whipple, l'ulcera duodenale. L'ulcera duodenale viene a ragione citata tra le malattie infettive in quanto è ormai accertato che la quasi totalità di queste lesioni si associa alla presenza di infezione gastrica da Helicobacter pylori, sebbene altri fattori (sia ambientali sia legati all'ospite) concorrano nella patogenesi dell'ulcera. Il germe agirebbe sia colonizzando direttamente foci di metaplasia gastrica nel duodeno, determinando una duodenite e, successivamente, un'ulcera, sia con meccanismo indiretto, producendo una situazione di ipergastrinemia con successiva iperacidità. Questi fattori, in associazione con un'aumentata suscettibilità dell'ospite, intesa tanto come riduzione della barriera antiacido del duodeno quanto come risposta infiammatoria locale, e con la probabile presenza di ceppi ulcerogeni del batterio, porterebbero alla genesi della lesione ulcerosa. È certo infine che l'eradicazione dell'infezione costituisce una cura definitiva della malattia ulcerosa, comportando oltre alla guarigione della lesione anche una prevenzione efficace delle recidive.
d) Patologie vascolari. Un difetto del flusso sanguigno arterioso o venoso a livello del sistema vascolare splancnico (celiaco e mesenterico) configura una complessa sindrome clinica, l'insufficienza vascolare mesenterica. La condizione di ridotto apporto ematico può dipendere da patologie locali del vaso (per es., ostruzioni da embolia o trombosi, arteriti, stenosi ateromatose, tromboflebiti) oppure da patologie sistemiche (per es., shock, sepsi con coagulazione intravascolare disseminata, insufficienza cardiaca, farmaci quali digitale e diuretici).
e) Patologie infiammatorie. La più importante e diffusa è il morbo di Crohn, una malattia intestinale infiammatoria cronica che può interessare l'intero tratto gastroenterico (dalla bocca all'ano), ma che si localizza più frequentemente a livello delle ultime anse ileali e primo tratto del colon (v. oltre). Colpisce prevalentemente le popolazioni occidentali e ha due picchi di età di insorgenza: tra 20 e 30 anni e tra 40 e 50 anni. Il sesso maschile è interessato con una frequenza lievemente superiore rispetto al femminile. L'eziopatogenesi è ancora largamente sconosciuta e, sebbene gli studiosi abbiano focalizzato la loro attenzione su fattori infettivi (virus del morbillo, Mycobacterium paratuberculosis, Yersinia enterocolitica), immunologici (autoimmunità, vasculiti segmentarie ischemizzanti), alimentari (carragenine, carboidrati raffinati, additivi ecc.), genetici (familiarità, particolari HLA, Human leukocyte antigen), la genesi della malattia è probabilmente multifattoriale.
f) Patologie neoplastiche. Le neoplasie dell'intestino tenue comprendono forme benigne e forme maligne. Le neoplasie benigne più comuni sono rappresentate da adenomi, leiomiomi, lipomi, fibromi. Sono generalmente asintomatici e di riscontro occasionale, ma in particolari sedi e se di dimensioni ragguardevoli possono provocare ostruzioni (per es. localizzazioni iuxtapiloriche), turbe del deflusso biliopancreatico (localizzazione papillare), occlusione, volvolo e intussuscezione (localizzazioni digiunali). Gli adenomi inoltre possono essere distinti in polipi, papillomi, apudomi, brunneromi. Particolare importanza per la potenzialità maligna hanno le poliposi familiari multiple: poliposi giovanile disseminata; sindrome di Peutz-Jeghers (poliposi, iperpigmentazione cutanea e mucosa); sindrome di Cronkhite-Canada (poliposi, alopecia e onicodistrofia).
