GALANTINI, Ippolito
Nacque a Firenze il 14 ott. 1565 da Filippo, tessitore di seta, e da Maria Ginevra Zufoli. Dal quartiere d'Oltrarno, dove era nato, presto si trasferì con i genitori e i cinque fratelli nella parrocchia di S. Lucia sul Prato nel quartiere di S. Maria Novella, punto di riferimento privilegiato per la sua futura attività di catechista laico. L'humus spirituale dei tempi e dei luoghi, che segnarono la formazione religiosa del G., fu particolarmente fervido e favorevole al suo apostolato, pur riservandogli non poche avversità. Fin dai tempi dell'arcivescovo Antonino Pierozzi, nell'ambito di un'azione pastorale capillare, erano state promosse a Firenze alcune compagnie di fanciulli dove si insegnava la dottrina cristiana; sempre molto forte fu nel corso del tempo, all'insegna di un'antica tradizione, il coinvolgimento dei laici nella vita religiosa in seno alle confraternite e alle stesse parrocchie cittadine.
Sia il padre sia gli zii del G. presero, infatti, parte attiva nella difesa dei propri diritti, reclamando come parrocchiani di S. Lucia una più corretta amministrazione del culto. Alcune fonti coeve ben testimoniano la vivacità di questo ambiente fatto di piccoli artigiani che saranno, insieme con la maggioranza della popolazione fiorentina, duramente provati dalle carestie alimentari del 1574 e del 1578. Se povertà e duro lavoro segnarono anche l'infanzia del G., dal racconto del suo primo biografo, Dioniso Baldocci Nigetti, ne sono messe in luce le doti di intraprendenza e grande memoria al punto che, mentre si divertiva a costruire piccoli altari, era in grado di istruire i coetanei con le parole udite alle prediche quasi fosse un novello s. Bernardino da Siena. Quello della precoce devozione manifestata dal G. perfino nel gioco costituiva un topos della letteratura agiografica tridentina e, forse non a caso, sembrava trarre lo spunto da un esempio vicino e significativo rappresentato dall'esperienza giovanile dell'arcivescovo di Firenze, Alessandro de' Medici, ricordato da un anonimo biografo mentre fabbricava altarini (Roma, Biblioteca Casanatense, Mss., 4201: Vita del cardinale di Firenze che fu papa Leone XI, insino al tempo che fu mandato in Francia da Clemente VIII); modello di zelante pastore e attivo diplomatico, il Medici, futuro papa Leone XI, avrebbe, infatti, con impegno personale sostenuto l'insegnamento della dottrina cristiana a Firenze e in particolare l'opera svolta in questa direzione dal Galantini. Il padre di quest'ultimo, sempre a detta del Baldocci Nigetti, ostacolò, in un primo momento, la sua vocazione religiosa e il suo desiderio di leggere libri spirituali nelle pause del lavoro di tessitura; un altro elemento, anche questo, che serviva a porre in primo piano un tema ricorrente nella letteratura agiografica.
All'età di sei-sette anni il G. cominciò a frequentare la scuola festiva della dottrina tenuta dalla Compagnia di Gesù nel collegio di S. Giovannino di Firenze fondato a metà Cinquecento, al tempo dell'arcivescovo Antonio Altoviti; fu qui che, molto probabilmente tra il 1577 e il 1579, ebbe modo di incontrarsi con Luigi Gonzaga e Caterina de' Pazzi che fu poi suor Maria Maddalena. Invano, però, il G. riuscì a farsi accettare in un ordine religioso a causa del suo debole stato di salute, sebbene non desistesse dal tentare comunque una strada di apostolato attivo, mantenendosi sempre nello stato laicale. A un laico, del resto, Jacopo Ansaldi, il neo arcivescovo di Firenze Alessandro de' Medici aveva dato l'incarico di introdurre l'insegnamento della dottrina nelle compagnie di Firenze. Fu così che nel 1584 lo stesso Ansaldi propose il G. come "maestro generale" delle scuole della dottrina nella chiesa di S. Lucia sul Prato, finché nel gennaio del 1599 fu chiamato dal cardinal de' Medici a succedere all'Ansaldi come capo e governatore di tutte le compagnie della dottrina cristiana esistenti a Firenze. Il successo fu immediato e il concorso di pubblico così numeroso che il G. fu spesso costretto a cambiare sede perseguitato da invidie e malcontenti suscitati dalla sua capacità di "sermoneggiare", pur non essendo uomo di cultura, e dalla sua schiettezza nel riprendere pubblicamente peccati e vizi di chiunque, senza aver riguardo per alcuni dei personaggi più in vista della città. Dalle deposizioni rilasciate da alcuni testimoni al processo di beatificazione, istruito subito dopo la sua morte, si viene a conoscenza che il modo di predicare del G. aveva suscitato sospetti - poi rientrati - di poca ortodossia, tanto da essere denunciato all'inquisitore.
