Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Una nuova spinta espansiva
Il 13 aprile 1204 Costantinopoli – già caduta nelle mani dei crociati nel luglio dell’anno precedente – è nuovamente espugnata. La città che dai tempi di Costantino (285 ca.-337) aveva superato crisi di ogni genere, a partire dalla sconfitta dell’imperatore Valente (328-378) ad Adrianopoli nel 378, e aveva resistito ad assalti prolungati da parte di Persiani, Arabi, Avari e Bulgari, viene conquistata e saccheggiata da altri cristiani.
In tal modo non si realizza certo la riunificazione dell’Impero romano, ancora vagheggiata da Ottone III (980-1002), ma si concretizza piuttosto la spinta espansiva della società europea dei due secoli precedenti sotto il segno della Croce, in modo non inatteso, dati i numerosi propositi di conquista che sono stati manifestati di volta in volta nel corso del secolo XII. E sotto il segno della Croce i sovrani iberici sbaragliano gli arabi a Las Navas di Tolosa, nel 1212, e completano negli anni successivi, fino al 1270, la Reconquista, a eccezione di Granada. L’ordine teutonico conduce una politica di espansione nell’area baltica, dove l’Hansa promuove e monopolizza le attività marittime, mentre le popolazioni balcaniche, quelle dalmate e quelle dell’Europa centro-orientale subiscono sempre più l’influenza politico-religiosa della cristianità. Nel Mediterraneao la riconquista, oltre che della Spagna meridionale, delle isole Baleari e della Sicilia ha consentito tra i secoli XI e XII il consolidamento della presenza aragonese e la conquista dei Balcani nel secolo XIII rafforza le posizioni cristiane. Le attività commerciali di Pisa e di Genova sono dirette anche verso est in concorrenza con Venezia, che stabilisce la sua egemonia nel Mediterraneo orientale. Non a caso la quinta, la sesta e la settima crociata sono indirizzate alla conquista dell’Egitto per completare il controllo del bacino orientale.
La spinta espansiva è dovuta al notevole incremento demografico dei primi due secoli del nuovo millennio e allo sviluppo delle attività agricole, artigianali e commerciali che sollecitano la rinascita dell’economia monetaria, dopo la lunga stasi altomedievale causata, fra l’altro, da una persistente mancanza di metalli preziosi. All’inizio del ‘200 sono coniate nuove monete d’argento e d’oro a Venezia e a Firenze, e poi a Genova, in Francia, in Inghilterra e in Ungheria, ai cui giacimenti si aggiunge l’afflusso di oro delle miniere sudanesi per effetto dei commerci con le popolazioni africane. La più sostenuta circolazione monetaria, l’uso di nuovi mezzi di pagamento, la frequenza delle fiere, il miglioramento delle vie di comunicazione comportano la formazione di un ricco ceto di banchieri che finanziano commerci, viaggi, spedizioni navali, signorie, regni e guerre, come nel caso dei Bardi e dei Peruzzi di Firenze (che però finiranno col fallire verso la metà del Trecento).
La Chiesa e la politica europea
Collante ideologico di questa spinta espansiva è lo spirito crociato, l’esigenza di cristianizzare popoli di credenze diverse. La Chiesa è uscita trionfatrice dalle istanze riformatrici che l’hanno investita dal secolo X, che hanno combattuto la corruzione dei costumi, il concubinato dei preti e la simonia, hanno consentito l’affermazione del primato papale e della libertas ecclesiae.
Dopo il concordato di Worms del 1222, con il quale il papa è riuscito sostanzialmente a sottrarre la nomina dei vescovi all’imperatore sulla base della distinzione fra investitura temporale e investitura canonica, la Chiesa si va sempre più affermando nella vita politica, in virtù della definitiva sottrazione dell’elezione papale a ogni influenza esterna e di un centralismo monarchico che, anche attraverso la diffusione dei legati papali, ne fa un punto di riferimento europeo. E sicuramente a tale affermazione ha contribuito la partecipazione della Chiesa alla rinascita culturale in atto, con la istituzione di scuole presso le cattedrali nelle città, con l’insegnamento nelle università della teologia, intesa come sintesi di tutto il sapere, con il tentativo di comporre il contrasto tra la conoscenza razionale e l’esperienza mistica, ma anche con lo sviluppo del diritto canonico, con la direzione del sistema assistenziale e dell’immaginario collettivo.
