DESIDERI, Ippolito
Nacque a Pistoia il 20 dic. 1684 da Iacopo e da Maria Maddalena Cappellini, in una famiglia patrizia del luogo. Il 9 maggio 1700 entrò nella Compagnia di Gesù a Roma e quasi certamente compì i suoi studi nel Collegio Romano, ove si trovava quando, il 14 ag. 1712, scrisse una lettera (edita in appendice allo Sñiṅpo, 1982, p. 271) al generale della Compagnia, Michelangelo Tamburini, chiedendo di partire per le Indie orientali. Esaudito subito tale suo desiderio, egli venne destinato al Tibet e il 27 settembre, dopo aver ricevuto gli ordini sacri, lasciò Roma. Il 7 apr. 1713 si imbarcò a Lisbona; arrivato a Goa il 27 settembre e attraversato Daman, Surat, Delhi, alla fine di maggio 1714 giunse ad Agra, ove si accinse allo studio della lingua persiana. Ritornato a Delhi, il 24 settembre insieme con E. Freyre, suo superiore, partì per il Kashmir. Dopo aver atteso sei mesi per attraversare l'Himalaya, finalmente il 17 maggio 1715 si mise in viaggio per il Tibet con un interprete che lo iniziò alla lingua tibetana, e il 26 giugno arrivò a Leh, capitale del Ladakh. Accolto con grandi onori dal re e dal Gran Lama, il D. avrebbe voluto restare, ma il Freyre preferì far ritorno in India attraverso una via più facile di quella già percorsa che, come gli era stato riferito, attraversava un regno la cui capitale era Lhasa e, nonostante le obiezioni del D., decise di seguirla.
Partiti il 26 agosto, percorsero il Tibet per quasi tutta la sua lunghezza, per zone in gran parte deserte, in un viaggio durato tutta la stagione invernale, arrivando a Lhasa il 18 marzo 1716. Il Freyre ritornò subito in India, mentre il D. rimase a Lhasa da solo fino all'arrivo dei padri cappuccini (10 ott. 1716).
Caratteristica dell'impegno missionario del D. fu la convinzione della necessità di apprendere perfettamente la lingua del paese, di conoscere a fondo la religione locale e, contemporaneamente, di acquistare influenza a corte per ottenere la libertà di propagare il Vangelo: era il metodo propugnato, più di un secolo prima, dal padre A. Valignano e attuato in Cina dal p. Matteo Ricci e nel Tibet dal padre A. d'Andrade.
Il D. stesso narra (Petech, V, p. 113) che lo studio del tibetano fu la sua preoccupazione nei dieci mesi di viaggio dal Kashmir a Lhasa. Giunto a Lhasa, "giorno e notte mi applicai allo studio travagliatissimo di questa lingua" (Lettera al pontefice, 13 febbr. 1717). "È incredibile l'ardor che concepii di applicarmi con tutto lo sforzo ... a uno studio ben fondato di quella lingua. Per tal fine ... sin all'ultimo giorno della mia dimora in quel regno, presi questo tenore che continuai per lo spazio di quasi sei anni, cioè di studiar da mattina a sera, e per farlo più comodamente differivo il pranzo a notte, sostenendomi fra giorno ... col bever del cià (té) che manipolato a quell'usanza è di grand'alimento" (Petech, V, p. 188). Quanto allo studio della religione locale vi si applicò fin da principio: "Per tal fine mi posi di tutto proposito a leggere e scrutinare con ogni studio i libri principali di quella setta. Per tal fine da varie perite persone andavo indagando meglio l'origini, i riti ed opinioni di questa setta" (Lettera al pontefice, 13 febbr. 1717). I primi libri studiati dal D. furono la Vita e le Profezie di Padmasarpbhava. Questo studio gli diede una discreta conoscenza della religione popolare tibetana, tanto che tre mesi dopo il suo arrivo a Lhasa, "ne' mesi di giugno, luglio e agosto, per divertimento dalla continua applicazione allo studio della lingua, in alcune ore per ciaschedun giorno ero andato componendo in italiano due libretti. Nel primo confuto l'errore molto sparso che ognuno si possa salvare nella sua legge [religione] mostrando che il cammino della salute è uno solo e tutte l'altre vie sono di perdizione. Nel secondo confuto la trasmigrazione dei buoni. Agli 8 di settembre cominciai da me stesso a tradurre in questa lingua e per più allettativo ancora in versi Thibetani, il primo di detti miei due libretti". Nacquero così la prima opera in lingua tibetana, il T'oraṅs (L'Aurora) e il primo abbozzo dell'opera sulla metempsicosi.