Fin da queste prime esperienze emergono due dati importanti: mentre a Milano e a Roma le scuole della dottrina cristiana erano affidate al clero, a Firenze si persisteva nel coinvolgere i laici, vuoi per un'antica consuetudine che affondava le sue radici nel sec. XV, vuoi per l'assenza a Firenze di un seminario diocesano in grado di allevare un clero secolare più numeroso e preparato; d'altro lato l'azione del G. si trovò a raccogliere tradizione e innovazione, introducendo nel metodo di insegnamento della dottrina per i fanciulli il canto, la recita a memoria delle lezioni, il gioco, e favorendo la frequenza del sacramento eucaristico insieme alle principali orazioni. Ricalcava così in gran parte sia l'eredità del modello domenicano diffuso da s. Antonino e dal Savonarola, sia quello appreso nelle scuole della Compagnia di Gesù e in particolare dalla diffusione fatta a cura dell'Ansaldi delle opere di catechesi del gesuita spagnolo Giacomo Ledesma.
In attesa di trovare una stabile collocazione alla sua Congregazione il G. perseverava nelle pratiche ascetiche fatte di digiuni e severe mortificazioni corporali, preghiera assidua, visioni ed esperienze mistiche, finché nel 1601 ottenne dal vescovo di Fiesole, Alessandro Marzi Medici, di prendere in affitto un oratorio tutto coperto "di pitture di Morte e de' misteri della passione di nostro Signore" per potersi qui isolare in raccoglimento.
Oltre alla direzione spirituale dei gesuiti, cui si affidò fino al 1611, il G. sentì molto forte l'influenza della spiritualità francescana e la devozione all'umanità del Cristo sofferente sulla Croce testimoniata, negli ultimi anni del Cinquecento, dalla sua amicizia col celebre predicatore francescano Bartolomeo Cambi da Salutio. Degna compagnia di questa esigenza ascetico-mistica furono i libri raccolti dal G., in due casse lasciate alla sua morte quale unica sua ricchezza. Degli ottocento libri tuttora conservati presso la Biblioteca della Congregazione fondata dal G., almeno cinquantotto gli appartennero, come si può desumere dall'ex libris stampigliato sul frontespizio; numerose sono le postille ritenute autografe del G. e identificate su dodici esemplari. In ordine decrescente i testi di questa biblioteca personale del beato, raro esempio nel suo genere, sono per lo più di contenuto ascetico, di preghiera e meditazione, prediche e omelie, questioni dottrinali, manuali di pratica di confessione e comunione; mancano stranamente opere propriamente catechistiche, mentre la letteratura agiografica è rappresentata soltanto da un anonimo Specchio d'essempi, edito a Venezia nel 1592. È significativo che il G. abbia lasciato il maggior numero di postille in margine all'opera mistica del Trattato dell'amore di Dio dell'agostiniano Cristobal de Fonseca (Brescia 1602) e alle Prediche di Luis de Granada (Venezia 1580). L'interesse per la vita contemplativa e monastica non si era, forse, del tutto spento nel laico G., tanto che tra i suoi libri compare anche un testo specifico come la Scala de' religiosi, traduzione volgare fatta nel Quattrocento dal vescovo di Ferrara, il beato Giovanni Tavelli da Tossignano, dell'opera di s. Lorenzo Giustiniani, De disciplina et perfectione monasticae conversationis e per la prima volta messa in luce a Pavia nel 1591 da Paolo Morigia gesuato.
