INVASIONI BARBARICHE
BARBARICHE Le invasioni germaniche. - Alla fine del sec. I d. C., Tacito, fissando lo sguardo sulle popolazioni che abitavano oltre il limes dell'Impero ed erano comprese dai Romani sotto il nome di Germani, aveva avuto un presentimento angoscioso. Finché quelle genti rimanevano disgregate, non parevano rappresentare un pericolo imminente per l'Impero di Roma, ma che sarebbe avvenuto dei destini dell'Impero, se l'odio, che le divideva, fosse cessato?
La minaccia in verità era balenata innanzi al mondo romano già due secoli prima. Poiché i Germani, di cui, secondo la redazione augustea dei Fasti triumphales, Claudio Marcello aveva trionfato a Casteggio (212 a. C.), non erano probabilmente che mercenarî di stirpe celtica, e i Bastarni, popolazioni germaniche del basso Danubio, erano solo apparsi fugacemente negl'intrighi di Filippo V di Macedonia contro Roma (principio del sec. II a. C.). Ma era bene un'orda germanica quella dei Cimbri, che avevano prima invaso il Norico amico di Roma (113), poi, con i Teutoni e gli Ambroni (109), la Gallia, la Spagna, l'Italia. Le vittorie di Mario (102-101) avevano salvato il mondo romano dall'invasione; ma i Germani, che, tra il sec. VI e il II, dalle primitive sedi tra la bassa e media Elba e l'Oder erano dilagati a occidente verso il Reno, a oriente fino al basso Danubio, al settentrione nelle isole del Baltico e nella penisola scandinava, erano ormai entrati nella storia di Roma.
Popolazioni germaniche raccolte intorno ai Suebi, sottomessi i Celti della Germania meridionale, avevano passato con Ariovisto il Reno, forse nel 72 a. C., e già affermavano spettare a loro le terre oltre il fiume per il diritto di conquista; Cesare aveva respinto Ariovisto (58 a. C.) e ricacciato per la maggior parte i Germani oltre il fiume. Un'altra enorme massa di popolazione, che aveva nome dagli Usipeti e dai Tencteri, aveva voluto trasmigrare oltre il basso Reno ed era stata respinta ancora da Cesare (56-55 a. C.). Ma, quando Augusto aveva tentato di allontanare la minaccia, portando il confine al Weser o all'Elba, i Germani, stringendosi intorno al cherusco Arminio, avevano inflitto ai Romani la disfatta del Saltus Teutoburgensis (9 d. C.). Il confine era rimasto poco lontano dal medio Reno e sul Danubio; di là da esso i Germani parevano tranquilli. Ma il fermarsi in sedi fisse, la necessità di difesa contro oscure minacce dall'Oriente, lo stesso contatto con la civiltà romana li facevano passare dal primitivo frazionamento a più organica struttura di genti raccolte in una più salda compagine militare, in una, sia pur rudimentale, ma più durevole formazione di stato, mentre la naturale inclinazione alla guerra o alla rapina, il bisogno di cercare sempre nuove terre, l'attrattiva che esercitava lo splendore di Roma, li spingevano a un tentativo quasi metodico di espansione, o di trasmigrazione nelle terre dell'Impero.
Già al tempo di Tacito, si discorre di Marcomanni e di Quadi, minaccianti la linea del medio Danubio; dopo più che mezzo secolo, nell'età di Marco Aurelio, essi passano le Alpi, trascinando con sé altri popoli, Ermunduri e Vandali e Longobardi, e sono respinti da quell'imperatore e da Vero (167); ma la lotta prosegue fino alla morte di Marco Aurelio (180). Trent'anni dopo, una nuova gente, quella degli Alamanni, sorta dalla fusione di piccole genti suebe, appare sull'alto Danubio e verso il Reno (213) e continua tenace nello sforzo di passare il confine renano, di risalire oltre il Danubio le vallate alpine, di scendere nell'Italia. Gallieno li batte a Milano (261), Claudio sul Garda (269), Aureliano, dopo una loro corsa lungo la riva dell'Adriatico, a Fano e a Piacenza (270); ma la pressione non cessa: dal 275, sgombrati dai Romani gli Agri Decumates, gli Alamanni si stendono lungo l'alto e il medio Reno; sul basso già incalzano i Franchi, mentre i Sassoni dalle loro sedi del Holstein corrono pirateggiando il mare del Nord e la Manica. E a oriente i Goti, Germani del gruppo orientale, venuti nel sec. III dalle coste del Baltico nel mezzogiorno della pianura sarmatica, già dalla metà di quel secolo sono sulla foce del Danubio e saccheggiano per terra e per mare la penisola balcanica e le coste dell'Egeo: Decio li combatte in Dobrugia (251), Claudio "il Gotico" li sconfigge a Naisso (Niš, 269); Probo passa i sei anni del suo regno (276-82) a sforzarsi di arrestare la minaccia.
