intuizionismo
Termine con cui si designano quelle concezioni che non solo riconoscono una funzione all’intuizione, ma rivendicano a essa un ruolo privilegiato. Di i. si è così parlato a proposito della scuola scozzese del senso comune di Reid e Hamilton, che nel tentativo di superare le conclusioni scettiche di Hume affermò la capacità degli uomini di percepire, mediante l’intuizione, delle verità certe sia sul piano gnoseologico sia su quello morale. Nel sec. 20°, invece, l’i. di Bergson non si limita a riconoscere un posto primario all’intuizione, ma contrappone questa funzione libera e creatrice all’intelletto schematico e statico. Alla reazione a quanto di schematico e di statico si accompagnava allo scientismo positivistico si possono far risalire, oltre alla filosofia di Bergson, anche altre forme d’i. affermatesi nei primi decenni del Novecento. Così nell’etica anglosassone la teoria di Sidgwick, Moore, H. Prichard, W. D. Ross e A. Ewing, che, contro la tendenza dell’utilitarismo inglese a considerare la morale come una parte della scienza, ne afferma invece l’autonomia riconoscendo nell’intuizione la forma di percezione peculiare nel campo valutativo. Così l’opera di Scheler e Hartmann, che ha visto nell’intuizione l’unica via per cogliere la gerarchia dei valori. Così le conclusioni di Brouwer (➔ oltre), che, opponendosi alla concezione della matematica come sistema puramente formale di simboli, hanno visto all’origine degli elementi di questa disciplina (numeri, assiomi, teoremi) un continuo intervento dell’intuizione concepita come attività della mente che crea e costruisce i costituenti essenziali di questo campo.
Alcuni principi della corrente di studi metamatematici nota come i. furono già professati da L. Kronecker (critica all’infinito attuale cantoriano) e da H. Poincaré: «Non esiste un infinito attuale; ciò che noi chiamiamo infinito è solo la possibilità di creare incessantemente nuovi oggetti». Anche E. Borel e H. Weil condividono in sostanza i presupposti dell’i. quando, per es., sostengono l’assoluta necessità di metodi costruttivi. Brouwer cominciò a divulgare le sue idee già nel primo decennio del 20° sec. e presentazioni più sistematiche sono state poi pubblicate dal suo più autorevole collaboratore, Heyting. L’intuizione è l’unico criterio di verità, e solo su di essa può basarsi il pensiero matematico. La matematica non solo è indipendente da ogni verifica sperimentale, ma anche dal linguaggio e dalla logica. I numeri sono nozioni astratte intuibili, quindi privi di quell’esistenza che a essi pretende di attribuire il realismo concettuale. Il fenomeno fondamentale nel pensiero matematico è l’intuizione della «duità» (twoness) pura, che consente la costruzione successiva dei numeri ordinali finiti; da questa ha origine anche l’intuizione del continuo lineare, cioè della «fraità» (betweenness), mai completata mediante l’inserzione di nuove unità e perciò non pensabile come semplice collezione di unità. Condizione necessaria per spiegare l’intuizione della duità è il tempo, che in questo senso è un a priori; in esso si sviluppa per fasi successive l’attività del matematico, la quale è essenzialmente di ordine psicologico. Perciò, la matematica partendo dalle intuizioni può raggiungere esclusivamente quegli oggetti che sono costruibili in un numero finito di passi. Questo è il motivo per cui non è possibile introdurre l’infinito attuale, che non è costruibile, ma solo l’infinito potenziale, per es., considerando la successione ordinaria dei numeri naturali come proseguibile illimitatamente nel tempo. Tutte le ricerche che prescindono da queste considerazioni psicologiche non possono pervenire alla conoscenza della matematica, sia che si riferiscano ai fondamenti, sia che riguardino un ramo qualsiasi della matematica. Solo in un secondo momento lo studioso potrà rivestire la matematica (che è introspezione sulle intuizioni) del linguaggio per poter comunicare con gli altri. E solo in una terza fase interviene la logica, che è analisi del linguaggio, anzi (come avviene, per es., nella teoria delle relazioni fra enunciati) è solo matematica applicata. Pertanto, se si vuole evitare un circolo vizioso, bisogna riconoscere che la matematica è indipendente dalla logica, mentre questa è sottoposta a quella; Brouwer parla di «illusione della libertà logica». Gli intuizionisti, coerentemente con i loro principi ispiratori, respingono ogni assiomatizzazione della matematica, ritenendola semplice costruzione verbale priva di contenuto matematico e di capacità creativa. Quindi rifiutano non solo la teoria «ingenua» degli insiemi di Cantor, ma anche quella assiomatica di H.F.F. Zermelo, del quale, naturalmente, non possono accettare l’assioma della scelta, sviluppando, conseguentemente, una propria teoria degli insiemi che sostituisce all’idea platonista di insieme i concetti di ‘spiegamento’ e di ‘specie’. Per spiegamento intendono un’accurata determinazione dello schema costruttivo mediante il quale vengono generati i vari elementi dell’insieme. Specie è una proprietà che si può supporre goduta da enti matematici. Sulla base di questi concetti gli intuizionisti possono introdurre il cosiddetto continuo intuizionista, il quale deve essere inteso come la specie delle successioni convergenti illimitate di numeri razionali. Gli intuizionisti negano la validità universale del principio del terzo escluso, nel senso che questo non è applicabile quando l’alternativa A ⋁ ¬ A è affermata relativamente a proposizioni A e ¬ A la cui validità non sia decidibile in un numero finito di passi; come avviene quando si deve, per es., decidere dell’infinità di un insieme. Heyting elabora in proposito una nuova logica, in cui vale ancora il principio di non contraddizione, ma non quello del terzo escluso. In essa ogni affermazione significa la riuscita di una costruzione, e ogni negazione significa che dall’ipotesi che si sia effettuata una costruzione si è effettivamente giunti a una contraddizione. Allora, l’enunciato A ⋁ ¬ A significa che almeno uno dei due enunciati A, A può essere affermato; perciò A ⋁ ¬ A non è universalmente valido, come, per es., si vede traducendo in termini intuizionisti la congettura di Goldbach. Poniamo A = ‘esiste una costruzione finita per associare a ciascun numero pari due numeri primi la cui somma sia quel numero pari’ e ¬ A = ‘esiste una costruzione finita che consente di calcolare almeno un numero pari che non può decomporsi nella somma di due primi’: in questo esempio è chiaro che né A, né ¬A sono veri, cioè il principio del terzo escluso non può essere applicato. In conseguenza, gli intuizionisti non possono accettare le dimostrazioni per assurdo. Essendo la matematica tradizionale contaminata da dimostrazioni non costruttive, essa deve essere completamente rifondata. L’aritmetica intuizionistica sostanzialmente coincide con quella tradizionale. Gli intuizionisti lavorano tuttora alla ricostruzione dell’analisi e giustificano il fatto che la ricostruzione finora effettuata è assai modesta osservando che essi hanno iniziato il loro lavoro con vari secoli di ritardo rispetto ai matematici tradizionali. In realtà si deve riconoscere che l’i. non solo non pretende di distruggere la matematica classica, ma vuole piuttosto ricostruirla su basi più salde; inoltre, l’introduzione di concetti come quello di sequenza di scelte, che non sono introducibili nella matematica tradizionale, consente di sviluppare nuovi metodi e nuove teorie matematiche.