intonazione
Nel linguaggio comune si dice che una frase, un discorso, una lingua hanno una propria ‘musicalità’. Naturalmente, questa è un’affermazione tutt’altro che chiara e rigorosa. Probabilmente, è ispirata da una sensibilità dei parlanti a percepire nel messaggio linguistico trasmesso oralmente alcune componenti difficili da definire esplicitamente, ma connesse all’uso della voce. Certamente, tra queste è l’intonazione. La sua traccia visibile può essere ricostruita mediante apposite strumentazioni (➔ fonetica acustica, nozioni e termini di) e dare un risultato come quello raffigurato nella fig. 1.
Come si vede, un contorno intonativo appare come un susseguirsi di movimenti ascendenti o discendenti, ognuno dei quali può essere considerato come componente locale o tratto di una grandezza che globalmente consideriamo come un ‘contorno’ (➔ curva melodica). Il suo andamento varia a seconda della lingua e del tipo di frase. Ad es., le figg. 2, 3, 4, 5 illustrano il contorno di frasi assertive dello spagnolo, francese, tedesco e inglese pronunciate da una voce maschile (i relativi segnali sono tratti dal CD allegato a Sorianello 2006; la frase inglese è tratta dal corpus IViE, Intonational variation of English, 2001 col permesso degli autori).
Anche a una considerazione superficiale si vede che la realizzazione è diversa a seconda della lingua considerata. Ma questa variazione riguarda anche varietà della stessa lingua. È facile verificarlo confrontando, ad es., il contorno del bolognese (fig. 1) con quello della stessa frase pronunciata a Roma (fig. 6).
Naturalmente, la variazione dipende anche dal materiale segmentale impiegato in ciascuna frase e dalla sua lunghezza. Compito dell’analisi fonologica è individuare degli elementi tonali costanti che possano combinarsi in modo diverso, a seconda della lingua e del materiale segmentale, in modo da descrivere adeguatamente i vari contorni.
Da questo punto di vista, sul piano scientifico, il termine intonazione indica un’organizzazione di tratti tonali, una sorta di ‘mattoni’ la cui combinazione – in sequenze diverse – dovrebbe consentire di ricostruire i contorni attestati, di dimensioni variabili. Tali tratti sono associati al parametro acustico della frequenza fondamentale della voce umana e, specificamente, alle sue variazioni distintive nel corso della produzione orale. Questo parametro è anche simbolizzato F0 (➔ fonetica acustica, nozioni e termini di), è definito dal numero di cicli per secondo del segnale vocale ed è misurato in hertz (simbolo: Hz).
La base articolatoria del ciclo così misurato è la vibrazione delle corde (o pliche) vocali (➔ fonetica articolatoria, nozioni e termini di). Quest’ultima è controllata da due meccanismi fisiologici: i muscoli della laringe, che determinano la tensione delle corde stesse, e il sistema respiratorio sublaringale, che produce le forza aerodinamica sfruttata dalla loro vibrazione. Sul piano percettivo, la variazione di F0 si presenta sotto forma di una sequenza di prominenze (o, all’ingl., pitches), che grosso modo corrispondono alla F0, fatta eccezione per alcune compensazioni automatiche di fatti microprosodici locali e globali, di cui si parlerà nel § 2.
Sul piano fonologico, che è poi quello più rilevante al fine di un’analisi linguistica, l’intonazione costituisce un livello della ➔ prosodia ed è rappresentata come una successione di eventi linguistici discreti (di ordine diverso, a seconda della teoria fonologica adottata). Può trattarsi di una sequenza di bersagli dell’ordine dei tratti soprasegmentali, come i toni (per es., Alto ~ Basso; ➔ curva melodica); oppure, di una composizione di percorsi verso uno o più bersagli, cioè di porzioni di contorno intonativo dotate di una specifica autonomia, come un andamento semplice (per es., ascendente ~ discendente) o complesso (per es., ascendente-discendente ~ discendente-ascendente). Ad es., un contorno come quello presentato nella fig. 6 può essere analizzato o come una successione di un movimento ascendente seguito da uno discendente, oppure come un bersaglio tonale alto (A) seguito da uno basso (B).
