Io son venuto al punto de la rota
. Questa canzone (Rime C) è costituita di cinque stanze e di un congedo regolare che riprende lo schema della sirima. La struttura metrica della stanza, di 13 versi endecasillabi tranne un settenario in decima sede, segue lo schema abc abc; CDEeDFF, identico a quello della canzone La dispietata mente, ma con la particolarità che gli ultimi due versi della stanza finiscono con la medesima parola-rima che nella prima è petra, e nelle seguenti, in ordine: donna, tempo, sempre, dolce. Se, com'è probabile, Io son venuto è la prima, cronologicamente, delle canzoni ‛ petrose ', tre delle sue parole-rima (petra, donna, tempo) saranno riprese poi nelle altre.
Fra i manoscritti di più antica tradizione che la contengono, citiamo il codice Martelli dove si trova trascritta fra Così nel mio parlar e Al poco giorno, il Chigiano L VIII 305 dove è preceduta da I' mi son pargoletta e seguita da Amor tu vedi ben, il Magliabechiano VI 143 dove si trova tra Io sento sì d'Amor ed E' m'incresce, il 445 della biblioteca Capitolare di Verona, dove si trova fra Così nel mio parlar e Al poco giorno. Nella serie delle 15 canzoni della tradizione Boccaccio, che comincia con Così nel mio parlar, è al nono, preceduta da Al poco giorno e da Amor tu vedi ben. Nel medesimo ordine si trova nell'edizione del Canzoniere pubblicata da Pietro Cremonese in appendice all'edizione veneziana della Commedia. Nella Giuntina del 1527 Io son venuto è nel Libro III della sezione dantesca, all'ottavo posto fra Al poco giorno e Amor tu vedi ben nella serie di nove " canzoni amorose e morali ", che comincia con Così nel mio parlar. La cronologia del gruppo delle rime petrose è connessa appunto all'interpretazione della perifrasi astronomica con cui si apre Io son venuto (vv. 1-9). Secondo i risultati di uno studio dell'astronomo Filippo Angelitti, la configurazione astronomica descritta da D. ebbe una sua realtà storica intorno al Natale del 1296, se per il pianeta che conforta il gelo (v. 7) s'intende Saturno, com'è più probabile; se, invece, s'intende la Luna, rimane confermato il mese di dicembre del 1296, ma un'analoga combinazione si configurò nel dicembre 1304. Rimane incerto, inoltre, quel che D. abbia voluto dire a proposito di Venere che ci sta remota / per lo raggio lucente che la 'nforca (vv. 4-5). La cronologia proposta dal Barbi (prima dell'esilio, intorno al 1296-98) è comunemente accettata, ma non sono mancati, prima e dopo il 1921, i sostenitori della collocazione nel tempo dell'esilio, fra i quali il Serafini, il Santi, il Torraca, il Ciafardini, lo Zonta, il Santangelo, il Misciatelli. Anche per la consistenza numerica del gruppo (di secondaria importanza l'ordine; recentemente il Pézard ha preferito ritornare a un'antica sistemazione con Così nel mio parlar al primo posto) e per l'esclusione dell'interpretazione allegorica c'è una notevole concordia, ma è difficile che siano considerati problemi risolti definitivamente quelli che riguardano l'identificazione o meno della donna pietra con la Donna gentile in senso allegorico o no, o con la pargoletta, o con la donna del Casentino della canzone Amor da che convien, che è sicuramente del tempo dell'esilio. È molto importante, tuttavia, che la critica moderna sia concorde nel riconoscere che l'esperienza delle rime petrose, derivata da un approfondimento da parte di D. della conoscenza della poesia provenzale, specialmente di quella di Arnaldo Daniello; ha arricchito con nuove scoperte la sua tecnica che avrà i suoi benefici effetti su certi particolari aspetti dello stile della Commedia.
Tutte le cinque stanze della canzone sono costruite con una prima parte che comprende i primi nove versi di ogni stanza dedicati alla descrizione di una situazione, di una scena, di un paesaggio caratteristici della stagione invernale, e con una seconda, comprendente gli ultimi quattro versi, che mette in evidenza il contrasto con lo stato d'animo del poeta perdutamente innamorato di una donna più dura di una pietra.