Le neoplasie maligne epiteliali del tenue sono piuttosto rare: interessano più frequentemente l'ileo terminale oppure il duodeno. Si tratta prevalentemente di adenocarcinomi. Vi è una notevole difficoltà a diagnosticarli prima dell'insorgenza di complicanze, quali stenosi, emorragie e perforazioni, a causa della loro sintomatologia aspecifica. Particolare importanza rivestono le forme duodenali a localizzazione periampollare, che possono provocare gravi sindromi colestatiche o pancreatiti acute. I linfomi sono neoplasie intestinali maligne originate dal tessuto linfoide: esse invadono la parete intestinale con tendenza alla metastatizzazione a distanza. Un linfoma intestinale viene considerato primitivo in assenza di interessamento dei linfonodi superficiali, mediastinici, del fegato, della milza, del midollo osseo e del sangue periferico.
g) Patologie attiniche. Se si escludono casi particolari (scoppio di ordigni nucleari, incidenti lavorativi o catastrofi), l'enterite da raggi è generalmente una complicanza di terapie radianti per tumori addominali e soprattutto pelvici. La mucosa intestinale è molto sensibile all'azione delle radiazioni ionizzanti, perché è rivestita da cellule a elevato ritmo mitotico. Gli effetti acuti delle radiazioni ionizzanti sono visibili per alte dosi in breve tempo di esposizione: si manifestano necrosi degli enterociti, atrofia della mucosa, ulcerazioni, infiltrazioni flogistiche con un quadro clinico di diarrea, steatorrea, dolori addominali, nausea e vomito. Tali lesioni sono reversibili, anche se in varia misura.
di Giovanni Gasbarrini e Anna Jorizzo
l. Fisiologia
L'intestino crasso inizia a livello della valvola ileocecale e termina a livello dell'ano; ha una lunghezza assai variabile, in media 180 cm, una superficie che varia da 640 a 1615 cm2 e un calibro che è di circa 7 cm a livello del cieco, 4,5 cm a livello del colon, aumenta in prossimità del retto per poi diminuire fino ai 2 cm dell'ano. Dal punto di vista anatomofunzionale, l'intestino crasso è suddiviso in cieco con relativa appendice, colon (che nelle sue porzioni ascendente, trasverso e discendente circonda, inquadrandolo, il complesso delle anse del tenue mesenteriale, ossia digiuno e ileo), sigma e retto. In particolare, quest'ultimo tratto attraversa il perineo e viene suddiviso in una porzione superiore, pelvica, e una inferiore, perineale, provvista di due sfinteri terminali, uno interno (involontario), costituito da fibre circolari lisce, e uno esterno (volontario), molto più voluminoso, costituito da fibre muscolari striate.
L'intestino crasso si differenzia dal tenue per il calibro maggiore, per la presenza sulla superficie esterna di tre bande longitudinali formate da ispessimenti dello strato più esterno della muscolatura liscia, dette tenie, e per la presenza di solchi circolari, a breve distanza l'uno dall'altro corrispondenti a pieghe mucose interne che delimitano tasche, o austre. La parete dell'intestino crasso è suddivisa in quattro strati che a partire dal lume sono: tonaca mucosa; tonaca sottomucosa; tonaca muscolare; tonaca sierosa. La tonaca mucosa, in particolare, è composta da: epitelio di rivestimento (costituito da cellule principali, che come quelle dell'intestino tenue hanno l'apice estroflesso in microvilli nel complesso più corti e tozzi e da cellule caliciformi mucipare); tonaca propria (contenente, soprattutto a livello del cieco e dell'appendice, noduli linfatici solitari e ghiandole tubulari semplici costituite da cellule caliciformi mucipare); muscolaris mucosae (formata da fascetti muscolari disposti circolarmente e longitudinalmente). A differenza dell'intestino tenue, la mucosa non possiede villi e presenta pori funzionali di 0,21 nm di diametro, di gran lunga più piccoli di quelli della maggior parte del tenue. L'intestino crasso è dotato di tre funzioni principali: conservazione del contenuto idrico e salino dell'organismo mediante la regolazione del volume e la composizione in elettroliti delle feci; contenimento delle feci; espulsione delle feci stesse. Queste diverse funzioni si realizzano grazie al concorso di attività assorbitive, secretorie, motorie e di quelle proprie della flora batterica.
a) Attività assorbitiva. È prevalente nel tratto prossimale (cieco e colon ascendente) dove viene assorbito circa il 50% dell'acqua che arriva dall'intestino tenue. L'assorbimento dell'acqua è legato a quello del sodio con meccanismo attivo. In tale tratto inoltre viene assorbito, per diffusione non ionica, il 99% dell'ammoniaca in esso contenuta e derivante dal catabolismo dell'urea. Il colon possiede invece limitate capacità di assorbire ioni bivalenti (per es. sali di magnesio), donde il loro effetto purgativo per richiamo osmotico di acqua.
