Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il crescere delle città e del numero di piccoli centri dediti agli scambi agricoli e commerciali, un fenomeno che si sviluppa sin dall’XI secolo, contribuisce alla creazione di una pluralità di centri di elaborazione e diffusione dei saperi. Le strutture ecclesiastiche sono ancora attori di primo piano nella formazione delle élite cittadine e aristocratiche. Scuole capitolari o diocesane si affiancano all’azione di monasteri di diversi ordini religiosi insediatisi entro le mura delle nuove città.
La nascita delle università è fenomeno complesso e diverso a seconda dei Paesi. In alcuni casi, sono gli ordini religiosi a costituire i primi nuclei residenziali e pedagogici da cui si sviluppano le università. È il caso di Oxford, ad esempio, dove la locale casa francescana dà vita alla prima, importante fase dell’ateneo sin dalla fine del XII secolo. A Bologna (fine XI secolo), la prima università del mondo occidentale, è probabilmente da una scuola diocesana che prende avvio l’ateneo. In altri casi, e più frequentemente a partire dal XIII secolo, studenti e docenti di un’università già attiva decidono di spostarsi altrove, sia a ragione di lotte interne all’ateneo d’origine, sia accettando offerte di maggiore libertà e di condizioni più vantaggiose proposte da altre città o signori. L’Università di Padova deve la sua origine (1222) a un gruppo di studenti e docenti provenienti da Bologna, mentre la fondazione di Cambridge (1209) è dovuta a un gruppo di oxoniensi in rotta con la città e l’università. A Parigi l’università si costituisce da un nucleo originario di scuole ecclesiastiche a partire dall’XI secolo e raggiunge una relativa indipendenza nel 1231, a seguito della minaccia da parte degli studenti e dei laureati di lasciare la città in cerca di una situazione più favorevole.
L’istituzione delle università innesca rapidamente fenomeni complessi di competizione e di rivalità che si esprimono anche attraverso l’articolazione di una pluralità di posizioni filosofiche, teologiche, e di valutazioni contrastanti dell’affidabilità e attendibilità delle conoscenze fisiche e naturali. La forte presenza di personale docente legato al clero regolare o ai vari ordini religiosi, Benedettini, Francescani e Domenicani in particolare, e la posizione centrale di considerazioni di ordine teologico in pressoché tutte le discipline insegnate, contribuiscono ad alimentare dibattiti in cui filosofia e teologia, come pure le rivalità religiose e politiche, costituiscono un unicum di grande complessità e fascino.
Gran parte dell’attività di ricerca e di circolazione di manoscritti di filosofia naturale si sviluppa grazie al complesso processo di assimilazione del corpo aristotelico e delle conoscenze arabo-musulmane all’interno di ambiziose costruzioni teoriche di cui la Summa di Tommaso d’Aquino rappresenta uno dei punti di maggiore ambizione e livello di elaborazione. Al tempo stesso non mancano dispute accese sull’interpretazione di Aristotele e del suo pensiero naturalistico e fisico.
La cultura dell’epoca è animata dalle rivalità tra i diversi ordini religiosi e i campioni che li rappresentano nel dibattito europeo sui nuovi saperi e sulla lettura più corretta dell’eredità classica.
Alcuni storici hanno visto nei dibattiti su Aristotele della seconda metà del secolo XIII gli inizi di un processo di riflessione metodologica e di messa in questione dell’eredità scientifica classica che porterà alla nascita della nuova scienza nel XVII secolo. In effetti, un aspetto importante delle dispute su Aristotele, Platone, Agostino o Averroè è costituito dal vasto orizzonte di competenze che potremmo definire “scientifiche”, di cui i vari protagonisti di tali accesi dibattiti danno prova.
A Parigi e in molte altre sedi in cui opera, Alberto Magno unisce alle solide conoscenze del corpo aristotelico un rinnovato interesse per l’osservazione naturalistica, trattando di botanica, mineralogia, zoologia, geografia e fisica, astronomia e astrologia. Nonostante le accuse portate contro l’alchimia, Alberto è sicuramente al corrente della vigorosa diffusione delle tecniche e delle dottrine alchemiche nell’Europa del tempo. Il suo allievo Tommaso d’Aquino è egualmente in grado di affrontare complesse questioni in diversi settori dei saperi fisici e naturali. È proprio a Parigi, nel contesto di vicende teologico-ecclesiastiche spesso drammatiche, che il crescere dell’influenza delle diverse interpretazioni delle dottrine aristoteliche, e in particolare la diffusione della forma di averroismo propugnato da Sigieri di Brabante, conducono a una serie di condanne pronunciate dal vescovo Étienne Tempier, per il quale persino l’aristotelismo di Tommaso poteva dare adito a forti sospetti di eterodossia. Il vescovo parigino, più a torto che a ragione, è stato visto da una tradizione storiografica risalente ai lavori del fisico e storico della scienza Pierre Duhem come il vero fondatore della scienza moderna. Secondo questa prospettiva, la condanna in sede teologica di una serie di proposizioni tratte dal corpo aristotelico avrebbe grandemente ampliato gli orizzonti concettuali di generazioni di filosofi naturali, ora in grado di contemplare, ad esempio, la possibilità dell’esistenza del vuoto o di un universo infinito. Per Duhem i dibattiti parigini sono alla base della grande libertà speculativa di cui danno prova successivi pensatori francesi quali Nicola Oresme, notevole innovatore nel campo delle matematiche, della fisica e della musicologia. Alcuni storici, seguaci delle tesi di Duhem, ne fanno addirittura un precursore di Galileo e di Pascal. (Ulrich Taschow, Nicole Oresme und der Frühling der Moderne: Die Ursprünge unserer modernen quantitativ-metrischen Weltaneignungsstrategien und neuzeitlichen Bewusstseins- und Wissenschaftskultur, 2003, 2 voll.).