Pochi giorni dopo l'arrivo a Lhasa, il reggente Llia bzaṅ Khan l'aveva fatto chiamare a palazzo e gli aveva fatto chiedere da un suo ministro d'onde venisse e i motivi del suo viaggio. Il D. dichiarò il suo intento di propagare la religione cattolica come l'unica vera e quindi l'unica in grado di portare l'uomo alla salvezza. Impressionato favorevolmente dalla franchezza e dalla forte personalità del D., il ministro ne parlò al reggente il quale volle conoscerlo. Nell'udienza avvenuta il 10 maggio 1716, questi pose al D. molte domande concernenti soprattutto la religione cristiana, gli raccomandò lo studio della lingua tibetana e gli disse di voler essere istruito nella sua religione insieme con la sua corte, esortandolo a mettere per iscritto le sue "istruzioni" (Petech, V, p. 105). Da quel giorno le visite del D. a palazzo divennero frequenti e l'ammirazione del reggente per lui sempre più profonda. Fu così che il D. gli dedicò la sua prima opera (una specie di introduzione al cristianesimo: cfr. ibid., p. 83), presentandogliela nel corso di una memorabile udienza il 6 genn. 1717.
Nel marzo 1717 il reggente, fatto chiamare il D., gli disse di aver letto e meditato il suo libro, di averlo fatto leggere ed esaminare da vari lama e dottori: "Il parer di tutti esser questo che gli assiomi e principij in esso contenuti son ben proposti e non lasciano d'appagar la ragione; esser però molto opposti a' lor dogmi e opinioni". Dovendosi ben pesare da una e dall'altra parte le ragioni, prima di prendere una risoluzione, il reggente disse di aver stabilito che si facessero dispute fra il D. e i lama. Lo consigliò quindi di ritirarsi in una lamaseria, ove avrebbe avuto a sua disposizione i libri necessari. Il D. entrò pertanto in una lamaseria posta vicino al palazzo reale ove rimase dal 25marzo alla fine di luglio, studiandovi i libri del bKa 'gyur (Raccolta dei libri sacri del canone buddhista), e quasi ogni giorno aveva conversazioni con i lama-dottori. Scrisse anche un dizionario dei termini propri della religione e scientifici. È giunto a noi uno "Zibaldone di brani ricopiati da libri", in cui una trentina di fogli riportano brani copiati da tredici opere del bKa 'gyur. È certamente di questo periodo anche l'opera Essenza della dottrina cristiana, divisa in due parti: nella prima viene confutato il fenomenismo universale buddhista; nella seconda parte vengono esposti i dogmi della religione cristiana.
Ben presto però il D. sentì il bisogno di un ambiente di studio più elevato, e ai primi di agosto dello stesso anno 1717 si portò nella lamaseria-università di Sera dove per tutto il mese continuò lo studio delle opere dal bKa 'gyur; quindi, per otto mesi, si immerse nello studio dei libri raccolti nel bsTan 'gyur e soprattutto i trattati sulla vacuità (sanscrito śūnyatā, tibetano stoṅ pa ñid). Da solo, non avendo trovato nessun lama in grado di dargli spiegazioni, riuscì "con ammirazione di quei dottori non solo a capir quelle intricatissime questioni, ma anche a possederle perfettamente e a saperle altrui spiegare, come se ne fussi maestro" (Petech, V, p. 200).
Il 1717 fu un anno fecondissimo pel D., non solo per la raccolta di materiale, ma anche per la stesura di alcune opere.
