OBIZZI, Ippolito
OBIZZI, Ippolito. – Nacque a Ferrara nella seconda metà del sec. XVI, forse discendente del poeta Gaspare.
Studiò col medico Girolamo Brasavola ed ebbe modo di seguire le lezioni del filosofo Tommaso Giannini e dell’anatomista Ippolito Boschi, figure in seguito ricordate in alcune sue opere. Dopo il conseguimento della laurea, rimase a Ferrara per un numero di anni difficile da precisare. Presso lo Studio cittadino fu lettore dei semplici tra il 1593 e il 1596 e nuovamente nel biennio 1602-03. Prestò assistenza medica presso l’ospedale di S. Anna e ricoprì anche la carica di prefetto dell’orto botanico. Fu probabilmente tale incarico a porlo in contatto con il naturalista Ulisse Aldrovandi. Tra il luglio 1596 e il maggio 1598 è attestato uno scambio epistolare tra i due, di cui sono conservati degli estratti tra i manoscritti del naturalista bolognese. Da questi documenti veniamo a conoscenza di un soggiorno di Obizzi a Roma nel 1598.
La maggior parte delle notizie disponibili sulla vita di Obizzi sono ricavabili da quanto egli stesso riferisce nelle sue opere. La prima, il De nobilitate medici contra illius obtrectatores, uscì a Venezia presso Roberto Meietti nel 1605 e fu ristampata a Magonza nel 1619.
Dedicata al patriarca di Dalmazia Matteo Zane, l’opera è divisa in tre dialoghi che coinvolgono due personaggi di fantasia, Philalete e Calophilo. Nel primo viene dimostrata la maggiore dignità della medicina rispetto alla giurisprudenza, dovuta alla natura empirica del sapere dei giuristi, contrapposto a quello razionale della medicina, presentata come disciplina imparentata strettamente con la filosofia. Principale bersaglio polemico di questa sezione dell’opera è il De nobilitate (1617)del giurista francese André Tiraqueau, responsabile di aver addotto i più efficaci argomenti contra medicos. Obizzi segue in sostanza la linea tracciata dal più dettagliato trattato del bolognese Giovanni Battista Pellegrini, l’Adversus philosophiae et medicinae calumniatores apologia, riassumendone a grandi linee le argomentazioni e senza apportare osservazioni originali. Mancano di originalità anche gli altri due dialoghi. Il secondo illustra le partizioni delle diverse discipline, a partire dalla teologia, distinta in ispirata, mistica, scolastica, positiva, naturale e metafisica. Seguono sezioni dedicate all’aritmetica e alla geometria, all’ottica e alle sue diverse branche, alla cosmografia (che comprende geografia, corografia, topografia e idrografia), alla gnomonica, all’architettura, all’astronomia e all’astrologia. Il dialogo prosegue poi con un elenco delle differenti forme di magia, distinta in malefica, superstiziosa e naturale, cui seguono una parte consacrata all’arte chimica e una alla musica. Vengono classificate tra le forme di magia malefica la piromanzia, l’aeromanzia, la geomanzia, l’idromanzia, la necromanzia, mentre forme di divinazione come chiromanzia e fisiognomica, arte paolina (la cui scoperta era attribuita all’apostolo Paolo dopo il suo rapimento al terzo cielo; D.P. Walker, in Spiritual and Demonic Magic, London 1958) e cabala vengono fatte rientrare nella categoria di magia superstiziosa. Obizzi dimostra in particolare qualche apertura nei confronti dell’arte chimica, come attesta il suo apprezzamento per opere come il Coelum philosophorum di Philipp Ulstadt, la Introductio in divinam chemiae artem di Pietro Buono Lombardi, il De ratione conficiendi lapidis philosophici di Lorenzo Ventura, o per i trattati di Bernard Georges Penot e di Joseph Duchesne (meglio noto come Quercetanus). In un’opera successiva, il De multiplici in medicina abusu, si esprimerà anche a favore dell’uso dell’oro in medicina, recuperando auctoritates medievali come Arnaldo da Villanova, Lullo, Geber, Alberto Magno, Giovanni di Rupescissa, o il più recente Lignum vitae di Giovanni Bracesco. Il terzo dialogo contiene infine un breve compendio di filosofia naturale, morale e politica, di medicina, di diritto, di logica, di retorica, poetica, storia e grammatica.
Grazie ai Consilia medicinalia, compresi nella raccolta di scritti intitolata Iatrastronomicon, apparsa a Vicenza nel 1618, si possono ricostruire alcuni degli spostamenti di Obizzi tra Venezia e Belluno negli anni successivi al 1606. Abbandonata Ferrara, soggiornò nella città lagunare nel 1606 e nel 1608 e nuovamente nel 1619, come risulta dal frontespizio della seconda edizione del De nobilitate medici (Magonza 1619). A Venezia entrò in polemica con alcuni medici, tra cui un allievo di Vittore Trincavelli, Belisario Gadaldino, curatore del De ratione curandi particulares humani corporis affectus di Trincavelli; di tali polemiche dà conto il De multiplici in medicina abusu, anch’esso inserito nel Iatrastronomicon e dedicato al consiglio della città di Belluno. Attacchi particolarmente duri rivolse al medico Bernardino Gai nell’Apologia redatta nel 1612 e dedicata al doge Marcantonio Memo, mentre l’anno seguente inviò da Belluno dieci Decisiones allo stesso Gai e dei Responsa alle osservazioni di questo, accompagnati da un’epistola a Santorio Santorio, critica nei confronti dei suoi Methodi vitandorum errorum omnium ... libri quindecim.
