Bernardo, io veggio ch'una donna vene
Sonetto (Rime dubbie X; schema ABBA ABBA CDD CDD) attribuito a D. dal codice Chigiano L VIII 305 e dai suoi affini; a Cino da Pistoia, invece (con l'incipit variato in Oimé, ch'io veggio) tra gli altri dai Marciani it. IX 191 e 364, e dalla stampa Giuntina del 1527.
Dall'esame interno del sonetto non emergono elementi utili a una decisiva attribuzione: temi e moduli espressivi potrebbero essere di Cino come di D.; a quest'ultimo lo assegnano decisamente, tra gli studiosi moderni, il Witte e il Cossio; a Cino il Fraticelli, lo Zaccagnini e il Di Benedetto. Bernardo è senz'altro il rimatore bolognese autore (secondo altri studiosi, per es. lo Zaccagnini, destinatario) del sonetto A quella amorosetta foresella, inviato a Guido Cavalcanti (che gli rispose con Ciascuna fresca e dolce fontanella), e citato nei sonetti Bernardo, quel de l'arco dei Diamasco, di Onesto da Bologna, nel quale D. è nominato come " quei che sogna e fa i spiriti dolenti "; e Bernardo, quel gentil che porta l'arco, di Cino (ma di D. secondo il Di Benedetto; questi sonetti si trovano anch'essi nel codice Chigiano). Nei documenti bolognesi lo Zaccagnini ha rintracciato un " Bernardus notarius Martini Bernardi " testimonio in un atto del 1269, e un " dominus Bernardus de Vallibus notarius " citato in un documento del 1272; ma occorre considerare che tali date risultano " alquanto alte se si pensa alla contemporaneità col Cavalcanti " (Contini). Il fatto che sia attestata una corrispondenza poetica di Cino con Bernardo da Bologna, e nulla direttamente testimoni invece una simile relazione di Bernardo con D., non è elemento sufficientemente valido per contestare a D. la paternità del sonetto; tanto più che un altro sonetto di Onesto, Siete voi, mescer Cin, associa a quello del destinatario i nomi di Guido e di D. (v. 14) quali maestri mal seguiti di Cino stesso.
L'autore del componimento, chiunque egli sia, non dimostra di possedere il debito magistero d'arte: a una forzatura metrica (la dieresi su assedïo del v. 9, necessaria secondo il Contini) si aggiungono un mutamento di " coerenza immaginativa " (nella prima parte l'assediante è la donna, nella seconda la Morte), e un verso indubbiamente " piuttosto ozioso " (Contini), l'ultimo. Nel sonetto l'autore afferma di temere che l'ira della donna che egli ama possa far restare il suo cuore senza soccorso e senta compagnia, del che egli soffrirà fino a morirne. La Morte stessa ha disposto questo assedio grande al cuore, allorché esso fu preso d'amore per la donna che ora con sguardo crudele gli rifiuta ogni concessione.
Bibl. - K. Witte, Rime in testi antichi attribuite a D., in " Jahrbuch der deutschen Dante-Gesellschaft " III (1871) 257-302; P. Fraticelli, Il canzoniere di D.A., Firenze 18733, 271-272; A. Cossio, Sulla " Vita Nuova " di D., ibid. 1907; G. Zaccagnini, Rimatori bolognesi del sec. XIII, Milano 1933; L. Di Benedetto, Rimatori del Dolce Stil Novo, Bari 1939, 202; Id., Sulle opere minori italiane di D., Salerno 1947, 48; Contini, Rime 243-244.