b) Attività secretoria. Nel colon avviene la secrezione di muco alcalino che protegge la superficie epiteliale, lubrifica la massa fecale e neutralizza i prodotti acidi del metabolismo batterico. Inoltre, si ha la secrezione attiva di ioni potassio e bicarbonato e questo spiega la possibile grave deplezione potassica e la comparsa di acidosi in presenza di diarrea profusa.
c) Attività motoria. È costituita da movimenti peristaltici segmentali, distinti in non propulsivi e propulsivi. I movimenti non propulsivi sono rappresentati da contrazioni ad anello che hanno funzione di rimescolamento e permettono così il riassorbimento dell'acqua. Essendo incoordinati tra i vari segmenti, impediscono una progressione troppo rapida della massa fecale. Quando due o tre segmenti entrano in attività motoria coordinata, il contenuto subisce un certo spostamento in senso distale. I movimenti propulsivi (movimenti di massa) sono rappresentati da onde che investono coordinatamente tutto il colon: sono rari e si verificano, in condizioni normali, di solito dopo i pasti, specie quelli del mattino, probabilmente evocati dal riflesso gastroduodenocolico. Infatti, l'arrivo del cibo nelle prime porzioni intestinali innesca un circuito neurormonale con stimolazione colinergica e liberazione di ormoni (gastrina e colecistochinina-pancreozimina) responsabili di una motilità prevalentemente di tipo peristaltico, con conseguente spostamento del contenuto intestinale per notevoli distanze fino a ottenere l'evacuazione. L'arrivo del materiale fecale nel retto stimola, attraverso la distensione delle sue pareti, l'inizio del riflesso della defecazione, che comporta il rilasciamento dello sfintere anale interno e il passaggio delle feci nel canale anale; tuttavia, solo il rilasciamento volontario dello sfintere anale esterno, costituito da muscolatura striata, consentirà l'evacuazione.
d) Attività della flora batterica. È rappresentata prevalentemente da Escherichia coli, clostridi, enterococchi, gram-positivi (lattobacilli, lieviti). Una dieta prevalentemente proteica comporta una prevalenza di gram-negativi, una dieta ricca di carboidrati e vegetali un aumento di gram-positivi. La flora batterica provvede alla decomposizione fermentativa di residui glucidici e di cellulosa, con produzione di acidi organici e anidride carbonica prevalentemente nella metà destra del colon, e alla decomposizione putrefattiva di residui proteici prevalentemente nella metà sinistra del colon, con produzione di indolo, ammoniaca e idrogeno solforato; partecipa alla sintesi di alcune vitamine, per es. biotina, riboflavina, vitamina K, acido folico; è responsabile della produzione di gas intestinali che sono rappresentati da azoto (60%), metano, idrogeno solforato, anidride carbonica. Essi stimolano la peristalsi grazie a un'azione di distensione dell'intestino; sono eliminati all'esterno e soltanto in minima parte riassorbiti.
2.
L'esame obiettivo dell'addome è sicuramente il primo momento di studio del colon. Nella fase palpatoria possono essere apprezzate masse e distensione addominale; nella fase ispettiva, fistole, emorroidi; nella fase auscultatoria, alterazioni della peristalsi. Inoltre l'esame obiettivo si avvale di un'altra importante metodica rappresentata dall'esplorazione rettale, con la quale si possono apprezzare oltre il 50% dei carcinomi rettali, lesioni perianali, sfinteriche e ampollari, nonché dello spazio rettoprostatico o del cavo di Douglas. Le indagini di laboratorio sono basate sull'esame chimico-fisico delle feci (per es., presenza di sangue e leucociti) e sull'esame microbiologico, parassitologico e batteriologico (colturale) delle feci stesse.
Il colon è ben visualizzabile radiologicamente, specie dopo l'introduzione del clisma opaco a doppio contrasto: una miscela di bario e di aria introdotta dall'ano consente al bario di stratificarsi sulla mucosa intestinale, verniciandone il profilo e permettendone un'accurata visualizzazione. Il clisma opaco fornisce fondamentalmente indicazioni sul profilo del colon ed è quindi particolarmente indicato nel sospetto di diverticolosi e complicanze, di disturbi della motilità, di dislocazioni del viscere da compressioni ab extrinseco e, infine, di stenosi.