Si è appena accennato al fatto che alcune variazioni intonative non sono intenzionali, ma derivano automaticamente dalla fisiologia dell’apparato fonatorio (➔ fonetica). In italiano, come in altre lingue, F0 risulta più bassa per le vocali basse o aperte (per es. [a]) e più alta per quelle alte o chiuse (per es. [i], [u]). Si tratta di un condizionamento microprosodico intrinseco a carattere locale (il valore di F0 è inversamente proporzionale al valore della prima formante acustica della vocale).
Un secondo fattore microprosodico locale è detto cointrinseco e riguarda il risultato dell’interazione coarticolatoria di una sequenza CV (consonante-vocale): se la C è sorda, allora all’inizio della V la F0 sarà più alta; il contrario avverrà, invece, se la C è sonora.
Infine, vanno menzionati anche altri due fattori di variazione intonativa innescata automaticamente, ma di carattere globale, in quanto operano su porzioni di enunciato e non su singole vocali. Il primo è noto come declinazione; il secondo come abbassamento finale. Entrambi si riferiscono a una progressiva flessione della curva di F0 che riguarda nel primo caso tutto il contorno e nel secondo la parte finale del contorno, prima di una pausa. Entrambi sono la conseguenza del rilassamento muscolare che interviene nel corso, e particolarmente alla fine, della sequenza respiratoria.
La struttura metrica e accentuale della lingua (cioè la distribuzione degli accenti lessicali sui costituenti di frase; ➔ accento), così come quella intonativa, è il risultato di alternanze di tratti soprasegmentali (➔ soprasegmentali, tratti). In linea di massima, le due strutture sono autonome, ma non indipendenti. In alcune lingue, l’alternanza di diversi toni è un supporto del ➔ ritmo.
In italiano (nella maggior parte delle sue varietà) non è così, perché il ritmo tende a essere scandito dal ripetersi di intervalli sillabici ed è quindi costruito senza ausilio tonale. Tuttavia, anche in italiano i costituenti metrici e la distribuzione degli accenti sono legati all’intonazione, in quanto i punti della catena parlata in cui si allocano accenti e sillabe metricamente ‘forti’ rappresentano altrettanti ‘trampolini’ o aree di ancoraggio cui i toni tendono ad associarsi per sfruttarne la salienza percettiva, allo scopo di ottenere il massimo rendimento funzionale possibile. Il risultato è che la struttura metrica e accentuale funge da supporto di quella intonativa.
Per meglio chiarire la questione si consideri una griglia o un albero metrico, come descritti in riferimento ai tratti soprasegmentali. Ogni costituente metrico (sillaba, piede, parola fonologica, sintagma fonologico) trova collocazione come una ramificazione del nodo superiore, detto sintagma intonativo. Quest’ultimo è il costituente intonativo maggiore. Al suo interno trovano collocazione costituenti intermedi (sintagma e parola fonologica) e minori (piede e sillaba). Il sintagma intonativo è definito in base a un criterio intonativo interno: la presenza di un nucleo prominente, associato alla porzione di contorno con bersaglio di F0 più alto, o con percorso di F0 di estensione più ampia (ascendente o discendente). Ad es., il nucleo del contorno nella fig. 1 è sul costituente canta; nelle figg. 12-13 è sul costituente pasta. Un ulteriore criterio definitorio è di carattere esterno: ai confini del sintagma intonativo si situa talvolta una pausa, ma di norma all’inizio si osserva un resetting, un mutamento complessivo – verso l’alto o verso il basso – del contorno; e alla fine un abbassamento di F0 (abbassamento finale).
Nonostante le apparenze, il concetto di prominenza è di natura metalinguistica e non percettiva. Si tratta del nome che in linguistica si adotta per indicare il vertice di una gerarchia. Così, ad es., il nucleo sillabico (➔ sillaba) è prominente rispetto ai margini; ma anche la testa di un composto (➔ composizione) è prominente, in quanto obbligatoria e gerarchicamente dominante. È bene, perciò, non confondere la prominenza intonativa (che identifica il nucleo intonativo) con altri tipi di prominenza che foneticamente potrebbero apparire simili, ma che nondimeno pertengono ad altre gerarchie linguistiche.