Innocenzo III (1160-1216) sintetizza l’esperienza politica e religiosa del papato nei due secoli precedenti. Più che vicario di Pietro, è ora vicario di Cristo ed è in una logica di subalternità che Sicilia, Inghilterra e Portogallo diventano formalmente feudi ecclesiastici e che il Pontefice assume un ruolo centrale nel sistema di alleanze dell’Europa cristiana: Innocenzo III promuove contro Ottone di Brunswick (1182-1218), Giovanni Senza Terra (1199-1216) e alcuni grandi feudatari francesi, una coalizione facente capo al re di Francia Filippo Augusto (1165-1223), che in Fiandra, presso il ponte di Bouvines, il 27 luglio 1214, riporta una vittoria comunemente considerata tra gli avvenimenti fondanti della Francia.
Francia, Inghilterra e impero
Ed è sull’onda di questa vittoria e dell’alleanza con il papato che la monarchia francese (di cui Innocenzo III, prima fra quelle europee, riconosce formalmente l’indipendenza dall’Impero) recupera sotto la propria sovranità i territori occupati dagli Inglesi a nord della Loira, la Provenza, il Poitou, il Saintonge e la Linguadoca sotto Luigi VIII (1187-1226), i possedimenti di Raimondo VII di Tolosa sotto Luigi IX (1214-1270), incassa la definitiva rinuncia – con la pace di Parigi del 1259 – di Enrico III (1216-1272) di Inghilterra alla Normandia, al Maine, all’Angiò e al Poitou e il suo riconoscimento dello stato di vassallo per il Ducato di Guienna (Aquitania), estende il regno alle contee di Tolosa e di Champagne al tempo di Filippo l’Ardito, figlio di Luigi IX. Il consolidamento della corona francese e il ruolo che essa va assumendo nello scenario europeo trova una significativa conferma nel consenso di papa Urbano IV (?-1264) alla conquista del Regno di Sicilia (solo nel Trecento denominato Regno di Napoli, dopo il passaggio della Sicilia agli Aragonesi) da parte del fratello di Luigi IX, Carlo d’Angiò (1226-1285), pronto a sua volta a ulteriori crociate, senza però riuscire a organizzare una spedizione contro la Costantinopoli riconquistata dai Bizantini nel 1261.
Diversa la sorte della monarchia inglese, uscita battuta e umiliata a Bouvines e costretta, nel corso del Duecento, a diverse concessioni alla nobiltà, a partire dalla Magna Charta Libertatum (1215), in cui il re Giovanni Senza Terra si obbliga al rispetto delle antiche consuetudini, soprattutto per quanto attiene al diritto dei nobili di essere giudicati da loro pari e di non essere sottoposti a tributi se non previa consultazione del Consiglio dei nobili e degli ecclesiastici. Nelle Provvisioni di Oxford (1259) il re Enrico III è obbligato da Simon de Monfort (1160-1218), figlio del vincitore degli Albigesi, alla nomina di 15 baroni come consiglieri e controllori dell’amministrazione e nel 1264 è costretto alla costituzione di un Consiglio di Reggenza e alla convocazione di un Parlamento di cui fanno parte 2 cavalieri per contea e 2 rappresentanti per città.