Altre figure della filosofia e della filosofia naturale dell’epoca sono state indicate come “precorritrici” della scienza moderna. Lo storico Alistair Crombie, nel suo fortunato Da Sant’Agostino a Galileo, privilegia la scuola di Oxford, e in particolare due suoi eminenti rappresentanti, i francescani Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone. La scuola oxoniense si caratterizza per la forte attenzione alla logica e alle matematiche. A Grossatesta si deve una delle prime proposte di riforma del calendario, per ovviare all’accumularsi di ritardi nel computo del tempo astronomico. Scrive di ottica, e pone attenzione al rapporto di subordinazione tra diverse discipline, conferendo al ragionamento matematico un ruolo primario quale condizione di ogni progresso nei vari settori delle ricerche fisiche. L’interesse di Roberto Grossatesta per la sperimentazione viene compiutamente sviluppato dal suo allievo Ruggero Bacone.
Con accenti che si ritroveranno in Leonardo da Vinci e nella trattatistica intorno ai vantaggi pratici dell’accrescimento delle conoscenze naturali e delle tecniche, Ruggero esalta l’utilità delle tecniche e della sperimentazione per il miglioramento della vita umana. Bacone riferisce all’antichità classica la costruzione di macchine capaci di viaggiare sotto la superficie dei mari o sulla terra, anche se dubita che macchine capaci di volare grazie a un meccanismo che aziona delle ali artificiali siano veramente state relizzate nell’età d’oro delle tecniche alessandrine. Non dubita tuttavia che in futuro simili congegni permetteranno la conquista dei mari e dei cieli. Ruggero apprezza anche il ruolo dell’alchimia, sia per le arti metallurgiche, sia per la medicina. Non dubita che le pratiche alchemiche permetteranno presto la distillazione di un farmaco destinato a prolungare la vita umana, un tema che percorre gli scritti medici e alchemici per secoli a venire.
In Italia, a Salerno, Bologna, Padova, la tradizione medica aristotelica e araba viene considerevolmente approfondita, ponendo le basi per il primato europeo, che soprattutto Bologna e Padova eserciteranno per almeno altri quattro secoli. La grande epidemia di peste bubbonica, che tra il 1347 e il 1350 riduce quasi di metà la popolazione europea impegna tutti gli attori delle pratiche sanitarie. In molte città italiane, le misure preventive adottate spingono alla costituzione di forme embrionali di controllo della salute pubblica, come la nomina di uno o più medici incaricati di prendere misure adeguate per porre rimedio a varie forme di aggressioni epidemiche.
Nel corso del XIV secolo molti dotti superano la dipendenza dalle fonti arabe grazie al rinnovato fervore nella ricerca degli originali greci, che si riteneva fossero stati semplicemente tradotti dai commentatori arabi. Inizia così il processo di crescente sottovalutazione dell’apporto originale della cultura scientifica arabo-musulmana, favorito anche dall’oggettivo stagnare delle pratiche scientifiche nei Paesi assoggettati alla potenza orientale. Con l’emergere prorompente dell’umanesimo, non sono solo le lettere e la filosofia a confrontarsi con i classici del mondo greco ed ellenistico. Astronomia e matematica, botanica e zoologia, medicina e farmaceutica sono alcune delle discipline rinnovate grazie all’apporto delle traduzioni dal greco. Se nei primi decenni del XIII secolo la conoscenza della lingua greca è decisamente rara – Roberto Grossatesta, ad esempio, deve parte della sua pur meritata fama alla conoscenza della lingua dei classici greci ed ellenistici – a partire dalla seconda metà del XIV secolo un numero crescente di dotti fa sfoggio e utilizza negli studi la lingua greca che è sempre più considerata come strumento indispensabile per accedere alla sapienza degli antichi.
Lo sviluppo e la diffusione di nuove tecniche in diversi settori delle attività produttive rimane importante per i due secoli in esame. Tuttavia, le pur notevoli innovazioni non hanno lasciato una documentazione sufficiente a individuare gli artigiani o proto-ingegneri che ne furono gli artefici. Molto probabilmente, come avverrà alcuni secoli dopo per l’invenzione del telescopio, piccole migliorie apportate localmente a strumenti, macchine da guerra, attrezzi agricoli o ai sistemi di trasmissione dell’energia per i mulini ad acqua e a vento, o a pezzi di vetro lavorati, utili per ingrandire oggetti, si diffondono grazie alla rete di fiere e mercati che collega sud e nord, est e ovest del continente.
Se nel campo dei saperi dotti, all’interno delle organizzazioni religiose e delle università, come pure della medicina, cominciano a prendere forma figure di intellettuali sempre più specializzati che rivendicano margini crescenti di autonomia e di autorità e dignità personale, nel mondo delle tecniche la cultura artigiana, spesso scarsamente o per nulla alfabetizzata, lascia scarsissime tracce relative ai suoi protagonisti, al ruolo che occupano nelle città e nella rete internazionale di mobilità di personale tecnico chiamato a costruire cattedrali, fortificazioni e nuove armi, ad aprire miniere o a regolare il corso di fiumi. Emergono invece a dignità letteraria figure di mercanti viaggiatori che si spingono, come Marco Polo, sino ai grandi imperi dell’Oriente e dell’Estremo Oriente. All’interno della cultura ecclesiastica e universitaria, accanto ad autori che esprimono apprezzamento per il mondo delle tecniche, e si prodigano per includere aspetti delle pratiche produttive nel novero delle discipline degne di insegnamento e di elaborazione teorica (come l’alchimia, ad esempio), altri rivendicano la superiorità della produzione intellettuale nei confronti di attività legate al commercio e a bassi interessi materiali.