IPPIA (‛Ιππίας, Hippias)
Figlio del tiranno Pisistrato. Se fosse primogenito I. o Ipparco, è questione controversa fin dal tempo di Tucidide. L'opinione allora comune, che Tucidide invano si sforza di combattere, è che Ipparco fosse il primogenito e dunque il successore del padre nel dominio; il poeta che, certo subito dopo la liberazione di Atene dai tiranni, compose la canzone in onore di Armodio designava Ipparco espressamente come ὁ τύραννος. Parrebbe dunque che I. negli anni dal 527 (morte di Pisistrato) al 514 (assassinio d'Ipparco) avesse collaborato col fratello nel governo senza essere effettivamente tiranno. Tiranno di nome e di fatto sarebbe divenuto solo dopo la morte di lui.
A spiegazione dell'uccisione d'Ipparco Tucidide adduce solo motivi personali: la rivalità amorosa, l'offesa recata da Ipparco alla sorella di Armodio (v. armodio e aristogitone). Ma certo è che, sebbene al momento un'insurrezione del popolo, sulla quale contavano i tirannicidi, non avvenisse, tuttavia l'opposizione ai Pisistratidi aveva troppo profonde radici per essere paga d'un episodio personale; covava nel cuore degli esuli, molti e di famiglie cospicue. Fallì un primo tentativo di penetrare dal nord: i valorosi esuli accampati sulle pendici del Parnete, a Lepsidrio, caddero per tradimento. Ma poco dopo gli Alcmeonidi, con l'aiuto dell'oracolo delfico e le forze di un esercito spartano comandato dal re Cleomene, riuscirono a occupare Atene. I., assediato nell'acropoli, capitolò dopo pochi giorni (510). Si ritirò nel suo possedimento di Sigeo sull'Ellesponto, dove dominò d'ora in poi come vassallo del re di Persia. Nel 490, vecchio ormai di settant'anni, I. seguì in Grecia le forze persiane, assistette alla battaglia di Maratona, sperò invano in una cooperazione che avrebbe forse dovuto ridargli l'antico dominio. Deluso ancora una volta, morì subito dopo, forse prima di far ritorno a Sigeo.
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