Il celebrato splendore della corte di Federico II (1194-1250), voluto sul trono imperiale da Innocenzo III contro Ottone IV di Brunswick (rivelatosi inaffidabile nel quadro politico che il papato intende disegnare per l’Europa occidentale) coincide con la fine della dinastia degli Hohenstaufen di Svevia. Personaggio controverso ed entusiasmante, Federico, dopo aver promesso di rinunciare al trono di Sicilia in favore del figlioletto Enrico, è incoronato il 9 dicembre 1212 re di Germania e l’anno dopo, con la Bolla d’oro di Eger, si spoglia dei residui diritti nelle elezioni di vescovi e abati riconosciuti all’imperatore dal concordato di Worms; ragione per cui è detto “re dei preti” da Ottone di Brunswick. La morte del papa e la sostanziale remissività del successore, Onorio III (?-1226), gli consentono, pur non avendo mantenuto la sua promessa, di essere incoronato imperatore il 22 dicembre 1220 in San Pietro. Se in Germania la politica del giovane Federico è stata diretta a un ristabilimento dell’equilibrio fra diritti feudali e potestà imperiale, con un sostanziale cedimento alle richieste della nobiltà, nel Regno di Sicilia egli inaugura una politica di accentramento dei poteri regali, che cerca poi di estendere in Italia settentrionale, dove entra in conflitto con i comuni, da lui battuti a Cortenuovo (1238).
Nonostante l’ostilità che gli è manifestata dal papa durante buona parte del suo regno (è, fra l’altro, scomunicato due volte), fa concessioni rilevanti, come la pace di Ceprano del 1230, in cui rinuncia ad ogni forma di controllo sull’elezione dei vescovi e riconosce la piena immunità giudiziaria e fiscale al clero meridionale, proprio mentre la sua corte di studiosi e giuristi gli consente di emanare le Costituzioni di Melfi (1231) e poi, nel 1235, a Magonza la Costituzione di pace imperiale, nel quadro di un riordinamento legislativo in cui si manifesta la volontà di mantenere la propria autonomia dall’influenza ecclesiastica sulla base del diritto romano. Negli ultimi anni Federico II subisce una serie di sconfitte e con la sua morte, nel 1250, si esaurisce non solo la dinastia sveva, ma soprattutto il disegno imperiale dell’unità tra Germania e Italia, dove gli ultimi eredi, Manfredi e Corradino, muoiono tragicamente dopo le sconfitte di Benevento e di Tagliacozzo.
Nuovi fermenti sociali e culturali: i catari
Gli stessi fermenti economici, sociali e culturali che il papato ha saputo in gran parte indirizzare alla formazione del proprio primato politico e religioso hanno dato vita a una articolazione della società che è evidente in particolare nei comuni italiani, dove affluiscono i lavoratori delle campagne, dove i mestieri si stringono in corporazioni i cui rappresentanti hanno un peso considerevole nella vita politica, mercanti e uomini d’affari occupano uno spazio crescente, la popolazione si organizza in confraternite e le maggiori famiglie si scontrano per definire la loro egemonia. Aumentano le possibilità di intervento e perfino di direzione nella vita familiare e pubblica delle donne, anche per il complessivo ingentilirsi dei costumi cui non è estraneo l’insegnamento religioso, sebbene, di contro, proprio per resistere a nuovi stili di vita più liberi il diritto civile e quello canonico sanciscono per molti aspetti l’esclusione delle donne dal potere. E maggiore spazio può essere consentito a giochi, passatempi e feste, qualche voce si leva perfino all’interno della Chiesa in difesa del gioco d’azzardo, che si avverte ormai in consonanza con lo spirito del tempo.