La prima distinzione riguarda la prominenza informativa, detta anche focus (➔ focalizzazioni), cioè la marcatura di un elemento importante. La seconda è la prominenza metrica, risultante da un insieme di restrizioni e regole che gestiscono la scansione del parlato, in funzione della distribuzione della durata segmentale. Tale prominenza identifica il nodo più forte dell’albero metrico (in italiano la sillaba più forte – o lunga – del piede più forte, della parola fonologica più forte, del sintagma fonologico più forte). Come si vedrà nel § 6, mentre la posizione della prominenza intonativa risponde ai vincoli della gerarchia metrica (e quindi si associa a un costituente metricamente forte), le prominenze di altro genere godono di maggiore libertà e possono associarsi anche a costituenti non particolarmente ‘favoriti’ metricamente, come, ad es., sillabe atone o metricamente deboli.
Le prime analisi sull’intonazione italiana sono basate sul metodo uditivo e riguardano il contrasto tra asserzione e domanda, uno dei casi linguistici in cui la variazione intonativa risulta elemento distintivo (Chapallaz 1964; D’Eugenio 1976). Tale metodo fu adibito successivamente anche a rendere conto della provenienza dialettale del parlante (Canepari 1985; 19863; 1992). Le prime analisi acustiche riguardano le varietà fiorentina e padovana (Magno Caldognetto et al. 1978), sempre in riferimento all’opposizione tra frasi assertive (con un contorno finale discendente) e interrogative (con contorno terminale ascendente; ➔ interrogative dirette).
Gli studi più recenti si ispirano prevalentemente alla teoria cosiddetta autosegmentale (per es., Avesani 1995; Marotta & Sorianello 1999; Marotta 2000; Grice et al. 2005; Gili Fivela 2008). In quest’ultimo approccio, il contorno intonativo è scomposto in una sequenza di due ‘fonemi’ intonativi: il tono alto (A) e quello basso (B). La differenza tra i due toni è paradigmatica: A sarà sempre più alto di B, salvo che non intervengano i condizionamenti di cui al § 2. Inoltre, i due toni possono associarsi a costituenti metrici diversi (ad es., sillaba, piede, mora, a seconda della lingua), divenendo così segnali o di prominenza, o di demarcazione di confine di unità metrica (sintagma fonologico e intonativo). Nel primo caso, i toni si associano alle sillabe toniche e sono detti accenti tonali (pitch accents) o AT ed etichettati con un asterisco; nel secondo, sono detti toni di confine (boundary tones) o BT ed etichettati con il simbolo ‹%›. Un tipo particolare di BT sono i toni associati a sintagmi intermedi (di estensione inferiore al sintagma intonativo), che sono etichettati con un trattino ‹-›.
Per quanto riguarda gli AT, in italiano sono realizzati sia toni ascendenti (notati B+A) e discendenti (notati A+B), sia toni semplici (notati B* e A*).
Nel complesso, il quadro dell’intonazione italiana si può sintetizzare cercando di attribuire funzioni generali a ciascun evento tonale. Si tratta, evidentemente, solo di indicazioni orientative e assai sommarie. In tal senso, il tono A+B* esprime sicurezza, veicola un significato conclusivo o introduce informazioni condivise; A* serve a richiamare l’attenzione dell’ascoltatore e a presentare informazioni riprese dallo sfondo comunicativo, segnalandone l’importanza o la non conclusione; A*+B indica informazioni che si oppongono alle assunzioni condivise e veicola un significato conclusivo ed espresso con sicurezza; B- e B% segnalano la fine di un’unità di discorso; mentre A- e A% segnalano che il parlante non ha ancora terminato il suo turno di parola. Si vedano esempi nelle figg. 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13.
