ipocondria
Costante apprensione per la propria salute e paura di avere un male più o meno grave o incurabile, basate non su dati oggettivi, ma su fantasie consce e inconsce, con vari gradi di patologia (dalla nevrosi al delirio). Il termine deriva dal nome dato dagli antichi greci alla zona superiore dell’addome, gli ipocondri, letteralmente «sotto le coste», dove si sarebbero manifestate le passioni viscerali. I greci – nel contesto della teoria dei quattro umori – pensavano che l’i. fosse causata da squilibrio delle passioni in seguito alla disfunzione degli ipocondri, in partic. della milza, con secrezione della ‘bile nera’, causa della melanconia. Secondo la psicoanalisi, invece, sebbene sul versante clinico sintomatico dei pazienti ipocondriaci si possano riscontrare delle note depressive, i. e depressione sono considerate patologie di diversa collocazione teorica (➔ lutto; depressione). Sigmund Freud, in Introduzione al narcisismo (1914), classifica l’i. tra le nevrosi (➔) attuali, causata appunto da insoddisfazioni e conflitti attuali e non da eventi traumatici infantili. I sintomi non sono psichici ma somatici, causati dal blocco della pulsione sessuale, che non potendo scaricarsi all’esterno investe l’interno, cioè il corpo. Secondo la prima teorizzazione freudiana, il problema non ha valenza simbolica ma economica (➔ psicosomatica), differenziandosi così dalla patogenesi dell’isteria (➔). In un successivo momento Freud formula l’ipotesi fondamentale che l’i. possa essere inserita anche tra le cosiddette nevrosi narcisistiche, apparentandola dunque alle psicosi.
Il contributo di Sándor Ferenczi e di Melanie Klein. Sándor Ferenczi (1919) tenta di collegare il pensiero di Freud sull’i. alla sua teoria di genitalizzazione di organo, cioè di un investimento libidico, sessuale intensivo di alcuni distretti corporei. Ferenczi non riesce a elaborare una teoria coerente e accettabile ma fa un passo in avanti rispetto alla teoria freudiana dando grande importanza alla componente libidico-oggettuale, cioè alla relazione tra sé e le altre persone significative, allontanandosi dal meccanico concetto freudiano del flusso energetico. È però la scuola di Melanie Klein che modifica sostanzialmente l’interpretazione dell’i.: l’angoscia ipocondriaca deriva da disturbi delle relazioni precoci, che secondo i kleiniani sono presenti sin dalla nascita nella mente del bambino. A causare la patologia ipocondriaca non sarebbe tanto la libido, quanto l’aggressività. Le dinamiche aggressive, collegate alla pulsione di morte, che secondo la teorizzazione kleiniana è congenita, verrebbero scisse difensivamente dalla psiche primitiva e poi proiettate nell’oggetto, cioè nella madre, che nella fantasia del bambino si carica di minacce che gli si ritorcono contro come una persecuzione. Il conseguente meccanismo difensivo può causare un’ulteriore scissione e proiezione sugli organi corporei con lo sviluppo dell’angoscia ipocondriaca. L’i. per i kleiniani è una patologia di origine precoce caratterizzata dalla coesistenza di intensi sentimenti come odio, paura della rappresaglia e sensi di colpa massicci. Herbert Rosenfeld (1958), uno dei più prestigiosi esponenti della psicoanalisi postkleiniana, ha sostenuto, a partire dalla sua esperienza clinica con pazienti molto gravi, che l’i. può essere una difesa relativamente efficace rispetto al rischio di uno stato confusionale di tipo psicotico; l’angoscia ipocondriaca, spostata su un organo corporeo, può essere un modo di circoscrivere il malessere. Alla base ci sarebbe un insieme di pulsioni libidiche e aggressive in cui il paziente non riesce a differenziare tra parti buone e cattive di sé, tra oggetti buoni o cattivi, confusione causata da processi abnormi di scissione e di identificazione (➔) proiettiva.
Nuove definizioni. Simona Argentieri (1998) considera che l’i., pur riguardando il corpo, è tuttavia un disturbo mentale che concerne le fantasie sugli organi corporei, da tenere ben distinta dalle malattie psicosomatiche, che sono invece conseguenza di aree scisse del rapporto corpo/mente, escluse da una rappresentazione psichica. L’i. è dunque una patologia dell’interpretazione, delle ipotesi che l’ipocondriaco fa sul funzionamento del suo corpo a partire dai dati percettivi deformati dalle fantasie inconsce; un pensiero dominato dall’ansia e dal dubbio ossessivo di non poter distinguere ciò che è sano da ciò che è malato. Seguendo il modello di Donald Winnicott, si può ipotizzare che all’origine dell’i. possa esserci l’incapacità della madre di accogliere e contenere le arcaiche angosce corporee del lattante; così, il fallimento della cosiddetta preoccupazione materna primaria, che permette di proteggere il bambino, senza né opprimerlo né angosciarlo (in modo che possa sviluppare l’equilibrata capacità di badare a sé stesso), può essere la radice delle future angosce ipocondriache.
Rapporto medico/paziente. Il paziente ipocondriaco costituisce un difficile problema per il medico, il quale deve arrivare a conoscere i fattori psicodinamici implicati. Il paziente invade lo spazio terapeutico con angoscia incontenibile, con teorie diagnostiche personali e con la certezza che non si faccia nulla per lui. In un contesto psicoanalitico, si deve lavorare nella dinamica del rapporto transfert/controtransfert, poiché le interpretazioni circa l’irrazionalità delle fantasie inconsce sono inutili. Il paziente tenta di spostare sul sintomo la paura della morte come evento naturale, illudendosi, narcisisticamente, che facendo diventare la propria morte un evento eccezionale e unico, essa possa non accadere mai realmente.