SFORZA, Ippolita
– Secondogenita di Francesco I Sforza e di Bianca Maria Visconti, nacque a Jesi il 18 marzo 1445.
Quando nel 1450 il condottiero conquistò il Ducato di Milano, per Ippolita si profilò inevitabilmente un matrimonio dinastico, e già nel 1455, a dieci anni, fu promessa in sposa ad Alfonso II d’Aragona principe di Capua, nipote dell’omonimo re di Napoli. L’infanzia di ‘madonna principessa’, ragazzina vivace e di ingegno acuto, trascorse alla corte di Milano in un caldo contesto affettivo, tra i genitori, l’ava Agnese del Maino, i numerosi fratelli e sorelle, e in una condizione di vita privilegiata, tra ricevimenti, cacce e allegri passatempi. La sua educazione fu particolarmente curata, intesa a prepararla sia alla più aggiornata cultura umanistica (la grammatica, i classici, le opere storiche), sia ai compiti cortigiani (la caccia, la danza, le buone maniere), sia a una cultura pratica (l’eloquenza, lo scriver lettere), intesa come addestramento al ruolo politico che l’attendeva.
Fu in particolare Bianca Maria a seguirla negli studi, anche se il padre, tra occupazioni militari e politiche, si teneva sempre al corrente dei progressi dei figli. Entrambi vigilavano su maestri e precettori, comuni a Ippolita e al fratello Galeazzo Maria, affinché i due allievi non tralasciassero studi e impegni. Illustri insegnanti come Guiniforte Barzizza, Baldo Martorelli e il greco Costantino Lascaris trovarono in Ippolita, forse più che nel condiscepolo, un’allieva intelligente e vivace, nemmeno troppo distratta dagli svaghi e dai precoci compiti politici, che svolse sempre con disinvoltura e grazia: fu molto lodato il discorso latino che tenne a Mantova nel 1459 alla presenza del papa Pio II, durante la dieta per la crociata. Sebbene non si debba eccedere nel celebrare l’eloquenza e la qualità degli scritti d’occasione dei due giovani Sforza, si può tuttavia affermare che il progetto educativo e formativo ebbe una buona riuscita.
La giovinezza milanese fu probabilmente la stagione più felice della sua esistenza. Dopo le nozze celebrate a Milano per procura il 16 maggio 1465, nel corso dell’estate la giovane Sforza intraprese il viaggio verso Napoli, incontrando subito una difficile situazione politica. La notizia appena giunta dell’esecuzione del conte Iacopo Piccinino da parte di re Ferrante fermò il corteo e rischiò di mandare a monte le nozze. Il viaggio proseguì poi con soste, incontri e solenni ricevimenti, fino all’arrivo a Napoli il 14 settembre. Ippolita era accompagnata da donne e uomini della sua corte, compreso l’ex precettore Martorelli: quasi tutti si trattennero alla corte aragonese, alleviandole il distacco da Milano. Portava con sé abiti sfarzosi, splendidi gioielli della dote e libri, alcuni dei quali magnificamente miniati, che incrementò con altri acquisti nelle città attraversate.
A Napoli la residenza di Ippolita e di Alfonso, ora duca di Calabria ed erede al trono, fu stabilita nel Castello Capuano, una reggia appositamente ingrandita e abbellita da nuovi giardini.
Un ritorno a Milano nel 1468 lascia una traccia documentaria importante. Ippolita era molto legata alla madre, che in quei mesi era in rotta con il figlio duca e ascoltava i consigli non disinteressati di re Ferrante. Galeazzo Maria Sforza, pur rinnovandole l’affetto della comune infanzia, era irritato per la sua vicinanza a Bianca Maria, ma provava anche sentimenti ambivalenti di fronte alla bellezza e all’eleganza pienamente sbocciate della sorella. Per questo, fatta continuamente bersaglio di parole pungenti, ella decise di anticipare il rientro a Napoli.