Le riforme politiche e militari di Diocleziano e di Costantino sembrano avere alquanto rinsaldato l'argine che trattiene l'ondata paurosa: il Cesare Giuliano con la battaglia di Argentorato (Strasburgo) libera la riva sinistra del Reno (357); gli Alamanni stringono il patto di foderati (374); i Goti conchiudono pace con l'imperatore Valente (369). Ma di là da quell'argine il flutto ribolle: sono ora presso il Reno Franchi, Burgundî, Alamanni; lungo l'alto e il medio Danubio Vandali; dal Tibisco alla foce del gran fiume e lungo il Mar Nero fino al Don è un grande impero dei Goti dell'ovest e di quelli dell'est, Visigoti e Ostrogoti. E, in mezzo a questi o dietro a loro, premono Frisî e Sassoni lungo il mare del Nord; Angli e Iuti fra questo mare e il Baltico; Turingi fra il Weser e l'Elba; Longobardi fra l'Elba e l'Oder; Rugi verso il Tibisco; Gepidi nei monti di Transilvania; Eruli presso il mare d'Azov. E di qua dall'argine sono, in terra romana, infiltrazioni sempre più larghe. L'esempio, dato già da Cesare, d'introdurre i barbari nell'esercito, l'uso, apparso nel primo secolo dell'età imperiale, di accoglierli ad abitare dentro i confini, si sono estesi sempre più largamente dall'età di Marco Aurelio; a ogni irruzione barbarica, a ogni vittoria romana, è seguito lo stabilirsi di prigionieri di guerra o di coloni (dediticii, laeti) nelle terre dell'Impero; anche più pericolosamente, si sono ricevuti gruppi intieri di barbari come foederati, con l'obbligo di servire in guerra, col diritto di ricevere dall'imperatore un tributum.
Così le forze della romanità sono indebolite e la compagine dell'esercito scossa, quando una nuova ondata dall'oriente fa che a un tratto l'argine crolli. Gli Unni, popolazione mongolica che dalla fine del sec. III aveva invaso la Cina, serrati fra gli Juan-Juan (o Iwen Iwen) che li stringono dalla Manciuria, e i Tibetani, che li incalzano dal mezzogiorno, traversano le steppe dell'Asia centrale, si aprono la via a occidente del Caspio fra gli Alani, ultimi avanzi della popolazione iranica degli Sciti, si rovesciano, intorno al 355, nella grande pianura dell'Europa orientale, vincono gli Ostrogoti, uccidono Ermanrico loro re (370 circa), sospingono le reliquie loro e i Visigoti verso il confine romano del Danubio (376). I Romani sono battuti a Marcianopoli (Pravadia), lo stesso imperatore Valente è ucciso presso Adrianopoli (378). Teodosio può arrestare ancora l'invasione; ma la Pannonia, la Dacia, la Mesia inferiore, restano ai Goti foederati, e il numero dei barbari accolti nell'esercito cresce così da andare trasformando le antiche legioni in una accozzaglia di barbari, i cui capi sono ormai barbari anch'essi in gran parte: E, morto Teodosio, diviso di fatto se non di diritto l'Impero, i Goti devastano la penisola balcanica e, già padroni dell'Illirico, dove il loro capo Alarico assume le funzioni di magister militum, cioè di rappresentante del potere militare romano, invadono l'Italia: Stilicone a Pollenzo (402) salva l'Italia da Alarico, a Fiesole (406) dalle orde raccogliticce di Radagaiso, ma, barbaro egli stesso, patteggia, forse per necessità, con i barbari.