Un processo di trasformazione che è visibile nella stessa cultura letteraria e figurativa: alla letteratura cortese e cavalleresca del XII e XIII secolo, alla celebrazione di avventure, guerre e amori narrati in una dimensione favolistica e sacrale dalle forti connotazioni spirituali, si affiancano la novellistica di Boccaccio (1313-1375), i Canterbury Tales di Chaucer (1343 ca.-1400), il Roman de Renard e i Fabliaux che riconducono a un mondo quotidiano, civile e mercantile. Giotto (1267 ca.-1337) abbandona gli sfondi d’oro della trascendenza per rappresentare anch’egli, sia pure nell’ambito di tematiche religiose, scene della vita quotidiana di quel “popolo grasso” privo di titoli nobiliari, che si riconosce nella contrapposizione alla feudalità. D’altra parte si aggravano le condizioni dei poveri proprio mentre si diffonde, non a caso, un nuovo modo di considerare i miseri, non solo come immagine di Cristo e strumento di salvezza per i ricchi, ma anche come modello da perseguire e da opporre a una società in rapido mutamento, in cui il denaro e la sua accumulazione diventano il metro del successo. Così si diffondono gli Ordini mendicanti, i pellegrinaggi in cui i partecipanti si fanno temporaneamente poveri e si istituzionalizza l’elemosina. Tuttavia, contemporaneamente, avanza la distinzione fra buoni e cattivi poveri, fra quelli che si trovano nell’impossibilità di lavorare, e che devono essere assistiti, ma, appena possibile, impiegati in modo utile per la società, e quelli dediti all’ozio e al vagabondaggio, da punire e rinchiudere.
Questi cambiamenti della società hanno permesso una vivacità culturale, una libertà espressiva e hanno prodotto curiosità e inquietudini religiose non più facilmente controllabili attraverso gli strumenti ordinari della predicazione, della liturgia, delle indulgenze e delle scomuniche, per cui nel concilio lateranense IV (1215) sono stabiliti tribunali vescovili contro le eresie, fino a giungere con Gregorio IX, tra il 1231 e il 1235, all’istituzione dell’Inquisizione pontificia. I movimenti religiosi che si vanno diffondendo soprattutto nella Francia meridionale, in Germania e nell’Italia, come quello dei Valdesi (o poveri di Lione), già scomunicati da Lucio III (?-1185) nel 1184 insieme agli umiliati, ai catari e a gruppi di minore importanza, si collocano fra le frange più avanzate della Chiesa (come i Francescani spirituali) e l’eresia (come i Fraticelli), alcuni avranno un ruolo importante nel rinnovamento religioso, come i Fratelli della vita comune (Devotio moderna), altri rappresentano una sorta di fuga in avanti che non può trovare vasta eco, come la Libera intelligenza, probabilmente fondata da una donna nel 1350 sulla base della comunione dei beni, della libera interpretazione delle Sacre scritture e del rifiuto dei sacramenti. Tutti comunque contribuiscono a preparare il terreno su cui si affermerà poi la Riforma protestante e sono ormai, nella consolidata ideologia del potere papale, non tanto portatori di vie diverse alla fede, ma nemici da distruggere, soprattutto quando contestano le gerarchie ecclesiastiche.
Particolarmente pericolosi sono ritenuti i catari che, ricollegandosi alle teorie dualistiche dei manichei, individuano il male nella vita materiale, dalla quale bisogna liberarsi vivendo poveramente e asceticamente per entrare quanto prima nel regno dei perfetti. Questo movimento dai caratteri sostanziamente eversivi perché indirizzato contro la natura coercitiva del potere – sia esso civile o religioso – è caratterizzato da una organizzazione ecclesiastica alternativa rispetto a quella istituzionale e da una forte presenza territoriale nella contea di Tolosa, sostanzialmente autonoma rispetto ai re di Francia. Nel 1208, pertanto, Innocenzo III bandisce una crociata, durata fino al 1229, contro i catari (detti anche albigesi dalla città di Alba, dove sono particolarmente numerosi), in cui l’interesse del re Filippo Augusto alla supremazia sui principati territoriali francesi ancora dotati di grande autonomia si salda con quello del papa e porta l’esercito crociato, sotto il comando di Simon de Montfort alla conquista della Provenza e alla presa di Béziers. L’ideologia della crociata intesa come annientamento dell’avversario appare evidente anche nell’atteggiamento di papa Gregorio IX verso Federico II, scomunicato, come si è detto, per non aver tempestivamente effettuato una crociata, benché diventato, sebbene per poco tempo, re di Gerusalemme in forza di un trattato concluso con il re d’Egitto. E contro gli eretici sono utilizzati anche gli Ordini mendicanti di nuova formazione (Francescani, Domenicani, Carmelitani e Agostiniani), che accettano l’ubbidienza al papa e soprattutto i Domenicani, ai quali sono affidati i tribunali dell’Inquisizione papale. Negli stessi anni una Chiesa orgogliosa intensifica la persecuzione degli ebrei, costretti nel 1215 a portare un segno distintivo giallo, a partecipare a Roma a feste in cui si presentano come oggetto di derisione, a subire confische dei beni ed espulsioni.
