Ipocondria
Il termine ipocondria (dal greco ὑποχόνδριος, "ipocondrio") indica la preoccupazione, priva di reali fondamenti organici, relativa alla salute in generale oppure alla condizione di particolari organi, che si accompagna a malesseri fisici e a stati di ansia e di depressione.
Il termine ipocondria deriva dalla denominazione greca della zona superiore dell'addome, luogo corporeo di grande importanza per la dottrina ippocratica degli 'umori', soprattutto in rapporto con il configurarsi della melancolia a cui l'ipocondria venne collegata. Nel 2° secolo d.C. il vocabolo si trova utilizzato proprio nell'ambito della dottrina relativa alla melancolia e designa, in particolare in Galeno, una vera e propria malattia, che viene definita hypochondriacum flatulentumque morbum. La concezione galenica, seppur attraverso una grande quantità di interessanti variazioni, si è sostanzialmente mantenuta fino al 19° secolo; ancora nel 1845, infatti, W. Griesinger intende gli stati ipocondriaci come forme minori e più lievi della follia, includendoli così nel concetto di stati depressivi psichici.
Nonostante nella lunga disputa sulla 'neurastenia' (sviluppatasi fra l'ultimo trentennio del 19° secolo e l'inizio del 20°) il concetto di ipocondria come peculiare forma di malattia fosse divenuto sempre più problematico, molti autori vi si attennero ancora; lo ritroviamo, infatti, nella fondamentale trattazione monografica sul tema di F. Jolly (1877) e nella quinta edizione del trattato di E. Kraepelin (1896), che distingue una hypochondria cum materia (cioè con disturbi reali, che vengono sopravvalutati) accanto a una hypochondria sine materia (cioè senza alcuna base oggettiva). Con R. Wollenberg (1904), infine, l'ipocondria non viene più considerata alla stregua di una malattia autonoma, ma come un insieme di stati psicopatologici molto diversi i quali indicano una disposizione psichica abnorme, con il predominio di un particolare stato affettivo.
Tuttora si sottolinea l'importanza di questa condizione fortemente emozionale-affettiva, che è sostenuta e giustificata dalle 'psichestesie d'allarme' (Bini-Bazzi 1949), cioè da sensazioni abnormi, viscerali o di superficie, ampliate e deformate dai recettori della sensibilità propriocettiva, cui si accompagnano rappresentazioni psicosensoriali, proiettate alla periferia con specifico contenuto di sensorialità più o meno chiaro e intenso, fino a vere e proprie allucinazioni: ci si lamenta di capogiri, senso di sbandamento, disturbi visivi, dolori, formicolii, senso fastidioso di calore e di freddo vagamente localizzato, senso di tessuto morto, sensazione di acqua che scorre sotto la pelle, bruciori, peso al capo, alla schiena, dolenzie nucali, fastidi addominali vaghi ma insistenti, fitte dolorose agli arti, tensione e stiramento al petto, respiro sospeso ecc., descritti sovente in elenchi minuziosi e interminabili. Nella grande maggioranza dei casi, l'ideazione ipocondriaca prende l'avvio proprio da queste psichestesie, dal loro persistere e dal loro variare, facilitata dallo stato di vaga apprensione e inquietudine oppure di allarme per una lettura o un discorso casuali su malattie, sofferenze, disturbi, o per averne avuto esperienza in altri.
L'idea ipocondriaca, dapprima vissuta più o meno fugacemente nel timore e nel dubbio, diviene ben presto prevalente (se non addirittura ossessionante, angosciante o improntata a pessimismo e autosfiducia), confluendo in altri disturbi meglio precisati, quali depressione somatizzata, esperienze di panico, fobie ossessive, rituali di evitamento (Cantor-Fallon 1996), con cardiofobie, autopalpazioni interminabili, 'ruminazioni' mentali insistenti e, spesso, monotematiche, fino a pervenire in alcuni casi 'all'idea delirante a tema ipocondriaco', irremovibile convincimento di avere una grave malattia (per lo più neoplastica, ma anche sifilide e, attualmente, AIDS). I deliri ipocondriaci non sono rari nelle depressioni psicotiche (dette, appunto, melanconie deliranti) fino a giungere alle astruserie più assurde e alle forme nichiliste o di Cotard ("il mio corpo non esiste più"). Negli ultimi quarant'anni del 20° secolo, la psicologia dell'esperienza vissuta di tipo ipocondriaco è andata incontro ad approfondimenti degni di nota, dovuti tanto all'apporto dell'indagine psicoanalitica e cognitivo-comportamentale quanto al contributo fenomenologico-esistenziale. In particolare, è proprio nelle ipocondrie e nelle patofobie (o nosofobie) che lo studio dell'esperienza del corpo e della corporeità vissuta, nonché dell'antropologia degli organi (Callieri 1995), si è avvalso di quanto l'analisi fenomenologica ha messo a disposizione degli psicopatologi: la distinzione fra corpo-oggetto e corpo-vissuto, l'ambiguità esistenziale del 'corpo proprio' (Merleau-Ponty 1945), la corporeità vissuta, l'embodiment (Zaner 1964) hanno finito con l'inserirsi anche nell'orizzonte psicodinamico, illuminando con singolare efficacia l'esperire ipocondriaco del corpo 'malato' nel singolo (e nel suo 'mondo di vita'), spesso inautentico, isolato, povero di progettualità e di apertura dialogica. La relazione privilegiata dell'ipocondriaco è con il suo corpo-vissuto: l''avere-un-corpo' (Körper) si rivela con la serie protratta, spesso sterile e stereotipata, dei 'disturbi' delle funzioni dell'organismo, di cui percepisce i molteplici messaggi disfunzionali; invece l''essere-corpo' (Leib) accentua la polarità patica, affettiva, chiudendosi in una dimensione che domina e imprigiona, onnipervasiva e onnipresente. Nell'ipocondriaco si coglie la costante divergenza tra questo vivere il corpo, così disturbato e minaccioso, il quale incombe sempre come un incubo, e quella specie di immagine idealizzata in cui gli aspetti della somatizzazione vengono a cambiare profondamente, fino a riproporre gli esasperati ideali estetici di cui parlò acutamente con la sua 'ipocondria della bellezza' W. Jahrreiss (1930) e che sono ora efficacemente riproposti da K.A. Phillips (1991): l'oggetto dell'investimento libidico ipocondriaco è rappresentato dal culto del proprio corpo (Bordo 1997), con rilievo sempre maggiore prestato alla concezione del corpo come metafora.
