ipercorrettismo
L’ipercorrettismo (meno spesso ipercorrezione) consiste nella sostituzione di una forma linguistica che sarebbe esatta, ma che viene erroneamente ritenuta scorretta per somiglianza con una forma effettivamente sbagliata. Il fenomeno dell’ipercorrettismo si fonda su un meccanismo di falsa ➔ analogia: il parlante o lo scrivente si corregge, sostituendo una forma che percepisce come sbagliata sulla base degli errori più comuni e frequenti, con un’altra forma, di fatto errata, nell’intenzione di avvicinarsi ai registri alti e di imitare lo standard (Dittmar 1978: 441; ➔ italiano standard). Il fenomeno può avere come motivazione l’allontanamento da tratti percepiti come ➔ substandard (in tal caso si può anche definire come iperdistanziamento; Berruto 1993: 59). Più raramente, si parla anche di iperurbanismo, alludendo alla modifica di una forma dialettale o popolare (di solito, una caratteristica di pronuncia) secondo quello che si ritiene il modello cittadino. La maggior parte degli studi riconduce l’ipercorrettismo a parametri diastratici (➔ variazione diastratica), annoverandolo tra i fenomeni tipici di produzioni, sia orali, sia scritte, di parlanti scarsamente acculturati, definibili come semicolti, o semincolti (➔ italiano popolare; cfr. D’Achille 1994 e 2008: 2340-2343). Alcune ricerche tuttavia hanno dimostrato anche il condizionamento diafasico (➔ variazione diafasica) del fenomeno, non dipendente quindi esclusivamente dal livello socioculturale del parlante bensì anche dalla
posizione ed il ruolo che si viene ad assumere nella catena dialogica, l’esposizione ad aspettative sociali verso un comportamento linguistico ‘promozionale’, l’ansia di mostrarsi ‘attivi’ e ‘propositivi’ nei confronti di chi vogliamo attrarre nella nostra orbita comunicativa (Pennisi 1993: 148).
La reazione ipercorrettiva può coinvolgere tutti i livelli di analisi. L’ambito fonetico (mediato per alcuni tratti nella dimensione scritta dalla grafia), in cui agisce maggiormente l’interferenza delle pronunce regionali (➔ variazione diatopica), appare il livello più colpito. Nell’italiano parlato in Italia centrale, si possono, per es., avere casi di pronuncia ipercorretta nei gradi di apertura e/o chiusura delle vocali medie, in particolare di e (del tipo [ˈbene] in luogo di [ˈbɛne]); nell’assordimento di consonanti in contesti in cui nel dialetto o nell’italiano regionale si realizzano come sonore, come [anˈdanto] in luogo di [anˈdando], per evitare la sonorizzazione della dentale postnasale (del tipo [anˈdonjo] per [anˈtonjo] Antonio); nella deaffricazione della sibilante, come in [kanˈsone] in luogo di [kanˈʦone] canzone, che si oppone all’affricazione della sibilante postnasale (del tipo [ˈpɛnʦo] per [ˈpɛnso] penso); o, sul piano grafico, la grafia colonda per «colonna», largamente attestata nei testi antichi centro-meridionali (Trifone 2008: 17), che evita l’➔assimilazione progressiva del nesso consonantico -nd- > -nn- (del tipo quanno «quando»).
Anche gli altri livelli di analisi possono dare luogo a ipercorrettismi. Nel tentativo di accostarsi ai modelli colti (spesso veicolati dalla scuola) e/o alle varianti percepite come più prestigiose, si possono verificare sostituzioni morfosintattiche come la sovraestensione di egli in contesti sintattici obliqui (nessuno vuole parlare con *egli al posto di nessuno vuole parlare con lui). Si può considerare una forma di iperdistanziamento dalle varianti basse anche, a livello lessicale e stilistico, l’uso di vocaboli aulici o desueti in contesti colloquiali o informali.
La tendenza ipercorrettiva caratterizza talmente la varietà popolare da essere spesso impiegata dagli scrittori a fini mimetici. Ciò è particolarmente evidente nella storia del romanesco. A tale proposito è nota la parodia dei semicolti realizzata in diversi componimenti Giuseppe Gioachino Belli (come, ad es., Dieciotto inscrizioni, La lettra de la Commare) proprio mediante la riproduzione delle affettazioni e degli svarioni dell’incolto. Nel sonetto Er parlà ciovìle de più occorrono, ad es., numerosi fenomeni (manda «manna»; penda «penna»; vende «venne»; gomba «gomma»; vendembiava «vendemmiava»; magliali «maiali»; apelto «aperto»; deselto per «deserto», ecc.; cfr. Vighi in Belli 1988: 269), commentati dallo stesso Belli in una tabella riassuntiva ed esplicativa delle false ricostruzioni («Analogie») che correda il sonetto, il quale proprio per queste sue caratteristiche può essere considerato «una sorta di trattatello sull’ipercorrettismo nel romanesco» (Trifone 2008: 19).
Belli, Giuseppe Gioachino (1988), Poesie romanesche, ed. critica e commentata a cura di R. Vighi, in Id., Edizione nazionale delle opere, Roma, Libreria dello Stato, 10 voll.
Berruto, Gaetano (1993), Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche, in Introduzione all’italiano contemporaneo, a cura di A.A. Sobrero, Roma - Bari, Laterza, 2 voll., vol. 2° (La variazione e gli usi), pp. 37-92.
D’Achille, Paolo (1994), L’italiano dei semicolti, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 2° (Scritto e parlato), pp. 41-79.
D’Achille, Paolo (2008), Le varietà diastratiche e diafasiche delle lingue romanze dal punto di vista storico: italiano, in Romanische Sprachgeschichte. Ein internationales Handbuch zur Geschichte der romanischen Sprachen, hrsg. von G. Ernst et al., Berlin - New York, de Gruyter, 3 voll., vol. 3º, pp. 2334-2355.
Dittmar, Norbert (1978), Manuale di sociolinguistica, trad. di Giorgio Graffi, Roma - Bari, Laterza (ed. orig. Soziolinguistik. Exemplarische und kritische Darstellung ihrer Theorie, Empirie und Anwendung, Frankfurt am Main, Athenaum, 1973).
Pennisi, Antonino (1993), Ipercorrettismi anomali, in Varietas delectat. Vermischte Beiträge zur Lust an romanischer Dialektologie ergänzt um Anmerkungen aus verwandten Disziplinen, hrsg. von R. Bauer, H. Fröhlich & D. Kattenbusch, Wilhelmsfeld, G. Egert Verlag, pp. 133-148 (anche in http://scef.unime.it/pennisi/28.html).
Trifone, Pietro (2008), Il laboratorio plebeo dell’italiano. Fasti e nefasti del romanesco, «Bollettino di italianistica» n.s., 5, 1, pp. 7-27.