L’espansione turca e mongola
Ma a metà del secolo XIII la spinta espansiva della società europea comincia a ridursi anche per effetto di significativi rovesci militari che, pur non incidendo sensibilmente sulle attività commerciali dell’Hansa al nord e delle potenze marinare nel Mediterraneo, impediscono ogni ulteriore conquista in Oriente. Lo spostamento verso ovest delle popolazioni del Turkestan, causato dalla pressione dei Mongoli, avvia l’occupazione delle regioni anatoliche e greche, già sotto il dominio bizantino, da parte della dinastia turco-musulmana degli Ottomani, fino a che, verso la fine del Trecento, con la presa di Adrianopoli, la vittoria nella battaglia del Kossovo del 1389 e l’annientamento della Grande Serbia, la risalita dei Balcani da parte dei musulmani appare inevitabile, solo temporaneamente arrestata dalla rovinosa sconfitta inflitta loro da Tamerlano. L’affermazione dei Turchi tra il secolo XIV e il XV sottrarrà nuovamente il bacino del Mediterraneo al monopolio delle popolazioni cristiane, indirizzerà la loro forza espansiva verso l’oceano Atlantico e contribuirà a definire l’assetto territoriale del continente. Intanto i Mongoli battono la cavalleria tedesco-polacca a Liegnitz e l’esercito ungherese sul Sojo per poi ritirarsi senza gravi danni territoriali per i regni di Polonia e Ungheria, ormai gravitanti nell’orbita della Chiesa di Roma; mentre l’Ordine teutonico, fusosi con l’ordine di Portaspada, dopo l’acquisizione della Livonia e della Curlandia, subisce gravi sconfitte a opera dei Lituani nel 1236 e soprattutto del Principato di Novgorod nel 1242 e deve limitare la sua azione ai territori e alle città a ridosso del mar Baltico, anche perché negli stessi anni la signoria tartara dell’Orda d’oro rappresenta un ostacolo insormontabile all’espansione dell’Europa occidentale.
A loro volta i Bizantini riconquistano Costantinopoli nel 1261, mettendo fine all’Impero latino d’Oriente, e riescono per circa un secolo a controbilanciare il ruolo di Venezia con una accorta politica diplomatica, con un trattato con Genova, che acquista così la supremazia commerciale sul mar Nero e uno spazio importante in Oriente, anche se il controllo di Creta e delle isole greche rende ancora Venezia padrona dell’Egeo e del mondo insulare orientale. Sotto la pressione dei Mamelucchi vengono sgombrati dai crociati il principato di Antiochia nel 1268, la contea di Tripoli nel 1289, le città di Tiro, Beirut e Sidone, così come San Giovanni d’Acri, nel 1291. Restano nelle mani cristiane solo Cipro (fino al 1489 sotto la casa dei Lusignano), Rodi (fino al 1523 sotto la signoria dei Cavalieri di San Giovanni) e il Regno dell’Armenia minore (solo fino al 1375).
Nuovi equilibri e assetti politici
Anche i viaggi in Oriente di missionari e mercanti, che erano stati numerosi al tempo di Marco Polo (1254-1324) e si erano spinti più volte fino in Cina, si fanno più rari, mentre la spinta alle esplorazioni oceaniche, dopo l’insuccesso dei fratelli Vivaldi di cui si perdono le tracce oltre lo stretto di Gibilterra, sollecitata dalle più difficili comunicazioni con l’Oriente, si intensificherà solo nella seconda metà del Trecento. E quando, all’inizio del secolo XIV, Bonifacio VIII (1235-1303) celebra il trionfo papale con l’istituzione del giubileo, che consente la remissione di tutte le pene per coloro che si recano a Roma in pellegrinaggio, la città eterna diventa un luogo santo più sicuro e collocato ben dentro la cristianità rispetto a quello che era stato fino ad allora Gerusalemme.