Tornata nel Regno, la duchessa di Calabria si trovò a fronteggiare nuove frustrazioni e ansie, di cui scriveva nelle sue frequenti lettere alla madre, al fratello e agli amici milanesi. Da un lato era afflitta e delusa per i comportamenti del giovane marito, incline a divertimenti e tradimenti, dall’altro assillata dalla scarsità del denaro a sua disposizione. Seguendo l’esempio materno, in un’epoca in cui una principessa manifestava il proprio potere principalmente attraverso la pratica del patronage e del mecenatismo, Ippolita avrebbe voluto circondarsi di una corte magnificente, ma ne era in effetti impedita dalle troppo scarse risorse. Re Ferrante apprezzava la nuora, dotata di qualità relazionali che rendevano più vivace la corte napoletana, ma non intendeva lasciare troppo spazio alla coppia dei due principi.
Con il tempo Alfonso diventò un ottimo comandante di milizie e Ippolita ottenne a corte un ruolo riconosciuto e apprezzato, ma sempre limitato dalle ristrettezze, o per meglio dire dallo scarto tra il budget consentitole e le sue spese, che persino il suo entourage giudicava eccessive. Fu spesso costretta a vendere e a impegnare gioielli, e più di una volta fu sostenuta da doni del fratello e da prestiti del Banco Medici di Firenze. Le relazioni con il marito, già guastate da tradimenti che assumevano immediatamente una valenza politica e davano da fare agli ambasciatori, furono per lei motivo di costante insoddisfazione. Svolse comunque nel migliore dei modi il suo compito dinastico dando alla luce nel giugno del 1467 l’erede al trono Ferrandino (il futuro re Ferdinando II) e nel 1470 Isabella, che fin dalla prima infanzia fu promessa in sposa al cugino Gian Galeazzo Sforza, destinato alla successione nel Ducato di Milano. Un altro figlio, Pietro, nacque nel 1472.
A partire dal 1469 Ippolita si trovò nel bel mezzo di una lunga crisi di rapporti tra Milano e Napoli, coinvolta anche personalmente nel conflitto tra il fratello duca e il suocero Ferrante, il quale ambiva a un ruolo egemonico nel contesto della diplomazia peninsulare dopo il tramonto della Lega italica. Le lettere della Sforza (insieme a quelle degli ambasciatori milanesi a Napoli) rivelano la dolorosa scissione tra la fedeltà alla casa di origine e la posizione che rivestiva alla corte napoletana, come madre del futuro sovrano. Spesso frustrata nel tentativo di fare da mediatrice tra i due potentati, dovette più volte sopportare le scenate del collerico Ferrante, mentre Alfonso era spesso assente da Napoli per attendere alle imprese militari.
Fu solo negli ultimi anni che Sforza, più matura e sicura di sé, riuscì a ritagliarsi un ruolo personale nel panorama diplomatico italiano e a valorizzare la sua posizione di medietà tra Milano e Napoli. Le sue numerose lettere (dal 1475 scritte da un segretario di qualità come Giovanni Pontano, anche se è giusto accreditare a lei contenuto e toni) sono testimonianza di queste novità. Nel 1479-80 Lorenzo de’ Medici andò a Napoli nel tentativo di porre fine alla crisi politica e militare seguita alla congiura dei Pazzi: in questa occasione, trovò nella duchessa una preziosa interlocutrice. Facendo da tramite tra Ferrante e gli ambasciatori milanesi, Ippolita sostenne il progetto pacificatore di Lorenzo, con il quale consolidò anche una gratificante amicizia, e alla fine fu la sua firma, in veste di procuratrice di Medici, a siglare il trattato concluso. Nel 1482 si accinse a intraprendere, con l’assenso di Ferrante, un viaggio a Milano per cercare di riconciliare il fratello Ludovico Maria, detto il Moro, e il condottiero Roberto Sanseverino, ma la missione fu fermata dal Moro, poco disposto a una mediazione che vedeva più che altro come un’interferenza napoletana. Nel 1484, durante le trattative di pace in corso a Bagnolo, non ebbe successo il suo tentativo di coinvolgere di nuovo Lorenzo per accelerare l’invio a Milano della figlia Isabella: anche questo progetto incontrò l’ostilità del Moro. In conclusione, le iniziative diplomatiche di Ippolita (supportate dal costante consiglio di Diomede Carafa, conte di Maddaloni) da un lato attestano la sua consapevolezza del gioco diplomatico e un’indubbia passione per le cose politiche, dall’altro ebbero un’incidenza limitata.
