IPOFISINA o pituitrina
È il nome dell'estratto di lobo posteriore dell'ipofisi (v.), lobo infundibolare o nervoso. Le sue complesse proprietà farmacologiche non si possono riferire a principî attivi chimicamente riconosciuti. I componenti dell'ipofisina sono idrosolubili, resistenti alla digestione peptica, attaccati dalla digestione triptica e dalla putrefazione.
Iniettata endovenosamente, l'ipofisina eleva la pressione arteriosa, non quanto l'adrenalina, ma più a lungo, per dieci minuti fino a mezz'ora, e ciò per una vasocostrizione dovuta a eccitamento diretto della muscolatura arteriosa. Le contrazioni cardiache si rallentano per una stimolazione vagale cui s'aggiunge una depressione diretta del miocardio; ciò spiega l'iniziale transitorio abbassamento della pressione. L'ipofisina aumenta considerevolmente le contrazioni uterine e l'eccitabilità verso le stimolazioni del nervo ipogastrico, sia l'organo in sito o sopravvivente, gravido o no. Per questa sua azione fu introdotta in ostetricia, dove s'usa tanto come un potente ecbolico che dà all'utero inerte la pristina energia, quanto come emostatico. Stimola contemporaneamente la muscolatura vescicale rendendola più sensibile agli eccitamenti del nervo pelvico. L'ipofisina provoca una vasodilatazione renale; la sua azione sulla diuresi, riconosciuta sugli animali come inibitrice, non è chiara nell'uomo. Molte poliurie da diabete insipido si riducono per somministrazione d'ipofisina. Dato il carattere ormonico di questa sostanza e i suoi numerosi punti d'attacco sul sistema autonomo, molteplici sono le sue azioni sui diversi organi e apparati, lo studio delle quali è tuttora in elaborazione. Praticamente s'usa nella terapia dell'inerzia primaria dell'utero e nelle sindromi ipopituitariche (sindrome adiposo-genitale, adiposi).