Il formarsi dei regni romano-barbarici. - Intanto gli Alani, spinti dagli Unni verso il Danubio, cacciano (397 circa) i Vandali Asdingi dalla valle del Tibisco nelle provincie romane del Norico e della Rezia; poco appresso, continuando la spinta verso occidente, gli Asdingi stessi e altri Vandali, i Silingi, arrivati già sulle rive del Meno, e gruppi di Alani e di Suebi, passano il Reno (31 dicembre 406) e, attraversando la Gallia, entrano (409) nella Spagna e vi rimangono, nella Lusitania gli Alani, nella Galizia i Suebi, nella Betica i Vandali, federati di Roma (411). La grande migrazione trascina nel vortice altri barbari; i Burgundî risalgono il Reno fino a Magonza e a Worms, minacciano la Lorena e la Sciampagna, più tardi (443) avranno dal patrizio Ezio stanza nella Savoia; i Franchi, già stabiliti come federati sulla Schelda (metà del sec. IV), iniziano la loro lenta avanzata verso la Somme. Nella Britannia, che le milizie romane, ritirandosi, hanno lasciata indifesa, si moltiplicano dal mare le scorrerie di Sassoni, di Angli, di Iuti, dai monti del nord quelle dei Pitti, mentre gli Scoti dall'Irlanda passano nella terra che n'ebbe il nome. I Visigoti, ritornati con Alarico all'assalto, dopo il sacco di Roma e la morte del re (412) invadono la Gallia, vi occupano l'Aquitania marittima e Tolosa (412-18) e, come federati di Roma, combattono i Vandali della Spagna. Incalzati da Visigoti e da Suebi, i Vandali con re Genserico si trasportano nell'Africa (429) e, ora federati, ora nemici di Roma, creano un forte regno lungo il Mediterraneo fino alla Gran Sirte.
Alla metà del sec. V, si scatena terribile, per l'Impero insieme e per i regni barbarici, il "flagello di Dio": gli Unni, raccoltisi in forte impero, invadono con Attila la Penisola Balcanica (447), poi si precipitano sull'occidente. Sono respinti dai Romani di Ezio e dai Visigoti di re Teodorico a Mauriaco nella Gallia (451), sono arrestati dall'ambasceria di papa Leone nell'Italia settentrionale (452); Attila muore e l'impero degli Unni si sfascia; gli Ostrogoti e i Gepidi ne respingono gli avanzi verso le steppe del mar Nero e creano, quelli nella Pannonia, questi nella Dacia, i nuovi loro regni. Ma le forze politiche e militari di Roma sono esauste: invano qua e là generali romani combattono ancora, invano le popolazioni tentano in qualche luogo una resistenza estrema sotto l'impulso dei vescovi. I Visigoti occupano presso che tutta la Spagna, rinserrando i Suebi nelle montagne della Galizia e tra la meseta spagnuola, il Tago e il mare, nella Gallia fiaccano l'estrema resistenza dei Romani di Alvernia, giungono alla Loira, al basso Rodano, alle Alpi (468-76). Gli Alamanni avanzano oltre il Reno nell'Alsazia, i Burgundî scendono (461) nella valle del Rodano e della Saona, i Vandali saccheggiano Roma (455), corrono con le loro piccole navi nel Mediterraneo da padroni, occupano le isole, affamano l'Italia.
E, quando il mondo romano è già avvezzo a vedere un patricius barbaro o alleato di barbari disporre da padrone dell'Impero, Odoacre (v.), capo delle milizie ribelli d'Italia, fa dichiarare dal senato che a reggere l'Impero può bastare l'unico imperatore dell'Oriente, e che la diocesi d'Italia è conveniente sia data a governare al patrizio Odoacre (476). Ma in verità Odoacre non è, neppure nel nome, il patricius dell'imperatore, è il rex delle gentes barbariche, Eruli e Rugi, Sciri e Turcilingi, che sono padrone d'Italia. E Teodorico re degli Ostrogoti viene bensì in Italia come il patricius inviato dall'imperatore a liberarla, ma vi conduce con sé dalla Mesia, dove i suoi avevano trovato nuove sedi, l'intiero suo popolo: l'Italia è un regno dei Goti. Nella Gallia i Franchi Salî, organizzati in uno stato sotto re Clodoveo (481-511), riprendono, dopo mezzo secolo d'arresto, la marcia, conquistano il bacino di Parigi e la pianura fino alla Loira; poi, quasi iniziando una riscossa dell'Occidente, si rivolgono contro gli Alamanni, li vincono a Tolbiacum (496), li respingono oltre il Reno; dopo la vittoria sui Visigoti (Vouillé, 507), è dei Franchi, ormai convertiti al cattolicesimo, tutta la Gallia, eccetto la riviera mediterranea, ch'è occupata, anzi "liberata", dagli Ostrogoti e il bacino del Rodano, dove rimangono, alleati dei Franchi, i Burgundî.
