iperbato
L’iperbato (dal gr. yperbatón «trasposto», in lat. transgressio «superamento») è una figura retorica che consiste nell’inserire tra due o più parole collegate sintatticamente uno o più segmenti di discorso, modificando così l’ordine naturale della frase e creandone un altro, avvertito come inconsueto o irregolare.
Tradizionalmente, la figura, che è venuta a designare qualsiasi sovvertimento dell’ordine delle parole, origina una ricca serie di artifici sintattici, che comprendono l’➔anastrofe (l’inversione di elementi posti in contiguità sintattica); la ➔ parentesi (la presenza di una clausola che interrompe il fluire del discorso); l’➔epifrasi (lo spostamento alla fine della frase di un segmento congiunto con ciò che precede dalla congiunzione e); la tmesi (la separazione di una parola composta con un membro della frase); la sinchisi (o mixtura verborum, l’ordinamento libero e confuso delle parole).
In senso stretto l’iperbato designerebbe qualsiasi interruzione della costruzione lineare della frase ottenuta spostando un elemento che viene a frapporsi fra unità legate sintatticamente secondo la formula [… XYZ … → … XZY …]. Questa definizione è dunque conseguente alle consuetudini sintattiche dell’ordine delle parole e in particolare a quelle della lingua latina per effetto della maggiore libertà funzionale degli elementi e dell’importanza della modulazione della voce (sillabe lunghe, sillabe brevi; ➔ ritmo).
Per questa ragione vi è stato chi (Curtius 1992: 305) ha parlato dell’iperbato come di un latinismo stilistico e lo ha riconosciuto come figura poetica e non prosastica, fondamentale a partire dal Cinquecento e in grado di innestare nelle varie lingue europee un manierismo stilistico specifico.
La tradizione antica, che non sempre ha chiare le distinzioni all’interno della famiglia degli iperbati, insiste sulla figura come artificio per abbellire i discorsi. Così nella Retorica a Gaio Erennio (opera del I sec. a.C. per tradizione attribuita a Cicerone ma in realtà di autore ignoto, il cosiddetto Pseudo-Cicerone) l’iperbato è collocato accanto all’inversione delle parole (anastrofe) e raccomanda che la trasposizione delle parole (transiectio) permetta di incidere sulla costruzione di un determinato ritmo poetico che risulti perfettamente compiuto (IV, 44). Quintiliano, nella sua Institutio oratoria (VIII, 6, 64), prosegue questa tradizione e conferma la definizione della figura affermando che «nessuna altra tecnica è tanto in grado di rendere ritmico il discorso quanto un opportuno cambiamento (permutatio) dell’ordine delle parole»; esso darebbe pregio al discorso conferendogli bellezza e armonia ed evitando asprezze, durezze e sconnessioni. Le parole andrebbero infatti collocate al loro posto più adatto, per incastrarsi come pietre levigate in grado di congiungersi meglio. Quintiliano, inoltre, inaugura il collocamento della tmesi (separazione di una parola composta) all’interno degli iperbati con l’esempio septem subiecta troni («posta sotto la costellazione settentrionale») e la riferisce al solo linguaggio poetico.