Nella prima stanza la determinazione della condizione invernale muove da una visione della volta celeste in un determinato momento di rapporti di posizione degli astri, che indicano che siamo al principio dell'inverno, quando si è già operato un cambiamento di stagione; ma niente cambia nella vita del poeta, neppure di un solo pensiero d'amore si alleggerisce la sua mente, tenacemente presa da un'immagine di donna più dura che petra (v. 12). Nella seconda stanza si discende sulla terra in una condizione invernale che interessa tutto il nostro emisfero boreale, dove affluiscono i venti caldi provenienti dall'Etiopia, carichi di vapore acqueo attinto dal mare, che provocano, in seguito al raffreddamento, la caduta della pioggia e della neve, onde l'aere s'attrista tutto e piagne (v. 22); e tuttavia, Amore, che in questa stagione dovrebb'essere inoperante, non abbandona il poeta, tanto è bella la crudele donna di cui egli si è innamorato. Nella terza stanza il paesaggio invernale è quello di cui fa mostra tutta l'Europa, dalla quale fuggono gli uccelli che hanno bisogno di caldo, e gli altri che vi rimangono hanno posto tregua ai loro canti fino al ritorno della primavera, e tutti gli animali che son gai / di lor natura (vv. 33-34) non sentono più lo stimolo amoroso a causa del freddo; ma l'amore del poeta non solo non diminuisce, ma si fa più intenso perché i dolci pensieri che coltivano l'amore non dipendono dal mutare di stagioni, ma da una donna c'ha picciol tempo (v. 39). Dal paesaggio invernale in rapporto con la vita degli animali della terza stanza, a quello della vita vegetale della quarta: le verdi fronde degli alberi che in primavera adornano il mondo, non ci son più, e morta è l'erba; non sono rimaste che le foglie verdi di alberi come il lauro, il pino e l'abete che le conservano in ogni tempo, e i fioretti delle piagge son tutti morti perché non hanno potuto resistere agli effetti della brina; ma non perciò Amore gli ha tratto dal cuore la crudele spina (v. 49), e perciò il poeta è ben fermo di portarla sempre, finché sarà in vita, anche se dovesse vivere eternamente. La quinta e ultima stanza presenta lo squallore delle acque che provengono dalle viscere della terra e che si riversano per le campagne formando acquitrini e stagni che il rigore invernale tramuta in zone ghiacciate; ma con tutto ciò il poeta non ha fatto neppure un passo indietro dal suo travagliato amore, e non vuole farlo perché se questo suo martiro è dolce, / la morte de' passare ogni altro dolce (vv. 64-65). Nel congedo il poeta si rivolge alla canzone come a una confidente amica, per manifestare il suo stupore pensando a quello che avverrà di lui al ritorno della primavera, quando piove / amore in terra da tutti li cieli (vv. 67-68), se ora, nella stagione invernale, solo lui fra gli esseri viventi arde d'amore! Se il cuore della giovane donna (pargoletta) continuerà a essere insensibile come marmo, avverrà di lui quello che si può dire di un uomo di marmo, cioè senza vita.
Il tema del contrasto fra stagione invernale e condizione amorosa del poeta, D. l'aveva appreso dalla poesia di Arnaldo Daniello, che però lo inserisce in varie sue canzoni fra altri motivi che hanno maggiore sviluppo. D. lo fissa con variazioni nell'interno per tutta la canzone con una visione cosmica della natura che discende, come ha rilevato il Renucci, dagli astri al mondo animale, al vegetale, al minerale, al cuore di pietra della donna.
Bibl. - F. Angelitti, Sulle principali opposizioni del pianeta Vevere, in " Atti R. Accademia di Palermo " s. 3, VI (1904); F. Neri, ‛ Io son venuto al punto della rota ', in " Bull. Italien " XIV (1914) 389-404; I. Baldelli, Ritmo e lingua di ‛ Io son venuto al punto de la rota ', in Critica e storia letteraria. Studi offerti a Mario Fubini, Padova 1970, 342-351. Si veda inoltre tutta la bibliografia di Al poco giorno.