Io non domando, Amore
. Ballata (Rime dubbie XVI) di cui non restano testimoni manoscritti (era probabilmente compresa in una parte smarrita del codice E III 23 della biblioteca dell'Escoriale) e che appare, attribuita a D., nella cosiddetta " Giuntina di rime antiche " (Sonetti e Canzoni di diversi antichi autori toscani in dieci libri raccolte, Firenze 1527, II c. 17 V). Attribuita a Cino da Pistoia, fu pubblicata dal Trissino (La Poetica, Vicenza 1529, c. 48 r) e dal Pilli (Rime di M. Cino da Pistoia, Roma 1559); e a Cino preferiscono assegnarla sia il Barbi (edizione del '21, p. 140) sia il Contini (Rime 255).
Particolarità metrica di questa ballata è la presenza di una replicatio, cioè di una stanza tetrastica finale che riprende metro e rime della ripresa (schema xYyX; AbC CbA xDdx); inoltre, come nota il Contini, nel settimo verso di ognuna delle due stanze (il primo della volta) è presente una rima-chiave interna. La replicazione e la rima-chiave sono artifici che non hanno altro esempio nella produzione dantesca (la ripresa ha un esempio in Si m'ha conquiso di Cino e in Li più belli occhi, forse del pistoiese ma attribuita a D. nel Marciano it. IX 191).
L'autore ringrazia Amore di averlo fatto innamorare di una donna gentile, la cui immagine gli è sempre nella memoria come il primo istante che gli fu dato vederla. Poiché gli è impossibile esprimere pienamente la gioia che prova nel ricordo, prega Amore di essere suo interprete presso la donna.
Oltre gl'inconsueti elementi metrici, ai fini dell'assegnazione a D. " persuade poco fino l'enjambement dei vv. 13-14, amorosa / vista, e in genere l'articolazione sintattica troppo fitta di subordinate " (Contini). Qualche analogia può riscontrarsi però anche con versi danteschi: i vv. 8-9 e 15-17 richiamano i vv. 24-25 e 31-34 di Amor che movi; il v. 10 riecheggia l'incipit Ne li occhi porta la mia donna Amore.
Bibl.- Barbi, Studi 86-94, 522-525; Barbi-Pernicone, Rime 687-688; Poeti del Dolce stil novo, a c. di M. Marti, Firenze 1969, 917-919.