L’alto medioevo delle trattazioni retorico-poetiche non dette particolare rilievo all’iperbato in quanto tale, ma lo collocò in una originale trasformazione sintattica (la conversio di Goffredo di Vinosalvo). Ma è in particolare con ➔ Dante e con la Commedia che l’iperbato viene usato sia saldandolo a specifiche esigenze di rima, sia richiamando moduli latini (col predicato collocato all’ultimo posto della frase), sia ancora per esigenze stilistiche di intensificazione emotiva (Tateo 1971). La spezzatura della costruzione riguarda schemi sintattici definiti e comporta la separazione dell’aggettivo dal suo sostantivo:
(1) ma non però che puro già mai rimagna d’essi testimonio (Purg. XIV, 119-120)
o del participio dall’ausiliare:
(2) più era già per noi del mondo vòlto (Purg. XII, 73)
(3) per li occhi fui di grave dolor munto (Purg. XIII, 57)
o dello specificante dallo specificato:
(4) vidi due mostrar gran fretta de l’animo, col viso, d’esser meco (Inf. XXIII, 82-83)
o del soggetto posposto spesso al predicato:
(5) già prato di fiori vider, coverti d’ombra, gli occhi miei (Par. XXIII, 80-81)
Così modulata, la figura dell’iperbato diventa un ingrediente caratteristico del linguaggio poetico italiano, con una pluralità di spezzature sintattiche. La separazione più ricorrente sembra quella dell’aggettivo dal nome al quale si congiunge, come in ➔ Torquato Tasso:
(6) belle agli occhi miei tende latine (Ger. Lib. VI, 104)
(7) S’alcun giamai tra fronteggianti rive
puro vide stagnar liquido argento (Ger. Lib. XIII, 60)
o in ➔ Ugo Foscolo:
(8) mille di fiori al ciel mandano incensi (Dei sepolcri, 172)
(9) le vaganti accogliea lucide nubi (Le Grazie, “Il velo delle Grazie”, v. 15)
A prender atto della frequenza con cui si ricorre all’iperbato fu Pierre Fontanier, che collegò la figura all’inversione ribadendo come l’iperbato sia costituito dall’accostamento di parole ribaltate o invertite e illustrando una serie di riscontri che chiama in causa lo spostamento del soggetto dopo il verbo o suoi modificatori o del complemento (o di un suo elemento) prima del segmento discorsivo che lo regge (Fontanier 1971: 284).
Così, ➔ Giacomo Leopardi, memore di Torquato Tasso e Giuseppe Parini, di ➔ Vincenzo Monti e Ugo Foscolo, come dei classici, fece dell’iperbato un suo artificio caratteristico:
(10) la funesta all’ausonio valor campagna esplori (Canti, “Bruto minore”, vv. 78- 79)
(11) agli atroci del fato odii sottrarre (Canti, “Il sogno”, v. 50)
(12) Quegli ancora senza alcun fine remoti nodi quasi di stelle (Canti, “La ginestra o il fiore del deserto”, vv. 175-176)
Nel linguaggio poetico del Novecento la frantumazione del tessuto sintattico prodotta da una nuova sensibilità metrica consente una nuova vitalità dell’iperbato, in particolare con ➔ Giovanni Pascoli, nei cui testi la figura si presenta sia nel senso della tradizionale spezzatura sintattica, sia in quello dell’inciso (di cui Pascoli sperimenta svariate possibilità grammaticali: Beccaria 1975). Oltre alla tradizionale inversione di verbo oggetto (nel riscontro affidata ai verbi di percezione):
(13) Cantar, la notte, udii (Canti di Castelvecchio, “Diario autunnale” III, v. 2)
(14) Venir, tra i crisantemi, vedo (Canti di Castelvecchio, “Giovannino”, vv. 35-36)
o all’anticipazione del complemento:
(15) di nere trame segnano il sereno (Myricae, “Novembre”, v. 6)
o alla separazione del nome dall’aggettivo:
(16) città nell’aria cerula lontane (Myricae, “Solitudine”, v. 2)
o, viceversa, alla separazione tradizionale dell’aggettivo dimostrativo dal nome:
(17) quelle nel vespro tinnule campane (Myricae, “Campane a sera”, v. 2)
È con l’inciso (la parentesi; ➔ parentetiche, frasi) che l’iperbato trae nuove modalità espressive, sia staccando il soggetto dal verbo:
(18) il sole (onde mai sorto?)