La colonscopia permette di esplorare la mucosa di tutto l'intestino crasso, consente la diagnosi di malattia infiammatoria cronica, di neoplasia, di polipi, di sedi di sanguinamento, e, in particolare, offre la fondamentale possibilità di eseguire biopsie per l'esame istologico e di asportare lesioni precancerose quali i polipi, nonché di agire in prima battuta su foci di sanguinamento. Essa presenta un basso tasso di morbilità, ma le sue complicanze, perforazione ed emorragia, ne sconsigliano l'attuazione nelle fasi acute di malattia infiammatoria, di diverticolite, di colite ischemica e attinica. Particolare utilità e consensi sempre maggiori sembra ottenere l'ecoendoscopia del colon, una metodica che offre l'indiscutibile vantaggio dell'esplorazione della mucosa e dello studio dell'intera parete intestinale di zone sospette dell'intestino. Questo esame è inoltre importante nella stadiazione delle neoplasie del retto extraperitoneale, ma in genere permette un'accurata stadiazione di tutte le neoplasie del colon.
La scintigrafia con emazie marcate con tecnezio può aiutare l'endoscopista nel reperire foci di sanguinamento, mentre la scintigrafia con leucociti marcati è un utile sussidio nella stadiazione e nel follow up delle malattie infiammatorie intestinali. L'arteriografia mesenterica è indicata nello studio delle ischemie coliche acute, con le stesse modalità già viste per le ischemie mesenteriche. L'ultrasonografia, a causa del contenuto gassoso del colon, ha una limitata utilità nello studio del grosso intestino. Comunque, in malattie con importante interessamento della parete del colon, l'esame ultrasonografico può dimostrare ispessimenti, più o meno estesi e rilevanti, con alterazioni degli 'strati' della parete.
3.
L'intestino crasso può essere colpito da patologie infiammatorie, infettive, ischemiche, neoplastiche. Inoltre, tipiche di questa porzione dell'apparato digerente sono la malattia diverticolare e i polipi.
a) Patologie infiammatorie. La rettocolite ulcerosa è una patologia infiammatoria intestinale cronica che interessa esclusivamente la mucosa del grosso intestino (colon e retto) in modo uniforme e continuo, senza interposizione di aree di mucosa normale. La distribuzione geografica della rettocolite ulcerosa è simile a quella del morbo di Crohn, con maggiore incidenza nei paesi industrializzati e, tra questi, i paesi dell'Europa settentrionale e gli Stati Uniti. In Italia, l'incidenza della malattia, risultata in costante aumento negli ultimi anni del 20° secolo, è di circa 5/1000 casi all'anno. L'età di esordio segue caratteristicamente due picchi di massima incidenza: tra i 25-30 anni e tra i 50-60 anni. L'eziologia rimane a tutt'oggi sconosciuta. Si tratta probabilmente di una patologia a genesi multifattoriale per il concorso di fattori genetici e ambientali.
Anche la colite di Crohn rientra nelle patologie infiammatorie. La localizzazione esclusivamente colica (rettale, sigmoidea o colica) del morbo è un'evenienza non molto frequente, ma sicuramente in aumento grazie anche al miglioramento delle tecniche diagnostiche. D'altro canto, se nei casi in cui la patologia interessa anche l'ileo è agevole porre la diagnosi, nei casi in cui il morbo di Crohn si localizza esclusivamente al colon non è sempre facile differenziarlo dalla rettocolite ulcerosa, anche perché le caratteristiche istopatologiche del Crohn colico sono assai meno dirimenti e peculiari rispetto alla forma ileale o ileocolica. L'andamento clinico, la segmentarietà delle lesioni, l'assenza di sanguinamento e la tendenza alla fibrogenesi e alla fistolizzazione (non costante) indirizzano la diagnosi differenziale, confermata istologicamente o a seguito di altre localizzazioni nel tubo digerente. Dolore e diarrea con calo ponderale sono i sintomi più frequenti. Il retto è in molti casi indenne, ma possono essere presenti alla diagnosi fistole e ascessi perirettali. Più frequente rispetto alla rettocolite ulcerosa è la complicanza stenotica (occlusione intestinale).