L'ipocondria viene ancora intesa, in ambito psicoanalitico, come nevrosi narcisistica (v. narcisismo). In ogni caso, l'aumento dell'autosservazione, polarizzando l'attenzione in modo quasi esclusivo sul corpo-oggetto, favorisce nel soggetto un incalzante e imperioso esperire di mutamenti che possono successivamente condurre a un disturbo reale della funzione somatica (Weitbrecht 1951), e anche rendere possibili vere e proprie esperienze di depersonalizzazione. Questa connessione fenomenica tra le due forme viene riferita all'aumento degli investimenti libidici narcisistici. Gli organi e le attività funzionali più recettivi, anche metaforicamente, rispetto ai processi di ipocondrizzazione e di depersonalizzazione sarebbero da ritenere i più suscettibili alle declinazioni narcisistiche. Negli studi più recenti sono state valorizzate maggiormente sia le modalità di difesa dell'Io, sia la prevalenza di meccanismi a spese della libido oggettuale e del narcisimo primario; per cui la depersonalizzazione e la derealizzazione possono facilmente 'ipocondrizzarsi'. D'altro canto, l'ipocondria andrebbe tenuta distinta dai cosiddetti disturbi di somatizzazione (v. psicosomatica).
Attualmente, il sostantivo ipocondria viene sempre più frequentemente sostituito dall'aggettivo in espressioni che indicano dell'ipocondria stessa la qualità non di morbus, ma di sintomo d'accompagno, di tendenza; si può così parlare di reazioni psicogene a tinta ipocondriaca, di sviluppo sensitivo e di schizofrenie a componente prevalentemente ipocondriaca, oppure di ipocondrismi schizofrenici o, patologia molto importante, di depressioni ipocondriache. Queste ultime possono essere di notevole rilievo proprio nelle melanconie endogene (per le quali si parla oggi di 'sindrome depressiva maggiore'). La componente depressiva può essere, in questi quadri clinici, di notevole rilievo o anche costituirli in toto, fino al delirio. Hanno inoltre assunto rilevanza gli studi sulle caratteristiche psicologiche dell'ipocondria nei vari contesti tematici sessuali e di psichiatria transculturale (Murphy 1982; Pfeiffer 1993; Escobar 1995): in esso si sottolinea la grande varietà d'espressione dei disturbi fisici, delle ansie ipocondriache e dei diversi contesti simbolici nelle varie culture. Numerosi sono anche gli studi concernenti la presenza della dimensione ipocondriaca nella vita dell'anziano, in particolare nelle depressioni involutive. Notevole rilievo sta assumendo, nella convulsa vita attuale, anche quella proclività sia al disturbo di somatizzazione sia allo sviluppo ipocondriaco, in cui la 'malattia' diviene a way of life (Ford 1983) con meccanismi che ricordano la Humpty-Dumpty syndrome, il caso, cioè, dell'adulto laborioso, coscienzioso, precocemente responsabilizzatosi, sostegno della famiglia, che improvvisamente, dopo una malattia reale, imbocca la via irreversibile dell'ipocondria. In questo campo dell'ipocondria, vasto e poco noto, emerge ancora oggi uno dei contributi clinici più significativi, apparso nel lontano 1958, quello di E. Wulff, il quale propose all'attenzione degli psicopatologi quegli ipocondriaci, davvero numerosi, per i quali il corpo diventa l'espressione dell'ambigua e incerta paura della morte, tanto più evidente quanto più, in un'inquietante mancanza di fiducia nel sostegno del proprio corpo, essi esigono dal potere medico le prove, le conferme, le garanzie della propria salute.
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