Un'operetta in sei fogli datata 1º luglio 117, che potrebbe intitolarsi Esercitazioni di logica, tratta dell'uso della logica nelle dispute, al fine di individuare subito il punto debole di un ragionamento dell'avversario. Porta la data del 28 nov. 1717 il primo foglio di un'opera di filosofia intitolata L'origine degli esseri viventi, delle cose... Essa è divisa in due parti. Nella prima dimostra l'esigenza che esista una causa prima, origine di tutti gli esseri viventi e di tutte le cose, causata da se stessa, senza inizio e senza fine, la cui caratteristica è l'indipendenza. La seconda parte è un vero trattato sull'interdipendenza, cioè sul vuoto di tutte le cose. Partendo da questo vuoto (śūnyatā), il D. dimostra che se nulla nella sfera dell'esistente ha in sé la ragione della propria esistenza, si deve riconoscere l'esistenza di un Assoluto, ragione di essere delle cose. L'opera termina con la data 21 giugno 1718. Datato 8dic. 1717è l'inizio di un'altra opera sulla trasmigrazione delle vite, una delle tre scritte dal D. sullo stesso argomento in lingua tibetana. Vi si parla dell'avidyā (l'ignoranza), dei dodici nidana (pratītyasamuntpāda), dei quattro tipi di nascita (ex utero, ex ovo, ex putri, ex apparitione), delle rinascite buone (dei semidei, uomini) e cattive (lemuri, animali, dannati). Il D. tratta poi del karma ed esclude che possa esser causa di esseri viventi. L'esistenza delle cose esige una Causa prima, perché non è possibile che vengano dall'eternità a parte ante.
Nel 1717 il Tibet fu invaso dagli Zurigari che nella notte fra il 30 novembre e il 1º dicembre s'impadronirono di Lhasa, uccidendo il 3 dicembre il reggente. Il D. non ebbe a subire danni, ma essendo stato favorito dal reggente, per prudenza lasciò Lhasa ritirandosi nell'ospizio dei cappuccini situato nel Dvags po, ove rimase, eccetto qualche visita a Lhasa, fino al 1721, lavorando intensamente: finì l'opera L'origine degli esseri viventi, delle cose ecc., scrisse un'opera sul Fine ultimo e portò quasi a termine la grande opera sulla "trasmigrazione delle vite".
Il Fine ultimo, giuntoci purtroppo mutilo, sviluppa tre grandi temi. Il primo è che lo scopo finale dell'uomo, non può essere né Buddha, né il dharma, né il sangha ma solo l'Assoluto. Il secondo tema verte sull'esistenza dell'Assoluto. Il terzo tema riprende e sviluppa la tesi a lui cara che la dottrina della śūnyatā è vera e porta necessariamente ed inevitabilmente all'affermazione dell'esistenza dell'Assoluto, unico degno "luogo di rifugio" degli uomini ed unico loro degno "scopo finale". L'opera termina con una discussione sul Rarma.
La grande opera sulla metempsicosi, il capolavoro del D., inizia con un inno al Signore cui fanno seguito un inno all'opera divina della redenzione, un inno in onore del Tibet, dei suoi saggi e del suo popolo e la dedica al reggente Lha bzaṅ Khan ed è concepita secondo lo stile letterario tibetano, alternando brani filosofici e composizioni poetiche.
Nel frattempo a Roma la congregazione di Propaganda Fide decideva di affidare la missione del Tibet ai cappuccini. Il generale dei gesuiti richiamò quindi il D., che subito partì da Lhasa il 21 apr. 1721. Ritornato in India, lavorò dal 1722 al 1725a Delhi; nel 1726 era a Karmatak e il 21 genn. 1727si imbarcò a Pondichéry per l'Europa. Arrivato a Roma il 23 genn. 1728, si pose subito con entusiasmo a difendere i diritti della Compagnia di Gesù sul Tibet, mediante tre Difese, notevoli "esempi di eloquenza forense e di raziocinio giuridico" (Petech, V, p. XVIII). Intanto si dedicò alla stesura della sua relazione (Notizie storiche del Tibet e memorie de' viaggi e missione ivi fatta dalp. Ippolito Desideri della Compagnia di Gesù dal medesimo scritte e dedicate).
Per quest'opera il D. può essere considerato uno dei più grandi tibetanologi (cfr. i giudizi in questo senso di Petech, e di G. Tucci, Italia e Oriente, p. 204), in quanto, padrone della lingua, senza aiuto di grammatica e di dizionari, riuscì a penetrare nei segreti più reconditi e più astrusi della filosofia mahayanica, trasportata dall'India nel Tibet. Il D. è stato definito anche il più grande geografo del Tibet (S. Hedin, Southern Tibet, III, p. 13). Inoltre, per la invasione degli Zungari e la conseguente occupazione cinese, il D. è fonte di primissimo ordine, più chiara e fedele alla verità storica che non le cronache tibetane e gli aridi documenti cinesi (Petech, V, p. XXVII).