b) Patologie infettive. Una colite acuta con diarrea, mucorrea, enterorragia, febbre e malessere generale può essere causata da vari agenti infettivi. Nei casi che si presentano con enterorragia può risultare difficoltosa la diagnosi differenziale clinica con una rettocolite ulcerosa e solo un'accurata valutazione intrauterina e istologica può dirimere il dubbio. Le coliti batteriche sono sostenute da Shigella, Campylobacter, salmonelle, Yersinia, il cui reperto nell'esame coprocolturale facilita la diagnosi e indirizza l'opportuna terapia antibiotica. Si tratta di agenti trasmessi per via orofecale che, come già visto, possono interessare anche l'intestino tenue causando enterocoliti, le quali, nei bambini o nei soggetti defedati, possono rappresentare un serio rischio.
c) Patologie ischemiche. L'ischemia del colon è un'evenienza in assoluto non frequente per l'architettura particolare del circolo arterioso splancnico, ma di riscontro non raro nella popolazione anziana. Le cause favorenti lo sviluppo di questa patologia sono simili a quelle per l'ischemia mesenterica. Il quadro clinico dipende, ovviamente, dal grado di ischemia e dalla rapidità con cui si sviluppa. In caso di ostruzioni vascolari acute e massive, in assenza di circoli collaterali efficaci, si instaura il quadro della colite ischemica acuta fulminante, con violente addominalgie, rettorragie e sintomi di addome acuto per perforazione. In questa fase, l'esecuzione di esami strumentali (colonscopia e clisma opaco) è pericolosa per possibili complicanze, quali la perforazione.
d) Patologie neoplastiche. Il carcinoma colorettale è frequente soprattutto nei paesi ad alto tenore socioeconomico. In particolare in Europa e nei paesi dell'America Settentrionale è la seconda neoplasia per frequenza. Nel 95% dei casi origina dall'epitelio mucoso del colon-retto (adenocarcinoma), nei restanti casi l'epitelio di origine appartiene alla giunzione squamocellulare della rima anale. Mentre per le localizzazioni coliche non si nota differenza di incidenza tra i due sessi, per le localizzazioni rettali si nota un'incidenza doppia per i maschi rispetto alle femmine. Il carcinoma colorettale si manifesta nell'80% dei casi dopo i 50 anni, con picco di incidenza nella settima decade. L'allungamento della vita media è uno, ma non l'unico, dei fattori che contribuiscono alla tendenza all'incremento percentuale della malattia cui si assiste in questi anni. Infatti, sono stati identificati numerosi fattori di rischio per l'insorgenza di carcinoma colorettale, quali la dieta a basso contenuto di scorie e ricca di grassi saturi e proteine, l'anamnesi positiva per neoplasie precedenti, la rettocolite ulcerosa, condizioni di immunodeficienza, fattori ereditari (in particolare è descritto un insieme di sindromi geneticamente trasmesse, che si caratterizzano per l'elevata incidenza di trasformazione maligna; tra queste, le più note sono le poliposi familiari contraddistinte dalla presenza di polipi adenomatosi con elevata potenzialità di degenerazione carcinomatosa).
e) Malattia diverticolare del grosso intestino. Con la locuzione malattia diverticolare si comprendono la diverticolosi e la diverticolite con le sue complicanze. La malattia diverticolare del grosso intestino, affezione che si manifesta prevalentemente nelle persone anziane, è uno stato morboso riscontrato sempre più frequentemente e soprattutto nelle popolazioni occidentali a più alto tenore socioeconomico, le quali seguono una dieta raffinata, povera di fibre e di scorie. Infatti tra i numerosi fattori predisponenti appaiono di particolare importanza quelli collegati con le abitudini alimentari. La malattia diverticolare del colon era pressoché ignota fino all'inizio del 20° secolo ed è tuttora una patologia poco frequente nei paesi del Terzo mondo. Esiste una correlazione lineare della frequenza di malattia con l'età: è rara prima dei 40 anni, mentre mostra una prevalenza, fino al 50%, negli ottantenni.