Sull'inizio del sec. VI, se le migrazioni dei barbari non sono terminate, il mondo romano d'occidente ha tuttavia raggiunto un nuovo assetto bene definito: le quattro diocesi antiche, di Gallia, di Spagna, d'Italia, di Africa, sono divenute quattro grandi regni barbarici. Intorno a loro, altre genti, quali ordinate a regno, quali non uscite ancora dal particolarismo della sippe e del gau, Burgundî e Alamanni, Frisî e Sassoni: nella Britannia, Angli, Sassoni e Iuti, nel cuore della Germania Turingi e Bavari, più a oriente, nella regione del Danubio e dei Carpazî, in fiera lotta tra loro, Longobardi, Eruli e Gepidi. Dalla grande pianura dell'Europa orientale, gli Slavi vanno lentamente progredendo nelle sedi, che i Germani hanno lasciate, verso il Danubio, la Selva Boema, l'Elba, la Saale. E quelle genti barbariche certamente distrussero infinite ricchezze del patrimonio culturale della romanità e, anche quando tentarono di ordinare romanamente lo stato, riuscirono a costruzioni che di romano avevano piuttosto l'apparenza che la realtà; ma tuttavia, entrate nell'orbita della civiltà romana, furono illuminate e trasmutate, pure lasciando nella società nuova l'impronta della loro forma spirituale; e, mentre nei primi tempi dell'invasione contribuirono come pagane o ariane, a rendere così saldi i vincoli tra le forze a loro opposte della romanità e del cattolicesimo da fare apparire questi una cosa sola, accolsero poi anch'esse la religione dei vinti.
La riscossa di Giustiniano. L'invasione longobarda, avara e slava, e la conquista araba. - Giustiniano (527-65) tentò una riscossa della romanità, giovandosi delle dissensioni religiose, che laceravano í regni romano-germanici, e dell'infiacchirsi dei rudi uomini del settentrione in mezzo alla civiltà e al lusso romano. Abbatté il regno dei Vandali in Africa (533-34) e degli Ostrogoti in Italia (535-53) tolse ai Visigoti di Spagna la costa sud-orientale, ricinse l'Impero con un limes di potenti fortezze. Ma nella Gallia i Franchi, pure atteggiandosi ad amici di Roma, compivano con la occupazione della Provenza e la sottomissione dei Burgundî la loro conquista, estendevano il regno sopra gli Alamanni, i Turingi e i Bavari, davano al loro stato una forte impronta nazionale; nella Britannia gli Iuti, gli Angli, i Sassoni, ricacciando i Bretoni nel Galles e nella Cornovaglia o di là dal mare, nell'Armorica, accolto lentamente, ma progressivamente, il cattolicesimo, costituivano loro piccoli regni. E quella stessa rivincita romana aveva suo centro la nuova Roma dell'Oriente e suoi caratteri nettamente orientali e perciò estranei alla nuova vita dell'Occidente europeo.
Così la riscossa fu breve: i Longobardi, invasa l'Italia (568), la divisero in una Romania e in una Longobardia, divise alla loro volta in minori unità, che tendevano, e nell'una parte e nell'altra ad autonomia; le conquiste bizantine di Spagna andarono gradualmente perdute. Sullo stesso Oriente, infiacchito dalle lotte religiose, dalle rivolte militari, dalle congiure di palazzo, si rovesciarono nuove invasioni. Gli Slavi erano, ancora vivente Giustiniano, scesi a mezzogiorno, avevano devastato la Balcania settentrionale, mentre i Bulgari, assai probabilmente una parte dell'antico popolo unno rimasta sulle rive del mar Nero, avevano minacciato la stessa Costantinopoli (558-59). Negli ultimi anni poi di quell'impero, gli Unguri o Avari, una feroce popolazione mongolica sfuggita alla stretta dei Turchi, che andavano costituendo un grande impero nel settentrione e nel centro dell'Asia, si diffondono sulla pianura sarmatica, raggiungendo altri uomini della loro gente, ch'erano già da un secolo sul Don e intorno al mare di Azov, si sostituiscono ai Gepidi e ai Longobardi nella Dacia e nella Pannonia (567-68), trascinano gli Slavi, diventano il terrore d'Europa.