Nell’interazione comunicativa siamo abituati a esprimere volontà di diverso tipo: vogliamo convincere, chiedere, invitare, negare e così via (➔ illocutivi, tipi; ➔ pragmatica). Possiamo, inoltre, usare queste espressioni con l’intento di suscitare qualche effetto, agendo sui sentimenti, sui pensieri e sulle azioni degli ascoltatori, del parlante o di altre persone. In breve, chi parla è al tempo stesso realizzatore di un’azione. A questa azione ci si riferisce col nome di atto illocutivo (Austin 1962; Searle 1969) o, più in generale, di atto linguistico. Esso è una forma di comportamento governato da regole di tipo comunicativo (Grice 1957). Ad es., un atto rappresentativo (come asserire qualcosa) impegna il parlante alla verità della proposizione espressa; un atto direttivo (come ordinare, richiedere o domandare) ha lo scopo di far fare qualcosa all’interlocutore; un atto commissivo (come minacciare o promettere) impegna il parlante a fare qualcosa nel futuro; un atto espressivo (come scusarsi o ringraziare) serve a riparare simbolicamente l’effetto di un’altra azione; un atto dichiarativo (come scomunicare o battezzare) provoca un cambiamento simultaneo nello stato del mondo istituzionale di riferimento al parlante e all’ascoltatore.
L’intonazione può avere un ruolo nell’espressione di alcuni di tali atti linguistici. Nelle figg. 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 sono illustrati i contorni di F0 di alcuni casi realizzati sul comune supporto segmentale mangia la pasta (De Dominicis 1992). Il parlante è uno speaker professionale di area romana. Il simbolo ‹n› indica il nucleo intonativo.
I risultati sono riassunti nella tab. 1. Le denominazioni dei sette casi sono solo etichette convenzionali e si riferiscono a situazioni comunicative in cui il parlante vuole che l’interlocutore faccia qualcosa, assumendo che quest’ultimo sia in grado di farla (richiesta), o ritenendo che non lo sia (provocazione), o che non possa non farla (ordine), o che possa fare come crede (concessione di facoltatività); oppure il parlante crede che l’ascoltatore possa essere messo al corrente di un fatto (informazione), o suppone che quest’ultimo debba non saperlo e quindi glielo rivela (rivelazione), o infine nel fornire l’informazione esprime anche un giudizio (valutazione).
Come si vede, i casi di richiesta, informazione e rivelazione sembrano espressi con la medesima intonazione. Tuttavia, esistono differenze di estensione di gamma tonale (massima nella richiesta, minima nell’informazione) e di allineamento (il nucleo si trova sulla prima sillaba tonica nella richiesta, sull’ultima nella rivelazione). Inoltre, il focus informativo si può collocare su un costituente diverso da quello su cui si posiziona il nucleo intonativo. È il caso della valutazione (fig. 12), in cui il focus è su mangia mentre il nucleo è su pas- di pasta.
Si ritiene comunemente che la provenienza geografica del parlante possa essere rivelata dalla sua ‘cadenza’: si tratta di un termine chiaramente impressionistico, ma allude all’esistenza di tracce prosodiche che hanno la capacità di indirizzare la nostra percezione verso un riconoscimento, che può naturalmente anche rivelarsi fallace. Alcuni di questi indici sono stati studiati. Si tratta di fenomeni connessi all’andamento intonativo, ma anche ad altri fatti prosodici. Per quanto riguarda l’intonazione, si può osservare e descrivere l’influenza della varietà regionale sulla realizzazione di alcune opposizioni di modalità frasale, come l’asserzione, l’interrogazione e la continuazione. Naturalmente, i dati saranno limitati solo ad alcune aree, finora indagate.
Per quanto riguarda le interrogative polari o chiuse (definite in base al fatto che la risposta prevista è del tipo sì / no: ad es., hai mangiato?; ➔ interrogative dirette), la tab. 2 fornisce un quadro sinottico di alcune varietà regionali. Il quadro complessivo è coerente con molti studi (Endo & Bertinetto 1997; Marotta & Sorianello 1999; Gili Fivela 2008) che descrivono le interrogative con andamento di AT globalmente ascendente nelle varietà italiane centrali e settentrionali.