Verso la fine del Duecento, con il fallimento e la morte di Luigi IX a Tunisi nell’ultima crociata e con la mancata spedizione di Carlo d’Angiò contro Costantinopoli, le energie cristiane si volgono a costruire nuovi equilibri e a stabilizzare gli assetti che si vanno definendo in Europa attraverso un progressivo accorpamento di entità territoriali. Alcune regioni entrano a fare parte dell’Impero, come l’Austria, la Stiria, la Carinzia nel 1278, o la Boemia e la Moravia all’inizio del Trecento. Carlo IV di Lussemburgo (1316-1378) prosegue nell’ambito del consolidamento l’espansione demografica e culturale tedesca verso i confini orientali, in atto dal secolo XII, sposta la capitale a Praga e fa della Boemia il nucleo centrale dell’impero, con l’acquisizione della Lusazia e del Brandeburgo. A est però si forma un grande regno polacco-lituano che rallenterà la germanizzazione delle province orientali, mentre a sud-est l’Ungheria, che ingloba la Croazia e parte della Bosnia e la Serbia vittoriosa sui Bulgari e sui Greci delimitano i confini europei. Al pari della monarchia francese quelle della penisola iberica e dell’Inghilterra vanno rafforzando il loro potere nei confronti della feudalità con la costituzione di apparati giuridici e amministrativi più efficienti.
Nell’Italia meridionale sopravvive la dinastia angioina, dopo un periodo di grande splendore con Roberto d’Angiò (1278-1343) nella prima metà del Trecento, mentre nell’Italia settentrionale, sotto la spinta di una vita economica e sociale sempre più vivace, l’assetto istituzionale dei comuni si va modificando e passa dal regime consolare a quello dei podestà, che nel governo delle città dovrebbero garantire una neutralità politica fra le fazioni in lotta in virtù della loro natura tecnica di esperti del diritto e dell’amministrazione e si vanno affermando le signorie, il cui assetto è simile a quello delle maggiori monarchie europee, come logica conclusione di quel processo di espansione territoriale cittadino verso il proprio contado e poi verso le città vicine che si era consolidato verso la fine del secolo XII con la formazione di governi oligarchici.. Nell’assetto politico italiano trovano però spazio anche altre realtà territoriali, a partire da Venezia che consolida la sua struttura oligarchica con la Serrata del Maggior Consiglio del 1297 e inizia una politica di espansione territoriale verso il retroterra fino alla dinastia feudale italo-francese dei Savoia. Si tratta di uno scenario fortemente conflittuale, anche per la contrapposizione fra guelfi – che si riconoscono nell’autorità del papato – e ghibellini – che si rifanno all’autorità imperiale –, al quale partecipa spesso anche il Regno di Napoli in una prospettiva di egemonia neoguelfa della penisola, e dove decisiva appare l’utilizzazione delle compagnie di ventura pronte a passare al servizio dell’uno o dell’altro signore.
Il nuovo modo di fare la guerra avvantaggia le grandi monarchie: non più battaglie cavalleresche, assedi e conflitti di durata limitata, ma stati endemici di guerra costituiti da una successione di battaglie e scaramucce militari, a volte a carattere di guerriglia (come nella guerra del Vespro che, scoppiata nell’aprile del 1282, dura in realtà circa 90 anni nelle regioni più meridionali d’Italia), alimentate dai nuovi eserciti mercenari. Cambiamenti avvengono anche sui mari, dove agli assalti dei pirati si aggiungono sempre più spesso quelli dei corsari: sono del tempo di Enrico III di Inghilterra le prime lettere di corsa note, con le quali emissari autorizzati da un potere formalmente riconosciuto possono attaccare i navigli nemici e dividere il bottino con i mandanti. In altre aree, al contrario, predoni, come i Vitalienbrüder del Mare del Nord spesso al soldo di potenti locali sono sconfitti da compagini sociali e politiche che, come le città anseatiche, non hanno interesse a servirsene.