Nella domenica di Pentecoste del 1604 veniva finalmente inaugurata la nuova sede della Congregazione di S. Francesco della Dottrina cristiana, posta in via Palazzuolo, dove tuttora si trova, non essendo tra quelle confraternite e compagnie laicali soppresse nel Settecento dal granduca Pietro Leopoldo prima e dal governo napoleonico dopo. Conosciuta anche come Congregazione dei "vanchetoni", dal procedere in silenzio dei confratelli, o anche dei "bacchettoni", dall'usanza di fustigarsi nelle processioni, fu riconosciuta ufficialmente dall'arcivescovo di Firenze Alessandro Marzi Medici il 20 apr. 1607, giorno in cui furono approvate le costituzioni e regole suddivise in trentaquattro capitoli; la carica principale di guardiano fu ricoperta dal G. e quella di correttore spirituale affidata a uno dei padri minori osservanti della vicina chiesa di S. Salvatore in Ognissanti. Per l'insegnamento della dottrina rivolto a bambini, ragazzi e adulti maschi erano previsti ventitré maestri e sedici classi, tra le quali era compresa addirittura una classe di "venturieri" per i ragazzi venuti "di fuora". Un'organizzazione capillare, dunque, che prevedeva anche sei "scuole di noviziato", l'iniziativa forse più originale voluta dal G. per la formazione spirituale dei membri della Congregazione, in particolare dei maestri della dottrina, e della quale resta il corpo di venti lezioni manoscritte lasciate dallo stesso G. e pubblicate postume come Esercizi delle scuole di spirito della Congregazione della Dottrina cristiana di Firenze (Roma 1831). Le sei scuole erano strutturate in modo graduale per condurre il buon cristiano a un cammino di perfezione secondo uno schema ormai collaudato e in molti punti ispirato agli Esercizi di s. Ignazio di Loyola, così come base per l'insegnamento della dottrina fu adottato il catechismo di Roberto Bellarmino. L'altro documento lasciato dal G. sono gli Avvertimenti spirituali indirizzati ai fratelli della Congregazione, che furono stampati una prima volta dal Baldocci Nigetti nella Vita e poi in un unico grande foglio a Firenze nel 1655 dalla stamperia di G.A. Bonardi alla scala di Badia.
Particolarmente intensa fu l'azione del G. anche fuori dei confini della sua città: iniziative analoghe alla sua si svilupparono a Volterra, Prato, Pistoia, Perugia e soprattutto a Lucca e a Modena, dove furono istruiti due processi di canonizzazione. Ancora vivente il G. era circondato da fama di santità - legata soprattutto alle sue capacità taumaturgiche sviluppate dalla profonda propensione per le opere di misericordia volte all'assistenza dei malati - che aveva favorito e reso più significativa la sua amicizia con Camillo De Lellis; le numerose conversioni e guarigioni operate furono, tuttavia, offuscate, anche dopo la morte, da accuse e persecuzioni di laici e religiosi, e tra questi di Vincenzo Puccini, confessore e biografo di Maria Maddalena de' Pazzi, che invano tentarono di metterlo in discredito presso il granduca Cosimo II, le autorità ecclesiastiche cittadine e lo stesso papa Paolo V. Il 10 nov. 1619, quattro mesi prima di morire, il G. dettò un testamento, nel quale dopo aver ricordato e raccomandato a Dio i suoi benefattori e lasciato in eredità al nipote, il sacerdote Niccolò Tozzi, il "grano" della beata Giovanna della Croce, si preoccupava del futuro della sua Congregazione per cui ritenne opportuno aggiungere alle prime costituzioni alcune regole per l'elezione del guardiano, figura chiave di tutta l'organizzazione concepita dal suo fondatore come una "monarchia", fatto singolare nel panorama della consuetudine confraternale fiorentina.
Dopo una malattia durata quattro mesi il G. morì a Firenze il 20 marzo 1620 (1619 secondo lo stile fiorentino).
Quasi subito, a richiesta dei confratelli e della famiglia Medici, fu aperto il processo informativo per la sua canonizzazione, di cui furono protagonisti decine di personaggi fiorentini e non, prelati, nobili, umili artigiani, laici e religiosi. L'iter per la sua beatificazione fu peraltro lunghissimo e interrotto da varie cause, tra cui i nuovi decreti in materia di santità emanati da Urbano VIII e forse soprattutto dalle difficoltà incontrate dagli stessi confratelli nel sostenere davanti alla congregazione dei Riti la canonizzazione di una figura di provato carisma, ma per molti versi ritenuta scomoda. La causa del G. fu ripresa nel clima del rigorismo giansenista dal fiorentino mons. Giovanni Bottari dopo essere stata sepolta per un secolo; il 13 dic. 1756 fu emanato il decreto di venerabilità e il 31 maggio dell'anno giubilare 1825 il breve della beatificazione.