Per diverticolosi si intende la semplice presenza di diverticoli nel colon. Si tratta di estroflessioni sacciformi della mucosa e della sottomucosa attraverso punti di minor resistenza della muscolatura liscia circolare del colon (si parla più propriamente di pseudodiverticoli). Si osservano con maggior frequenza a livello del sigma (90%) e del colon discendente; sono quasi sempre multipli, e spesso molto numerosi; le dimensioni variano da quelle di un grano di pepe a quelle di una noce. Possono essere suddivisi in congeniti e acquisiti. I diverticoli congeniti, rari (1-2%), sono localizzati nel colon destro e sono formati anche dalla tonaca muscolare; i diverticoli acquisiti sono invece legati all'involuzione senile dei vari componenti della parete dell'intestino crasso. I meccanismi patogenetici della diverticolosi colica non sono del tutto noti; tuttavia sono stati identificati numerosi fattori predisponenti, quali l'età, l'impoverimento del contenuto di fibre nella dieta delle popolazioni ad alto tenore economico e, anche se di minor importanza, fattori genetici (per es. nei pazienti affetti da rare malattie ereditarie della sintesi del collagene, quali la sindrome di Marfan o di Ehler-Danlos, la diverticolosi compare anche in età giovanile). I diverticoli si formano in zone di ridotta resistenza; in particolare, la sede preferenziale corrisponde ai punti di penetrazione delle arterie (vasi retti) nello strato muscolare della parete colica. In questa sede, infatti, fattori involutivi responsabili della comparsa di lassità delle strutture muscolari ed elastiche determinano un indebolimento dell'anello perivasale, che è costituito da fasci dello strato circolare della tonaca muscolare del colon. A questo si associa un altro fattore fondamentale rappresentato dalla pressione endoluminale.
La diverticolite è una condizione che si verifica nel 20% dei pazienti con diverticolosi ed è riconducibile a un'iniziale microperforazione o per flogosi della mucosa determinata dalla stasi fecale dentro il diverticolo stesso, oppure su base ischemica per compressione arteriolare a livello del colletto. La diffusione della flogosi può limitarsi al viscere o manifestarsi con un ascesso pericolico o una peritonite acuta. Può insorgere come episodio primitivo o sullo sfondo di una preesistente diverticolite cronica.
f) Polipi e poliposi del colon. I polipi sono protrusioni, ben circoscritte sulla superficie epiteliale, che aggettano all'interno del lume del colon. Possono essere sessili o peduncolati. Nella maggior parte dei casi si tratta di lesioni asintomatiche, ma a volte possono essere responsabili di sanguinamenti e intussuscepzione. Alcuni polipi destano particolare attenzione in quanto sono lesioni precancerose, che quindi possono degenerare in adenocarcinomi, oppure contengono già all'interno foci di adenocarcinoma. Possiamo classificare i polipi in adenomatosi, amartomatosi, iperplastici, infiammatori.
I polipi adenomatosi sono lesioni benigne che si riscontrano nei soggetti di età superiore ai 50 anni. Destano particolare attenzione in quanto costituiscono una lesione precancerosa. Dal punto di vista istologico, essi possono essere suddivisi in tubulari (75%), tubulovillosi (15%) e villosi (10%), secondo una crescente potenzialità di degenerare e di contenere foci di carcinoma. I polipi amartomatosi sono il prodotto di una proliferazione non neoplastica di diverse componenti normali della parete colorettale. Se sono multipli, esiste la possibilità di sviluppo di carcinoma del retto (sindrome di Peutz-Jeghers, poliposi giovanile).
I polipi iperplastici, molto frequenti, spesso multipli, consistono in piccole elevazioni mucose lisce in cui viene mantenuta la differenziazione tra cellule mucipare e cellule assorbenti. I polipi infiammatori si possono sviluppare in presenza di coliti severe, per es. rettocolite ulcerosa. Le poliposi si possono classificare in poliposi adenomatose, in cui rientrano la poliposi adenomatosa familiare del colon, la sindrome di Gardner, la sindrome di Turcot-Despres, e poliposi amartomatose, in cui rientrano la sindrome di Peutz-Jeghers, la poliposi familiare giovanile, la sindrome di Cronkhite-Canada, la malattia di Cowden. Dal punto di vista clinico, le poliposi, spesso asintomatiche, possono manifestarsi con attacchi recidivanti di dolore addominale di tipo colico, ripetuti episodi di melena, anemia sideropenica e, infine, manifestazioni extraintestinali, quali pigmentazione mucocutanea, distrofia ungueale, tumori dei tessuti molli, alterazioni ossee dentarie.
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