Potere temporale e papato
Cambiamenti si producono anche quanto ai legami dei sovrani con il papato che tendono perdere il carattere religioso in favore di quello diplomatico, mentre il condizionamento ecclesiastico si rivela meno vincolante rispetto ai secoli precedenti: non a caso l’incoronazione imperiale di Ludovico il Bavaro (1287-1347) avviene a Roma nel 1328, non da parte del papa, ma di Sciarra Colonna come rappresentante del popolo romano, secondo le tesi di Marsilio da Padova, per il quale il potere politico e quello religioso, derivanti da Dio, sono fondati sul consenso del popolo, l’universitas civium che delega le sue prerogative al principe, come nella Chiesa è l’universitas fidelium, di cui è espressione il Concilio, a delegare il papa.
E sul principio della “naturalità” dello Stato di Aristotele, nella Unione elettorale di Rhens (1338) i principi tedeschi dichiarano che l’imperatore non ha bisogno di alcuna legittimazione papale, mentre, nel 1356, con la Bolla d’oro, il nuovo imperatore Carlo IV di Lussemburgo-Boemia sancirà solennemente che la dignità imperiale è attribuita a chi è eletto re di Germania e incoronato ad Aquisgrana, e che tale diritto spetta a 7 grandi elettori: gli arcivescovi di Colonia, Magonza e Treviri e 4 laici (il re di Boemia, il duca di Sassonia, i margravi del Palatinato e del Brandeburgo).
I due poteri universali, benché interdipendenti, vengono spesso in urto. Nel caso della monarchia francese, l’impegno di Filippo IV il Bello (1268-1314) per una complessa operazione di riorganizzazione del regno attraverso l’aumento delle entrate fiscali va a confliggere con la pretesa papale dell’esonero del clero da ogni tassazione. Lo scontro, causato dall’emanazione della bolla Unam Sanctam nel 1302, si concretizza nel tentativo di Filippo, con il sostegno di rappresentanti della nobiltà romana, di processare il Papa davanti a un tribunale francese e a tal fine, nell’autunno del 1303, i Francesi cercano di portarlo via dal palazzo di Anagni, senza peraltro riuscirvi. Dopo il breve pontificato di Benedetto XI (1240-1304), che scomunica sia Guglielmo di Nogaret sia Sciarra Colonna, ritenendoli i protagonisti dello “schiaffo di Anagni”, il nuovo papa Clemente V (?-1314), già arcivescovo di Bordeaux, preferisce stabilirsi ad Avignone, dove l’intera corte pontificia si trasferisce alcuni anni più tardi. Nel periodo della “cattività avignonese” (1309-1377), per quanto i papi continuino a rafforzare il loro apparato burocratico e diplomatico, è indubbio che la loro politica sia fortemente condizionata dalla rafforzata monarchia francese, come è evidente nel caso della condanna per eresia e della soppressione dell’ordine dei Templari, delle cui ricchezze Filippo il Bello ha bisogno di appropriarsi per far fronte alle necessità finanziarie del regno. Un condizionamento tradottosi in una vera e propria crisi subito dopo il ritorno di Gregorio XI (1329-1378) a Roma, quando il Collegio cardinalizio a prevalente composizione francese, forse sotto la pressione del popolo romano, elegge papa l’italiano Urbano VI (1318 ca.-1379) nel 1378 per poi, 5 mesi dopo, annullarne l’elezione ed eleggere in sua vece il francese Clemente VII (1342-1394), dando vita a uno scisma – un papa a Roma e uno ad Avignone – che vedrà addirittura la compresenza di tre papi, composto solo dopo alterne vicende nel 1449. Del resto l’investitura imperiale di Ludovico il Bavaro da parte della nobiltà romana e l’affermazione nel 1347 della Repubblica romana di Cola Di Rienzo (1313 ca.-1354) – sia pure di breve durata – confermano l’indebolimento del potere papale nella stessa Roma, dove solo più tardi il cardinale Albornoz riesce a ripristinare l’autorità pontificia, mediando fra le famiglie dei Colonna e degli Orsini e promulgando le Constitutiones Aegidianae destinate a riordinare lo Stato Pontificio fino al 1816.