Nel sec. VII, la violenza loro appare scemata; ma gli Slavi, che hanno dilagato in tutta la Penisola Balcanica, sono presso che indipendenti, anche se ancora disorganizzati, nella Croazia, nella Serbia, nell'interno della Macedonia, nella Dalmazia continentale, dalla quale ultima le popolazioni si sono dovute rifugiare nelle città della costa e nelle isole, conservandovi caratteri indelebilmente romani. Più a oriente i Bulgari, sospinti da una nuova orda, asiatica, dei Cazari, sono penetrati oltre il Danubio (660 circa) stendendosi presto fino ai Balcani e iniziando la fusione con gli Slavi soggetti. Lungo tutte le coste del Mediterraneo, dalla Siria, dalla Palestina (634-40) dall'Egitto (639-42), all'Africa settentrionale (642-709) e alla Spagna (711), si stende fulminea la potenza degli Arabi (v. arabi: Storia) e già minaccia di stringere dall'oriente e dall'occidente il mondo bizantino, romano e germanico, e imporgli una nuova fede e una nuova, anche se non originale, civiltà.
L'impero di Carlomagno. I Normanni nell'occidente. - Leone l'Isaurico (717-40) fermò per allora ai limiti del Tauro e dell'alto Eufrate l'avanzata dell'Islam; Carlo Martello a Poitiers (732) salvò gli Europenses dalla dominazione dell'oriente. E, mentre l'Impero arabo, distesosi nell'Asia centrale e nella valle dell'Indo, tentava di trasformarsi con gli ‛Abbāsīdi in un impero musulmano, ma si andava smembrando in singoli stati, fra i quali era solo vincolo la comunanza della fede, della lingua, del commercio, della civiltà, mentre l'Impero bizantino con l'iconoclastia era nuovamente trascinato nel vortice delle lotte religiose e delle crisi politiche, un discendente degli antichi invasori, Carlomagno, abbattuto il regno dei Longobardi nell'Italia (774), sottomessi e convertiti i Sassoni fra il Mare del Nord e l'Elba (772-804), si studiò con gigantesco sforzo di organizzare saldamente nel suo impero cattolico le genti romane e gemaniche dell'Occidente. Occupato il paese dai Pirenei fin presso all'Ebro, schiacciati e convertiti gli Avari, sottomessi gli Slavi dell'Istria, della Croazia, della Dalmazia settentrionale, dei paesi fra la bassa Elba e il Baltico, ricinto l'impero con salde marche militari di confine, fattisi alleati o amici i nuovi stati cristiani di Spagna e i regni anglosassoni, parve ch'egli avesse arrestato per sempre le invasioni nel centro e nell'occidente dell'Europa.
Ma il particolarismo germanico prevalse presto sulla romana e cristiana unità dell'Impero. E, come nell'età della decadenza romana, si rinnovarono le invasioni. Forse la debolezza dei nuovi regni, che si andavano faticosamente costituendo sulle rovine dell'Impero, ancor più che il desiderio di avventure, o la scarsezza dei mezzi per la popolazione crescente, o l'insofferenza delle incipienti organizzazioni statali, trasse gli uomini del Nord, che già esercitavano attivo commercio per gli stretti e nei mari del settentrione, a diventare i paurosi rapinatori delle cittâ costiere o fluviali dell'Occidente. Gl'innumerevoli piccoli popoli germanici, che si erano stabiliti nella penisola-scandinava, Norvegesi, Svedesi e Danesi, o, come furono detti genericamente, Normanni, spintisi, dopo l'esodo delle altre genti germaniche, nelle isole e nella penisola danese e, più tardi, nelle isole settentrionali dell'Atlantico, già dalla fine del sec. VIII erano apparsi con le affilate navi velocissime a devastare le coste della Scozia e dell'Irlanda; nel IX si stabiliscono in quest'isola (830-835), strappano all'imperatore l'investitura di un ducato sulla Lek nei Paesi Bassi (840-41), mentre gli stessi gruppi o altri gruppi di Normanni saccheggiano le città della Francia settentrionale e occidentale, penetrano fin nel cuore del paese, entrano nel Mediterraneo (859-861). Poi, pure non cessando dalle incursioni devastatrici, si dànno a organizzare nuovi stati: occupano parte dell'Inghilterra, dove a fatica Alfredo il Grande riesce a salvare il Wessex e parte della Mercia (878); e, se per gli sforzi di Eudes di Francia e di Arnolfo di Germania non si possono stabilire sulle coste del mare del Nord, riescono a fissarsi alla foce della Senna (896), dove al loro capo Rollone è riconosciuto dal re il titolo di duca di Normandia (911); i Normanni accolgono qui la religione cattolica, la lingua e il costume francese. Nel settentrione i Normanni organizzano regni nella Norvegia e nella Danimarca, compiono la conquista dell'Irlanda, occupano l'Islanda (874), stabiliscono colonie nella Groenlandia, toccano intorno al 1000 le coste d'America. E, se i Normanni dell'Inghilterra sono assoggettati o massacrati dai re anglosassoni, Svenone (1013) e Canuto re (1017-35) di Danimarca, fanno riconoscere la sovranità loro sull'Inghilterra; a una passeggiera riscossa degli Anglosassoni segue per opera di Guglielmo duca di Normandia la definitiva conquista (1066); i Normanni, unendosi con gli Anglosassoni vinti, formano la nuova nazione inglese. E dalla Normandia partono in cerca di fortuna quegli avventurieri, che creeranno un regno nel quale il mezzogiorno d'Italia troverà unificazione, vita propria, forza espansiva, alto sviluppo di civiltà.