Il D. intendeva dare alle stampe la sua relazione, ma questa rimase inedita per cause non note. Nel frattempo, il 29 nov. 1732, la congregazione de Propaganda Fide dava il suo giudizio definitivo a favore dell'affidamento della missione del Tibet ai cappuccini. Per il D. ciò "fu il crollo definitivo dell'opera di tutta la sua vita". Il 14 apr. 1733 morì a Roma nel Collegio Romano.
Opere: Gli scritti del D. rimasero a lungo inediti, se si eccettuano la Lettera alp. Ildebrando Grassi (Lhasa, 10 apr. 1716), in Lettres édifiantes et curieuses, XV, Paris 1722, pp. 183-209, e la Lettera ad ignoto (Lhasa, 13 febbr. 1717), in Bibliotheca Pistoriensis, a cura di F. A. Zaccaria, I, Torino 1752, pp. 185 s., e poche altre lettere pubblicate nei primi decenni del nostro secolo. Le prime edizioni delle sue opere risalgono agli anni 1954-56, nella collana "Il nuovo Ramusio. Raccolta di viaggi, testi e documenti relativi ai rapporti fra l'Europa e l'Oriente", promossa dall'Ist. italiano per il medio ed estremo oriente. Nel secondo volume di questa, Imissionari italiani nel Tibet e nel Nepal, curato da L. Petech, sono dedicati al D. i tomi V-VII. Il tomo V (Roma 1954), oltre a un'introduzione del Petech preziosa per ricostruire la biografia del D., contiene ventiquattro lettere, la Citazione ai padri cappuccini, il riassunto delle tre difese e il libro I della relazione; il tomo VI (ibid. 1955) comprende il II e il III libro della relazione; il tomo VII presenta il IV libro della relazione, il Breve e succinto ragguaglio del viaggio alle Indie Orientali, l'Aggiunta di una breve ricapitolazione di ciò che appartiene ai sopra riferiti viaggi e alcuni più importanti sentimenti dell'autore intorno alle missioni dell'India e Ilmanuale missionario. Più recentemente sono state pubblicate, a cura di G. Toscano, alcune opere in lingua tibetana: T'o raṅs (L'Aurora), Roma 1981; Sñṅ po (Essenza della dottrina cristiana), ibid. 1982; in preparazione è il volume Byun K'uṅs (L'origine degli esseri viventi, delle cose ...). Numerosi scritti inediti del D. sono conservati nell'Archivum Romanum Societatis Iesu: Goa 73, f. 153 rv: Explicatio libri, Thibetensi idiomate conscripti, in confutationem Pithagoricae sententiae de Transmigratione animarum juxta Thibetanorum systema; Ibid., ff. 155-163: diario spese (in lingua portoghese); Ibid., ff. 248-253: lettere varie; Ibid., ff. 285-308: abbozzo di un'opera sulla trasmigrazione delle anime (in lingua italiana); Goa 74 (fogli non numerati): Nes legs (Il fine ultimo; ms. di ventiquattro fogli); scritto sulla metempsicosi (dodici fogli in lingua tibetana); esercitazioni di logica (sei pagine in lingua tibetana); preghiere cristiane (due fogli in lingua tibetana); Goa 75: Skye ba sṅa ma (trattato sulla trasmigrazione delle vite, duecentotrentadue fogli in lingua tibetana); Goa 76a, ff. 2-24: abbozzi di varie opere (in lingua tibetana); ff. 261-308: materiale servito per la stesura dell'opera Toraṅs.
Risultano perdute le seguenti opere: Dizionario dei termini religiosi e filosofici; Grammatica della lingua tibetana; traduzione italiana del Lam rim c'en mo (Igradi del cammino) di Tsoṅ K'a pa; Trattato sul "vuoto" (śūnyatā), che forse è stato inserito nell'opera Origine degli esseri viventi..., la cui seconda parte è tutta dedicata alla dottrina del "vuoto".
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