Io mi credea del tutto esser partito
. Questo sonetto (Rime CXIV) fu inviato da D. a Cino da Pistoia, nominato al v. 2, che rispose per le rime col sonetto Poi ch'i' fu', Dante, dal mio natal sito (v.).
Si trova in manoscritti come il 445 della biblioteca Capitolare di Verona, il Laurenziano XL 44, il Trivulziano 1058 e altri, e fu stampato, insieme con la risposta di Cino, nella Giuntina del 1527 (Libro XI), fonte di edizioni successive. Nell'edizione del '21 il Barbi lo collocò nel Libro VII, che accoglie le rime del tempo dell'esilio, subito dopo il sonetto Degno fa voi trovare ogni tesoro, inviato a Cino, in risposta, in nome del marchese Moroello.
Il riferimento al greve essilio di Cino nel sonetto di risposta (v. 2) ci assicura che la corrispondenza non poté avvenire prima del 1304-05 (Cino poté ritornare in patria nel 1306), ma non esclude del tutto la possibilità di un tempo posteriore alla fine dell'esilio di Cino. Non fino al punto, tuttavia, da rendere accettabile la proposta dell'Antognoni che, traendo spunto dai vv. 3-4 (ché si conviene ormai altro cammino / a la mia nave più lungi dal lito), li metteva in relazione con le prime terzine del canto II del Paradiso, e ne deduceva che D., quando componeva il sonetto da inviare a Cino, era intento alla composizione del Paradiso. Accettando la collocazione cronologica proposta dal Barbi, il sonetto appare come una ripresa più meditata e più affettuosamente amichevole del tema della volubilità del cuore di Cino accennata nel sonetto Degno fa voi. D. dice che alla sua nave conviene un cammino più lungi dal lito rispetto a quello delle rime d'amore che aveva percorso in compagnia di Cino (il nuovo cammino può ben essere quello del tempo della composizione del Convivio e del De vulgari Eloquentia), ma gli è caro ritornarvi per un momento, spinto dal desiderio di rendersi utile all'amico con l'esortazione a una maggiore costanza e fedeltà nel suo sentimento amoroso, perché il frequente trascorrere da uno ad altro amore è prova di leggerezza d'animo, e perciò sarebbe bene che Cino correggesse con la virtù la sua facile disposizione a diversi amori. L'ultimo verso (sì che s'accordi i fatti a' dolci detti) attenua il rimprovero col riconoscimento, sul piano dell'arte, dell'eccellenza dei dolci detti di Cino, preludio o conferma a quanto si legge nel De vulg. Eloq. (II II 9), dove Cino è ricordato come il rappresentante più cospicuo dei poeti d'amore in Italia, e D. preferisce definirsi poeta della rettitudine.
Bibl. - O. Antognoni, L'epigrafe sul sepolcro di D., in Scritti vari di filologia in onore di E. Monaci, Roma 1911; Contini, Rime 202; D.A., Le Rime, a c. di D. Mattalia, Torino 1943, 213; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, Oxford 1967, II 311, 328; Barbi-Pernicone, Rime 638.