IPPODAMIA
(῾Ιπποδαᾒμεια Ηιπποδαμια). − Nome di parecchie mitiche eroine tra cui la più celebre e l'I. il cui mito è localizzato in Olimpia, almeno dal X secolo. Come Pelope (v.) all'inizio aveva carattere ctonio: ad I. si ricollegava un α½γωᾒν di vergini e per essa sedici donne tessevano ogni tre anni un peplo. Attorno alla fine del IX sec. si sostituì nella presidenza dell'agone Hera, e per I., ritenuta figlia del re di Pisa Enomao e di Sterope (secondo tradizioni minori della danaide Eurythoe o di Enarete), si costituì un complesso mito.
Il padre l'aveva promessa in sposa a chi lo avesse vinto nella corsa dei carri, ma ciò non avveniva mai perché egli, fermatosi a sacrificare, rincorreva il pretendente, che intanto era partito portando sul carro I., lo raggiungeva con i cavalli prodigiosi donatigli da Ares e lo trafiggeva con la sua lancia. Esiodo nelle Grandi Eoie (cfr. Paus., vi, 21, 10 e Schol. Pind., Ol., i, 127) conosceva già i nomi dei numerosi pretendenti di I. uccisi da Enomao. Alla fine però Pelope vinse. Si hanno due versioni, riportate entrambe già da Ferecide ateniese (prima metà del V sec.): l'una attribuisce la vittoria del giovane all'aiuto dei prodigiosi cavalli di Posidone; l'altra ad un inganno di Mirtilo, auriga di Enomao, che sostituì ad una ruota del cocchio reale un cavicchio di cera. (Per una descrizione particolareggiata dei preparativi delle corsa v. Filostrato minore).
Sposa di Pelope, che era diventato signore di Pisa succedendo ad Enomao, I. ebbe parecchi figli, tra cui Atreo, Tieste, Pitteo, Trezene. Gelosa di Crisippo, figlio di Pelope e della ninfa Assioche, lo fece uccidere dai suoi figli e per questo fu cacciata dal marito insieme con loro e vagò per la Grecia. La sua fine è incerta. Nel santuario di Olimpia probabilmente in corrispondenza del Pelopion, doveva esservi un recinto in onore di I.: l'Hippodameion.
Sappiamo che I. era raffigurata sul carro accanto a Pelope nell'Arca di Kypselos (Paus., v, 17, 7) e in ricamo sul mantello di Giasone descritto da Apollonio Rodio (i, 752 ss.). Nell'ippodromo di Olimpia era una statua bronzea di I. con una tenia in mano per offrirla al vincitore Pelope (Paus., vi, 20, 19).
Numerosi sono i monumenti figurativi che rappresentano la corsa nuziale: il più famoso è la complessa scena del frontone orientale del tempio di Zeus ad Olimpia (v.) nel quale è peraltro controverso se debba riconoscersi I. alla destra o alla sinistra di Zeus; il mito poi è raccontato su parecchi vasi a figure rosse fra i quali la bella anfora da Casalta, ora nel museo di Arezzo (1460), di stile vicino a quello midiaco, raffigurante I. dritta sul carro guidato da Pelope, ambedue in costumi riccamente decorati. Fra i vasi dell'Italia meridionale, tra cui i più notevoli sono una situla al Museo di Villa Giulia, il Cratere di Licurgo a Londra e l'anfora di Altamura con Orfeo agli Inferi. Ivi I. ha sempre il capo velato e il krèdemnon sulle spalle. Frequentemente il mito appare anche su sarcofagi romani. Accanto a Pelope appare I. su medaglioni di Antonino Pio ad Smirne.
Monumenti considerati. − Vasi e sarcofagi appaiono raccolti in: J. Vogel, Scenen eurip. Tragödien in gr. Vasengemälde, Lipsia 1886, p. 182 ss.; G. Cultrera, in Ausonia, vii, 1912, p. 116 ss.; L. Séchan, Études sur la tragédie gr. dans ses rapports avec la céramique, Parigi 1926, p. 454 ss.; J. D. Beazley, Red-fig., p. 793; M. Floriani Squarciapino, in Ann. Sc. Arch. It. Atene, xxx-xxxii, 1952-4, p. 138 ss.
Bibl.: Zwickert, in Pauly-Wissowa, VIII, 1913, c. 1725, ss., s. v. Hippodameia; G. Becatti, in La Critica d'Arte, IV, 1939, p. 4 ss.