IO
(᾿Ιωᾒ). − Eroina argiva, figlia del dio fluviale Inachos. Secondo altre genealogie è anche detta figlia di Iasos, di Arestor, di Kadmos e persino di Prometeo.
Sacerdotessa della grande dea di Argo, Hera, I. subisce l'amore di Zeus e per tale duplice tradimento incorre nella furia vendicatrice della sua patrona. Hera la punisce trasformandola in giovenca e affidandola alla sorveglianza del vigilante pastore Argo dai mille occhi. Questo singolare custode che vediamo di volta in volta in aspetto di eroe o di gigante mostruoso − si può supporre che Argo fosse in origine un cane da guardia − viene poi ucciso da Hermes inviato da Zeus (Hermes Argeiphàntes) e trasformato da Hera in pavone. Questa prima liberazione peraltro non pone fine alle torture di I. che va errando di terra in terra, perseguitata da un assillo inviatole da Hera, sino a che, giunta in Egitto, riacquista il suo vero aspetto e la protezione di Zeus, divenendo poi madre di Epaphos.
Nella storia di I. si distingue un antico nucleo epico, collegato con l'altro tema ciclico, anch'esso argivo, di Danao e delle Danaidi, a cui si sovrappone la versione dei tragici ateniesi Eschilo e Sofocle nelle cui opere I. ritorna di scorcio o in veste di protagonista (v. Aesch., Prom., 589 ss., Suppl.; Sophocl., Inachos). L'atteggiamento razionalistico di Erodoto che introduce I. nel discorso delle principesse rapite tra l'Asia e la Grecia che avrebbero condotto alla guerra di Troia, ha dato lo spunto a coloro che hanno voluto vedere nella storia di. I. allusioni ai più antichi rapporti tra la Grecia e l'Egitto. A questo si può aggiungere il fatto riferito anche da Erodoto (ii, 41) che i Greci credettero di poter riconoscere nelle immagini di Iside in Egitto la loro eroina emigrata.
La storia di I. dovette entrare nel repertorio figurativo corrente sin da epoche assai remote. L'eroina appariva con Hera nel trono di Apollo in Amicle (Paus., iii, 18, 3) ed è descritta nelle figurazioni di monumenti fittizi che dobbiamo ritenere di gusto estremamente arcaico, quali lo scudo di Hippomedon (Eurip., Phoen., 115), il cofano di Europa in Moschion (i, 44), una faretra in Quinto Smirneo (10, 190) e lo scudo di Turno nell'Eneide (vii, 189).
Le fonti letterarie inoltre ci parlano di una vacca di bronzo in Kalchedon sul Bosforo, ricordo del fatale pellegrinaggio dell'eroina, di una statua sull'Acropoli, opera di Deinomenes, contrapposta a una di Kallistò, e di un dipinto di Nikias di cui sono state riconosciute repliche in affreschi di Pompei e della Casa di Livia sul Palatino.
Le rappresentazioni più antiche che possediamo del mito non vanno oltre la metà del VI sec. a. C. Un'anfora della classe di Northampton in Monaco ci offre un'edizione ionica della storia in cui i tre personaggi, Hermes che avanza di soppiatto, la giovenca i. assicurata ad una spessa fune e il pigro gigante Argo disteso al suolo vengono introdotti in termini di statica quiete. Nei vasi attici a figure nere contemporanei invece, e in specie nell'anfora prossima a Exechias del British Museum (B 164) il dramma scatta senza compromessi ed Hermes abbatte al suolo il mostruoso custode a due volti. In queste figurazioni, così come in quelle più numerose a figure rosse, i veri protagonisti sono in realtà Hermes ed Argo, mentre il grande corpo disteso della vacca I. rappresenta tutt'al più uno sfondo distintivo per la storia. La predilezione per l'azione, la lotta, inducono anzi a trascurare così completamente gli altri elementi figurativi che la figura di I. alcune volte è omessa, e in altri casi è sostituita da un toro (stàmnos di Vienna del Pittore di Argos n. 338 e skýphos del Gruppo di Haimon in Yale n. 116).
In una oinochòe di Boston di età ancora severa I. appare come vacca dal volto umano alla maniera di Achebo e altre divinità fluviali, mentre la immagine di I. in figura umana, con il residuo di due piccole corna sulla fronte, s'incontra verso la metà del V sec. ed è stata posta in relazione con le necessità di una presentazione teatrale dell'eroina. Così nella pelìke un tempo Spinelli, assegnata a un tardo manierista detto appunto il Pittore di Io, in cui Zeus insegue una donna con piccole corna sul capo: figurazione che non si riferisce a un particolare momento della storia, ma vuol riassumere i due motivi fondamentali della persecuzione amorosa e del tragico destino che ha così dolorosamente segnata l'eroina.
Ugualmente quelle figurazioni della tarda ceramica a figure rosse attica e italiota che venivano riferite ai primi episodî della storia di I. nel santuario di Hera sono da intendersi piuttosto come una presentazione indeterminata dell'eroina in atteggiamento meditativo di supplice. Le lotte e le violenze non trovano più posto nel comune repertorio figurativo e anche quando il dissimulato avanzare di Hermes ripiegato su se stesso come nel cratere Jatta del Pittore di Meleagros implica la tragica fine del guardiano, tale motivo appare stemperato in un ampio quadro disteso e contemplativo alla presenza degli dèi e tra gli scherzi agresti dei satiri.
Un'atmosfera di sottile tensione drammatica domina invece nei dipinti che vengono riportati a un archetipo di Nildas. Qui il dialogato tra la fiduciosa baldanza del guardiano Argo e l'attorcersi tormentato dell'eroina seduta su una roccia sembrano trovare il loro fulcro nella figura di Hermes che si approssima nel fondo: tanto che resta difficile ammettere che quest'ultima, come è stato sostenuto, possa rappresentare una tarda intrusione.
Figurazione d'apparato, sontuosa e disgregata nella moltitudine di simboli e di figure si direbbe invece il quadro dell'arrivo di I. in Egitto noto in due redazioni tra cui quella in certo senso ufficiale del tempio d'Iside in Pompei.
Numerosissimi sono poi i volti femminili con piccole corna che vengono riferiti con più o meno probabilità a I., ma che potrebbero anche rappresentare Artemide Tauropòlos o altre divinità. Tale la lunga serie di antefisse tarantine, la testa marmorea di Castle Howard (A. Michaelis, Ancient Marbles, n. 25) e altre terrecotte e piccoli bronzi. Altrettanto poco sicura può dirsi la figurazione assai mutila di un mosaico di Antiochia (D. Levi, Antioch Mosaic Pavements, p. 75) in cui si è voluto vedere ancora una volta i protagonisti del vecchio mito Hera, I. e Argo.
Bibl.: J. Overbeck, Zeus, I. P., p. 465; R. Engelmann, in Roscher, II, i, 1894, p. 263; id., in Jahrbuch, XVIII, 1903, p. 37 (con catalogo delle raffigurazioni di I.); A. Cook, Zeus, Cambridge 1914, p. 437; S. Eitrem, in Pauly-Wissowa, IX, 1916, cc. 1732-43, s. v.; L. Preller, Gr. Mythologie, 1920, p. 253; F. Jacoby in Hermes, LVII, 1922, p. 366 ss.; O. Elia, Monumenti Pittura Antica. Pitture del Tempio d'Iside, Roma 1941.