Normanni, Bulgari, Slavi e Ungari. - Sono anche Normanni quei Vareghi, che stabiliscono nella pianura orientale fattorie di mercanti e le trasformano poi in principati: uno di loro, il principe dei "Russi" di Kiew, dopo aver minacciato la stessa Costantinopoli, entra in relazioni di commercio con questa, accetta fede e riti dalla chiesa greca (989-90), crea un grande stato, che ha l'impronta etnica degli Slavi assoggettati, la civiltà bizantina.
Intanto i Bulgari, profittando della decadenza dell'Impero, sottomettono con Krum (803-14) gli Slavi della Valacchia, della Transilvania, della Serbia, scendono nella Tracia, minacciano Costantinopoli; con Boris (853-89) si convertono al cristianesimo, compiendo la fusione con gli Slavi cristiani, e, dopo avere oscillato fra l'obbedienza romana e la bizantina, creano una propria chiesa slavo-bulgara; Simeone (893-927), "zar dei Bulgari e dei Greci", assoggettata tutta la Penisola Balcanica settentrionale, per poco non strappò il desiderato diadema imperiale. Il sogno ambizioso s'infranse, la stanchezza per il grande sforzo compiuto, le divisioni interne, la ribellione degli Slavi, la inimicizia dei Bizantini e dei Russi, condussero, dopo il tentativo di riscossa di re Samuele (976-1014), alla sottomissione dei Bulgari all'Impero bizantino (1019), ma la nazione bulgara rimase fattore importantissimo della storia balcanica ed europea.
Gli Slavi del centro d'Europa, che avevano costituito, già dal sec. VII, un primo loro regno intorno alla Boemia, s'erano, dopo la caduta della potenza degli Avari, allargati nella pianura del Danubio e del Tibisco, ricollegandosi agli Slavi del sud e formando una grande massa, che dalla foce dell'Elba raggiungeva l'Adriatico: massa omogenea, ma non compatta, poiché le mancò sempre una salda organizzazione politica. Si formò bensì, nella seconda metà del sec. IX, dai monti della Boemia alla Drava, un grande regno moravo, fieramente opposto ai Germani e aperto al cristianesimo e alla civiltà, ma, già decadente dopo la morte di Svatopluk (894), crollò sotto un nuovo urto poderoso.
Forse lo sconvolgimento prodotto nel sec. VIII dalle conquiste arabe nell'Asia centrale gettò, al principio del sec. IX, sulle terre a ovest del mare di Azov, un'orda di pastori e predoni, parenti probabilmente degli Unni, che si dicevano Magiari e dagli abitatori dell'Europa furono detti Ungari. Nuove genti, che premevano dall'oriente, li sospinsero a passare il Dnepr, il Dnestr, i Carpazî. Precipitatisi allora, sulla fine del secolo, nella pianura danubiana, assoggettati gli Slovacchi, i Moravi, gli Sloveni, divisero per sempre gli Slavi del nord da quelli del mezzogiorno.
