investimento diretto estero
Flusso di investimenti effettuati dagli operatori in Paesi diversi da quello dove è insediato il centro della loro attività. In particolare, sono definiti i. d. e., anche noti con la sigla IDE, gli investimenti internazionali volti all’acquisizione di partecipazioni ‘durevoli’ (di controllo, paritarie o minoritarie) in un’impresa estera (mergers and aquisitions) o alla costituzione di una filiale all’estero (investimenti greenfield), che comporti un certo grado di coinvolgimento dell’investitore nella direzione e nella gestione dell’impresa partecipata o costituita. È uno degli aspetti centrali del fenomeno di globalizzazione dell’economia mondiale.
Le imprese multinazionali effettuano un investimento diretto quando 3 ordini di vantaggi si realizzano in genere simultaneamente: vantaggi legati al diritto di proprietà (ownership-specific competitive advantages); vantaggi dipendenti dalle caratteristiche del Paese scelto per la localizzazione (location advantages); vantaggi di internalizzazione, cioè più ampi benefici derivanti dal rendere interne all’impresa (tramite l’acquisizione dell’impresa fornitrice) fasi produttive a monte e a valle, che precedentemente erano svolte da imprese estere (internalisation advantage). Questo approccio teorico, alla base delle scelte per decidere di effettuare gli IDE, introdotto da J.H. Dunning (1977), è noto come approccio OLI (Ownership, Location, Internalisation).
I vantaggi legati al diritto di proprietà (O) riguardano prodotti o processi produttivi per i quali è precluso l’accesso alle altre imprese (brevetti e beni immateriali, quali il marchio o l’avviamento). I benefici dipendenti dalla localizzazione (L) riguardano la qualità delle condizioni di ambiente del Paese-mercato (il basso costo dei fattori o la possibilità di accedere a nuovi sbocchi). Infine, il vantaggio di internalizzazione (I) deriva dall’interesse dell’impresa nel mantenere un asset interno al processo produttivo.
Tale approccio prende le mosse dalla teoria OLI, facendo riferimento principalmente ai vantaggi di proprietà e di localizzazione e includendo il processo decisionale delle imprese multinazionali in un quadro di equilibrio economico generale. Nella prima fase di tale filone di letteratura (E. Helpman, A simple theory of international trade with multinational corporations, «Journal of Political Economy»,1984, 92, 31; E. Helpman, P. Krugman, Market structure and foreign trade, 1985), la presenza di imprese multinazionali in un Paese veniva spiegata in termini di differenze nella dotazione relativa di fattori, sotto l’assunzione che i costi di trasporto fossero nulli. Il principale limite di questa teoria era rappresentato dal fatto che, sebbene una simile interpretazione fosse in grado di spiegare gli IDE di tipo ‘verticale’(delocalizzazione di stadi della produzione a monte e a valle della propria fase produttiva), essa non forniva un’adeguata motivazione per gli IDE di tipo ‘orizzontale’ (delocalizzazione di una stessa fase dell’attività produttiva). La letteratura più recente (S.L. Brainard, A simple theory of multinational corporation and trade with a trade-off between proximity and concentration, 1993), afferma, invece, che le attività delle multinazionali sono guidate da un trade-off tra i vantaggi legati alla ‘prossimità’ e quelli derivanti dalla ‘concentrazione’, piuttosto che dalle differenze nella dotazione dei fattori.Il vantaggio di prossimità deriva dalle economie di scala a livello di azienda, per cui qualsiasi tipo di capitale di conoscenza (knowledge capital) è trasferibile alle affiliate estere, consentendo alle imprese multinazionali di essere più vicine al mercato estero. Il vantaggio di concentrazione deriva, invece, dalle tradizionali economie di scala a livello di impianto, che rendono più vantaggioso concentrare la produzione in una unica località e servire il mercato estero attraverso le esportazioni. Qualora i vantaggi di prossimità siano maggiori di quelli di concentrazione, viene effettuato l’investimento diretto estero.