Fonti e Bibl.: Molte fonti inedite, originali e in copia, compresi i libri dei capitoli e le istruzioni del G. per le scuole del noviziato, nonché i carteggi dei confratelli da Roma che documentano l'andamento del processo di beatificazione, escluso il materiale perduto nell'alluvione del 1966 relativo agli elenchi completi dei confratelli e all'attività successiva della Congregazione, sono conservati a Firenze nell'Archivio della Congregazione della Dottrina cristiana in via Palazzuolo, sede anche della biblioteca spirituale lasciata dal G. e arricchita negli anni dai suoi successori; si veda inoltre Fiesole, Archivio vescovile, sez. XIV, II.A.5., Processus originalis in causa beatificationis servi Dei Hippoliti G. delegata domino Roberto Strozzi episc. Faesulano (1657); Firenze, Archivio arcivescovile, Processo informativo sopra la vita e santità del servo di Dio I. G. (1620-1622); Florentina beatificationis ac canonizationis Hippoliti G. laici Florentini processus… originalis (in tre parti: 1623-27); Arch. di Stato di Firenze, Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo, Compagnia del Ss. Sacramento in S. Lucia sul Prato, n. 1769, f. 2: Capitoli e ricordi; Firenze, Biblioteca Riccardiana-Moreniana, Mss. Moren., 137: Memorie del b. I. G. messe insieme dai fratelli della Dottrina cristiana; ibid., 200.II: Miscellanea fiorentina raccolta da Filippo Baldinucci, I, cc. 186r-193v; ibid., 334: D.M. Manni, Vita del b. I. G.
D. Baldocci Nigetti, Vita del b.… Hippolito G. fiorentino…, Roma 1623 (cui seguirono altre edizioni a Roma e a Firenze nel 1625, a Roma nel 1657 e ivi nel 1721); [Sacra Rituum Congregatio], Florentina beatificationis ac canonizationis ven. servi Dei Hyppoliti G.… Summarium super dubio, s.n.t. [1748]; Id., Idem, Informatio super dubio, s.n.t. [1748]; G. Bottari, Compendio della vita del ven. servo di Dio I. G.…, Roma 1757; M. Lastri, L'Osservatore fiorentino sugli edifizj della sua patria, Firenze 1821, III, p. 179; F. Sorgenti, Vita del b. I. G.…, Roma 1825; D.A. Marsella, De b. Hyppolito Galantinio… commentarius, Roma 1826; D. Morosi, Compendio della vita del b. I. G., Firenze 1914 e 1938; D. Del Campana, L'apostolo di Firenze. Il b. I. G., Firenze 1938; N. Del Re, G. I., in Bibliotheca sanctorum, V, coll. 1355-1356; R. Aubert, G. I., in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XIX, col. 709; P. Brezzi, G. I. beato, in Enc. cattolica, V, p. 1855; A. Tamborini, La compagnia e le scuole della Dottrina cristiana, Milano 1939, pp. 292-294; E. Sanesi, L'insegnamento della dottrina cristiana a Firenze da s. Antonino al b. I. G., in Boll. dell'arcidiocesi di Firenze, XXXII (1940), pp. 9-28; D. Del Campana, La biblioteca ascetica del b. I. G. († 1619) terziario francescano, in Studi francescani, s. 3, XVIII (1946), pp. 66-78; L. Csonka, Storia della catechesi, Educare. Sommario di scienze pedagogiche, a cura di P. Braido, Zürich 1964, III, p. 115; A. D'Addario, Aspetti della Controriforma a Firenze, Roma 1972, pp. 45-47, 298-301; G. Picchietti, Studi e ricerche sul b. I. G. Dalla fama di santità alla santità canonizzata, tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1977-78; A. D'Addario, Testimonianze archivistiche, cronistiche e bibliografiche, in La comunità cristiana fiorentina e toscana nella dialettica religiosa del Cinquecento, Firenze 1980, pp. 120-129; G. Aranci, Formazione religiosa e santità laicale a Firenze tra Cinque e Seicento. I. G.…, Firenze 1997.