Come si vede, nelle varietà di Catanzaro, Siena, Lucca, Bari e Palermo l’andamento intonativo dei BT è variabile, probabilmente in relazione al diverso stile dei parlanti. In genere, tuttavia, nelle varietà meridionali i BT finali sono prevalentemente discendenti. A Firenze l’AT delle interrogative chiuse può essere identico a quello delle assertive a focus ampio (cfr. tab. 3), mentre è il tono ascendente del BT finale a marcare distintivamente le interrogative. Inoltre, una certa somiglianza lega, da un lato, gli AT delle interrogative di Siena, Catanzaro, Firenze, Pisa e Milano; e dall’altro quelle di Bari, Cosenza, Perugia, Lucca e Torino. Infine, a Pisa le interrogative chiuse possono essere alquanto affini alle assertive a focus ampio (cfr. tab. 3); la stessa osservazione si può formulare per Firenze e Siena, dove, però, sono i BT a differenziare interrogative chiuse e assertive a focus ampio.
Per quanto riguarda l’andamento intonativo delle frasi assertive nelle quattro varietà, si veda la tab. 3, nella quale vengono distinti gli AT delle frasi con focus ampio (per es., mamma è andata a ballare da Lalla) e delle frasi con focus ristretto (per es., vedrai la mano di mamma domani, da Grice et al. 2005; il costituente focalizzato è sottolineato). Come si vede, la realizzazione dell’assertiva con focus ampio è prevalentemente realizzata con AT A+B*, mentre per quanto riguarda le assertive con focus ristretto contrastivo mancano dati sugli AT a Cosenza, Catanzaro, Perugia, Lucca e Milano. Le assertive con focus ristretto di Napoli sembrano avere lo stesso andamento delle interrogative chiuse di Bari e Cosenza (cfr. tab. 2). In realtà, i due AT (B+A*) sono diversamente allineati con la vocale tonica: a Napoli A* si trova all’inizio della vocale, mentre a Bari è verso la metà.
In tab. 4 sono illustrati gli AT tipici degli enunciati continuativi in alcune varietà regionali. Si tratta di un caso speciale di enunciato assertivo. Dal punto di vista intonativo, in molte varietà (per es., Roma e Milano) la sola differenza rispetto all’assertiva è il BT alto. A Catanzaro, invece, l’opposizione si gioca a livello di AT, che nel caso delle continuative è basso. Per Napoli, Bari e Palermo mancano dati sul BT.
Per quanto riguarda le interrogative aperte (o interrogative -k, cioè quelle espresse con l’uso di parole interrogative quali chi, quale, dove, cosa, come, perché, quando, quanto/a/i/e; ad es., cosa hai mangiato?), non è possibile fornire modelli rappresentativi per ciascuna area (Sorianello 2006 indica nondimeno i seguenti andamenti tipici: Cosenza: B+A* B%; Catanzaro: B* B%; Roma: B* A%; Firenze: A* B%; Pisa: A+B* B%; Lucca: B* B%; Siena: A* B%; Milano: !A+B* B%, dove il punto esclamativo indica un abbassamento di tono), in quanto la distribuzione degli AT è regolata dalla lunghezza dell’enunciato, dal tipo di morfema interrogativo e da segnali di forza illocutiva, come la presenza di un elemento della frase focalizzato. Ad es., a Lucca, come anche a Siena, si osserva di frequente l’assenza di un AT sull’elemento interrogativo. Ma se l’enunciato è lungo, allora è possibile rinvenire un AT sulla particella interrogativa e un altro successivo. Inoltre, se l’enunciato è focalizzato, l’AT è attratto sul costituente in focus e assente sulla particella interrogativa che quindi risulta melodicamente deaccentata (per es.: ma ora che fate?; dov’è?; il costituente in focus è sottolineato). Infine, la distribuzione degli AT è condizionata dallo statuto sintattico dei morfemi interrogativi (Marotta 2001). Quelli più ‘forti’ (come perché) selezionano AT diversi da quelli ‘deboli’ (come chi, come, che, dove).
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