Attaccò nuovamente lo stesso Santorio per la pubblicazione dell’Ars de statica medicina, che irrise in una graffiante opera in forma di dialogo, intitolata Staticomastix, sive staticae medicinae demolitio, pubblicata a Ferrara nel 1615 e ristampata in alcune edizioni successive dell’opera di Santorio (Lipsia 1624, Lione 1713 e 1728). Divisa in tre dialoghi, essa sviluppa un confronto tra medicina galenica e statica, in parte condotto attraverso la contrapposizione tra aforismi desunti dal trattato di Santorio e oppositiones di Obizzi.
Nel complesso, le polemiche di quegli anni riflettono la posizione di convinto difensore della tradizione ippocratico-galenica assunta da Obizzi, che fu tra l’altro autore di un Commentarius in Claudii Galeni librum tertium de diebus decretorii, seguito da un’appendice contenente un attacco diretto contro il medico e filosofo bolognese Giulio Cesare Claudini, e di un Commentarius in duos primos Hippocratis Aphorismos (entrambi compresi nel Iatrastronomicon). Oltre alle opere già citate, il Iatrastronomicon comprende anche un Tractatus apologeticus adversus astrologiam pro medicinae usu reiiciientes, un Astronomicarum praedictionum, observationum atque curationum ... liber, e due concisi opuscoli intitolati Brevis cosmologiae ad sphaerae cognitionem e De mutationis temporum ratione. Il Tractatus apologeticus, in cui Obizzi dà conto di un suo soggiorno nel 1608 presso il principe e arcivescovo di Salisburgo Wolf Dietrich, si segnala per un recupero di alcune tesi origeniane sull’astrologia, riprese attraverso la mediazione di Luca Gaurico, e soprattutto per la critica ad alcuni argomenti antiastrologici elaborata dai gesuiti del Collegio di Coimbra.
Obizzi fu altrettanto conservatore sul piano delle conoscenze astronomiche: nel 1619 diede alle stampe a Venezia una De novi cometae loco essentia et prognostico consideratio, nella quale criticava, sulla base di argomenti desunti da Aristotele e dai padri della Chiesa, le teorie di Tycho Brahe e polemizzava con il milanese Baldassarre Capra, autore di una Consideratione astronomica circa la noua, et portentosa stella che nell’anno 1604 adì 10 ottobre apparse (Padova 1605).
Ignota è la data della morte, da collocare comunque dopo il marzo 1618. Allora, infatti, si interrompe il suo scambio epistolare con lo storico Enrico Caterino Davila, di cui resta traccia in un codice conservato alla Biblioteca Marciana di Venezia.
Si ha notizia di un figlio di Obizzi, Giovanni Maria, autore di una Oratio a stampa (Conegliano 1611), indirizzata al prefetto della città di Belluno.
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca universitaria, Ms. Aldrovandi, Ms. 136, t. XXV, cc. 122v-124; t. XXVI, cc. 2v-5, 36v-37, 214; t. XXVII, cc. 83-91; t. XXVIII cc.61v-73; Venezia, Biblioteca Marciana, Cod. Lat., cl. III, 132 (=2151): I. Obizzi, Epistolarum et disquisitionum sacrarum libri XII, cc. 131r-132v, 139v-143r, 151r-152v, 155r-165v, 174; F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gymnasii, II, Ferrara 1735, pp. 217, 383 s.; G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, III, Venezia 1746, p. 406; L. Ughi, Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi, II, Ferrara 1804, p. 94; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1824, p. 502; A. Buzzati, Bibliografia bellunese, Venezia 1890, nn. 54, 60, 61; K. Sudhoff, Iatromathematiker vornehmlich im 15. und 16. Jahrhundert, Breslau 1902, p. 75; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, VI, New York-London 1941, pp. 429-431; VII, ibid. 1958, pp. 108, 272; VIII, ibid. 1958, p. 621; S. Piantanida - L. Diotallevi - G. C. Livraghi, Autori italiani del Seicento, II, Milano 1948, p. 233; G. Benzoni, La fortuna, la vita, l’opera di Enrico Caterino Davila, in Studi veneziani, XVI (1974), pp. 279-442, in partic. 350 s.; I maestri di medicina ed arti dell’Università di Ferrara: 1391-1950, a cura di F. Raspadori, Firenze 1991, p. 257; D. Bartolini, Medici e comunità: esempi dalla terraferma veneta dei secoli 16 e 17, Venezia 2006, ad ind.