brillò di nuovo al suon delle campane (Primi poemetti, “Il vischio”, II, vv. 7-8)
sia separando il verbo dal soggetto posposto:
(19) venne, sapendo della loro venuta,
gente (Primi poemetti, “Italy” V, vv. 110-111)
o il complemento dal verbo:
(20) Tra cielo e mare (un rigo di carmino
recide intorno le acque marezzate)
parlano (Myricae, “I puffini dell’Adriatico”, vv. 1-3)
La pratica dell’iperbato in Pascoli porta dunque a nuove forme, come l’iperbato ‘ad incastro’ (Beccaria 1975), in cui la figura si presta a un gioco di separazione e unione che conserva per certi aspetti la mobilità sintattica dei moduli latini (collegando gli elementi in una sorta di chiasmo):
(21) Sazio ogni morto, di memorie, posa (Myricae, “Il giorno dei morti”, v. 18)
(22) Vedeste azzurro scendere il ruscello (Myricae, “Il miracolo”, v. 12)
Nella poesia del Novecento, però, ricorrono forme di iperbato in un quadro più tradizionale e più sensibile all’impianto narrativo, come in Guido Gozzano:
(23) gli accesi dal veleno biondissimi capelli:
in altro tempo belli di un bel biondo sereno (I colloqui, “Le due strade” II, vv. 27-28)
(24) incoronato dalle frondi regie
v’era Torquato nei giardini d’Este (I colloqui, “La Signorina Felicita o della felicità” IV, vv. 27-28)
(25) Più snella da la crinoline emerge la vita di vespa (I colloqui, “L’amica di nonna Speranza” II, v. 8)
dove la frantumazione sintattica dell’iperbato (aggettivo-nome, ausiliare-verbo) si dispone alla cantabilità del verso.
In altri casi, l’iperbato riprende gli artifici pascoliani e pare adattarli a nuove esigenze espressive, in molti casi rafforzando l’effetto di enfasi sugli elementi separati. È così per Eugenio Montale che sembra usare l’iperbato per focalizzare l’elemento disgiunto:
(26) E mi chiesi se questo che mi chiude
ogni senso di te, schermo d’immagine (Le occasioni, “Mottetti” II, vi, vv. 3-4)
(27) Umido brilla
il sole sulle membra affaticate (Le occasioni, “Punta del mesco”, vv. 14-15)
(28) Strideva Adiós muchachos, compañeros
de mi vida, il tuo disco dalla corte (Le occasioni, “Sotto la pioggia”, vv. 13-14)
Qui i riscontri sull’uso dell’iperbato sembrano alludere a una lingua sintatticamente più libera e affidata all’intonazione comunicativa (ai picchi della voce) secondo configurazioni fonico-ritmiche proprie dell’italiano nel caso di interpolazione tra aggettivo e nome o tra oggetto e verbo.
Nell’italiano contemporaneo, come per l’anastrofe, l’iperbato sembra tendere a riprodurre il registro quotidiano grazie a espedienti sintattici della lingua parlata (topicalizzazioni, dislocazioni, frasi scisse e pseudo-scisse; ➔ focalizzazioni) che ne governano la resa informativa secondo i moduli tipici dell’italiano parlato comune. Da questo punto di vista il costante ricorso a intonazioni specifiche, trasmesse dall’italiano pubblicitario, paiono trasformare una figura retorica di schietta natura poetica e di grande tradizione letteraria.
Cicerone, Marco Tullio (1992), La retorica a Gaio Erennio, in Id., Tutte le opere, Milano, Mondadori, 33 voll., vol. 32°.
Fontanier, Pierre (1971), Les figures du discours, Paris, Flammarion (1a ed. Des figures du discours autres que les tropes, Paris, Maire-Nyon, 1827).
Quintiliano, Marco Fabio (2001), Institutio oratoria, a cura di A. Pennacini, Torino, Einaudi, 2 voll.
Beccaria, Gian Luigi (1975), L’autonomia del significante. Figure del ritmo e della sintassi. Dante, Pascoli, D’Annunzio, Torino, Einaudi.
Curtius, Ernst Robert (1992), Letteratura europea e Medioevo latino, a cura di R. Antonelli, Firenze, La Nuova Italia (ed. orig. Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern, A. Francke Verlag, 1948).
Faral, Edmond (1924), Les arts poétiques du XIIe et du XIIIe siècle. Recherches et documents sur la technique litteraire du Moyen âge, Paris, Champion (2ª ed. 1962).
Lausberg, Heinrich (1960), Handbuch der Literarischen Rhetorik. Eine Grundlegung Literaturwissenschaft, München, Max Hueber Verlag, 2 voll.
Mortara Garavelli, Bice (199710), Manuale di retorica, Milano, Bompiani (1a ed. 1988).
Tateo, Francesco (1971), Iperbato, in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, vol. 3º, ad vocem.