Più che la politica, fu il patronage, come per altre nobildonne e regnanti, il suo campo di azione più congeniale: ma più di una volta fu costretta a vendere o a dare in pegno i pregiati gioielli dotali, che nel 1480 lo stesso re Ferrante impegnò per difendere il regno e le coste pugliesi dai turchi. Nemmeno erano alla portata della duchessa i viaggi lussuosi della sua giovinezza milanese: frequentava però le terme di Pozzuoli, accompagnata da dame e gentiluomini, e varie località vicine alla capitale. Nel 1474 era riuscita tuttavia a organizzare, con grandi preparativi, un viaggio all’Aquila, con intenti sia devozionali sia politici.
La religiosità della principessa era maturata negli anni milanesi, quando con la madre aveva visitato il Sacro Monte di Varese e vari monasteri, ed era diventata devota di Vincenzo Ferrer, di Caterina Vigri, appena canonizzata (visitò il suo sepolcro a Bologna durante il viaggio nuziale), e soprattutto di Bernardino da Siena, il cui corpo nel 1472 era stato solennemente trasferito nella nuova chiesa degli Osservanti dell’Aquila. Anche a Napoli Ippolita frequentò gli ambienti dell’Osservanza e nel 1474 riuscì a realizzare il desiderio di visitare la tomba di Bernardino. In compagnia di Alfonso, che poi si sarebbe diretto a Loreto, ma accompagnata da molti cortigiani e da un corteggio di mille ‘bocche’ e più di ottocento cavalli, la principessa sfilò per le impervie strade del reame esibendo non solo la sua devozione ma anche la magnificenza della corte napoletana. Lo sfarzo avrebbe potuto essere maggiore, ma Ferrante si oppose a molti desideri di Ippolita e le ridusse cavalli, portantine e argenterie. Le attitudini sfarzose e dispendiose erano una tradizione di Casa Sforza, ma ancora una volta rimasero fuori portata per la duchessa di Calabria.
La figura di Ippolita e il suo costante interesse per i libri e per gli studi hanno attirato l’attenzione dei primi biografi e poi degli studiosi della cultura, dell’educazione e dell’epistolarità. Fin da adolescente le furono dedicate molte opere, tra le quali il Libro dell’arte della danza da Antonio da Cornazzano, una grammatica greca da Lascaris e la prima edizione del Novellino di Masuccio Salernitano. Dopo aver dato buone prove nelle esercitazioni scolastiche e nelle operette d’occasione, fu sempre un’assidua lettrice, e le sue lettere, pubbliche e private, oggi reperibili in vari archivi, siglate prima da Martorelli e poi da Pontano, sono state oggetto di vari studi.
Ma più che un’intellettuale, Ippolita fu una principessa colta e sensibile, capace di mettere a frutto l’educazione ricevuta, finalizzata più alla pratica politica che alla cultura letteraria. Spesso limitata dalle circostanze e dalla volontà altrui, solo negli ultimi anni poté mettere alla prova le sue qualità politiche.
Morì il 19 agosto 1488, poco più che quarantenne. Non fu mai regina: Ferrante era saldamente sul trono, e Alfonso tenne il titolo regio per pochissimo tempo, abdicando subito dopo.
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