Carestie, guerre, rivolte e pestilenze
Con il secolo XIV e fino alla metà del XV si apre per le popolazioni europee un periodo drammatico di carestie, guerre e pestilenze che comportano una stasi e in molte regioni un arretramento del processo di sviluppo in atto dal secolo X. Al notevole aumento della popolazione, più che raddoppiata in alcune aree e addirittura triplicata in altre nel giro di 3 secoli, non ha fatto seguito un corrispondente incremento delle risorse alimentari, per cui basta, come pare sia avvenuto, un peggioramento del clima per favorire carestie ed epidemie di peste, reintrodotta in Europa alla metà del secolo XIV, dopo circa 1000 anni, da navi genovesi provenienti dal Mar Nero. Il flagello che investe l’Europa – la peste nera – ne riduce la popolazione di circa il 30%, con profonde ripercussioni sugli apparati economici, produttivi, sociali e politici.
Intanto è già scoppiata tra Francia e Inghilterra la guerra dei Cent’anni, il cui arco temporale è fissato convenzionalmente fra il 1337 e il 1453, ma che è sostanzialmente espressione di una conflittualità di durata ancora più lunga. Se per i due paesi essa si conclude con un rafforzamento delle rispettive identità e quindi delle monarchie che le rappresentano, per le popolazioni è un ulteriore flagello che si somma a quello costituito dall’epidemia, riconducibile non alla volontà divina, ma a quella degli uomini. Perciò in Francia, dopo le sconfitte di Crécy (1346) e di Poitiers (1356), scoppia nel 1358 una violenta rivolta contadina detta sprezzantemente jacquerie, ma il cui principale esponente, Étienne Marcel (1316 ca.-1358), persegue il progetto di ridurre il potere e i privilegi della nobiltà; e in Inghilterra, due decenni dopo, nel 1381, si sviluppa una rivolta che dai contadini si estende agli artigiani, anche a causa del pesantissimo prelievo fiscale causato dalla guerra. Ma non solo la guerra è alla base delle rivolte che esprimono, fra l’altro, il forte disagio determinato dallo squilibrio fra l’aumento della popolazione e l’insufficiente crescita delle risorse e delle attività produttive: in Germania sono accertate due rivolte contadine nella seconda metà del trecento e rivolte contadine si sono già verificate e si verificheranno poi, nel 1462, in Catalogna contro la bassa nobiltà e il patriziato cittadino; il movimento dei Turchini negli anni settanta e ottanta si estende dalla Linguadoca al Piemonte, e molto diffuso, seppure di genere diverso, è il brigantaggio contadino nell’Italia meridionale. Tensioni e ribellioni si manifestano anche specificamente nel settore manifatturiero: alle rivolte dei tessitori delle Fiandre nella prima metà del secolo seguono rivolte di salariati a Perugia nel 1371, a Siena nello stesso anno, e a Firenze, nell’estate del 1378, si scatena il tumulto dei Ciompi – salariati dell’arte della lana –, caratterizzato da un progetto politico piuttosto articolato che però porta alla soppressione, nel 1382, delle corporazioni dei tintori e dei farsettai, all’eliminazione dal governo di alcune arti minori e alla formazione di un governo oligarchico durato un cinquantennio, fino all’avvento della signoria di Cosimo de’ Medici (1389-1464) nel 1434. Alla base di queste rivolte vi è sicuramente una forte contrazione della produzione della lana, con conseguenti ricadute sull’occupazione e sui salari, mentre in altri settori, come quello serico, quello metallurgico e quello cantieristico, vi è un sostanziale aumento della produzione, a riprova del fatto che, nonostante la grave congiuntura, l’Europa trecentesca non ha del tutto perso lo slancio dei primi secoli.