Nel nord gli Slavi crearono stati nella Boemia, nella Polonia, nel Meclemburgo, nel Brandeburgo, nella Pomerania, faticosamente lottando, nel campo politico e nel religioso, contro l'egemonia tedesca, senza riuscire durevolmente a sottrarsene: solo più tardi la Polonia potrà costituirsi in modo stabile a regno indipendente. Nel mezzogiorno i Serbi furono soggetti ora ai Bulgari, ora ai Bizantini; i Croati, dopo avere pencolato lungamente fra il dominio franco e il bizantino, costituirono nel sec. X un loro stato nazionale, nominalmente soggetto ai Bizantini e dal 1076 indipendente sotto la protezione del pontefice romano; la conquista ungherese (1102) non riuscì a togliere ai Croati il loro carattere nazionale.
Alla lor volta, gli Ungari, dopo essere stati per oltre mezzo secolo il terrore della Germania, della Francia orientale, dell'Italia, battuti da Ottone ad Augusta (955), serrati fra il regno di Germania e d'Italia, l'Impero bizantino, il principato russo di Kiew, gli stati polacchi, posarono stabilmente nel paese ch'ebbe il loro nome, e, divenuti da predoni agricoltori e fatti cristiani, crearono uno stato chiuso a infiltrazioni tedesche, slave o greche: Vaik, santo Stefano (997-1038), ebbe da Silvestro II la corona regale (1001).
All'inizio del sec. XI, Tedeschi e Normanni, Slavi, Bulgari e Ungheresi, hanno raggiunto le sedi, da cui non si muoveranno più, hanno risentito, pure in diversa misura, l'efficacia della civiltà romana e cristiana, hanno stampato nei paesi conquistati l'impronta propria più o meno profonda, hanno creato nuovi stati nazionali.
Altre ondate di musulmani si abbatteranno ancora sulla penisola iberica, ma non potranno arrestare che per poco il progresso dei cristiani di Spagna, che, dopo quasi otto secoli di lotta, sottrarranno interamente la loro terra agli antichi invasori. Le popolazioni turche dell'Asia centrale, trovando chiusa la via della Cina, ricostituitasi a forte impero unitario, si rivolgeranno ancora all'occidente, e la grande ondata dell'invasione dei Selgiuchidi sommergerà il crollante califfato di Baghdād (1055); il nuovo sultano "re dell'Oriente e dell'Occidente", conquisterà l'Asia minore, la Siria e la Palestina, si affaccerà all'Egeo, al Bosforo, al Mar Nero; ma l'Europa rimarrà quasi immune dall'invasione, anzi tenterà di ribatterla nell'Asia stessa con le crociate. Più tardi, nel sec. XIII, i Tatari, traversando la grande pianura sarmatica, giungeranno fino alle rive dell'Adriatico e presso ai confini della Germania, ma si ritrarranno poi sul Volga, nella Russia meridionale, quasi in tutto separata dalla vita europea. E l'avanzata minacciosa dei Turchi Osmanli, iniziatasi con i caratteri d'una vera invasione, si muterà presto in guerra di conquista da parte del nuovo impero musulmano, sostituitosi al greco. Ma il periodo delle invasioni, in quanto conducessero a trasmigrazioni e a stanziamenti nuovi di popoli, si può, con l'invasione degli Ungari, considerare finito.
Bibl.: F. Dahn, Die Könige der Germanen, Monaco, Würzburg e Lipsia 1861-1909; Th. Hodgkin, Italy and her invaders, Oxford 1879-99; O. Bremer, Ethnographie der germanischen Stämme, in H. Paul, Grundriss der germanischen Philologie, 2ª ed., Strasburgo 1900, III, pp. 735-950; G. Romano, Le dominazioni barbariche in Italia, Milano 1909; L. Schmidt, Geschichte der deutschen Stämme bis zum Ausgange der Völkerwanderung, Berlino 1910-18; P. Villari, Le invasioni barbariche in Italia, 3ª ed., Milano 1920; L. Niederle, Manuel de l'antiquité slave, Parigi 1923-26; L. Schmidt, Geschichte der germanischen Frühzeit, Bonn 1925; J. B. Bury, The invasion of Europe by the Barbarians, Londra 1928; L. Halphen, L'importance historique des grandes invasions, in Bulletin of the international Committee of historical sciences, I (1928), pp. 575-83; L. Halphen, Les barbares des grandes invasions aux conquêtes turques du XIe siècle, 2ª ed., Parigi 1930 (con larga bibliografia).