PINDEMONTE, Ippolito
PINDEMONTE, Ippolito. – Nacque a Verona il 13 novembre 1753, nel ramo di S. Egidio, ultimo dei tre figli del marchese Luigi (1718-1765), dilettante di pittura, musica ed erudizione, e di Lodovica Maria alias Dorotea Maffei (morta nel 1800), nipote del grande Scipione, allora ancora in vita. Famiglia di consolidate tradizioni culturali stabilitasi a Verona dall’originaria Pistoia fin dalla seconda metà del Trecento, i Pindemonte avevano ottenuto la dignità marchionale da Carlo II di Gonzaga-Nevers nel 1654, ma furono aggregati al patriziato veneto solo nel settembre 1782, poco prima del matrimonio di Giovanni, fratello maggiore di Ippolito, con Vittoria Widmann-Rezzonico.
Scomparso il padre, Ippolito entrò il 24 settembre 1765 con il fratello nel collegio dei Nobili di Modena, retto dai preti di S. Carlo, dove insegnavano fra gli altri Lazzaro Spallanzani, Francesco Barbieri, Giuliano Cassiani, Luigi Cerretti. In quel periodo iniziò a comporre i primi versi: la canzone Sacrifizio di Gefte e il sonetto Eva che specchiasi al fonte, entrambi perduti, e, nel febbraio 1769, un’ecloga dialogata in latino in morte del rettore del collegio, Giuseppe Malmusi.
Sempre legato all’ambiente del collegio fu il primo lavoro a stampa, le ottave La salute, accolte nel 1770 in una collettanea di Rime per il sospiratissimo ristabilimento in salute del vescovo di Modena Gioseffo Maria Fogliani. L’anno successivo compose un’ode sul tema Niuna cosa è più atta ad inspirare coraggio nelle battaglie quanto la Poesia, mentre una sua cantata, Il genio delle Amazoni, fu inserita nella Talestri regina delle Amazoni, un’azione scenica del fratello, stampata a Modena per gli eredi Soliani, come già le Rime per il Fogliani.
Tornato a Verona insieme al fratello, ebbe come precettori Giuseppe Torelli e Girolamo Pompei, su impulso dei quali intraprese un tentativo, subito abortito, di traduzione della Storia di Erodiano. Il 23 luglio 1771 fu ricevuto nell’ordine di Malta come «cavaliere milite di Giustizia». Sulla sua formazione ebbe un forte influsso anche il marchese veronese Michele Enrico Sagramoso, balì dell’ordine melitense, notabile della Massoneria e diplomatico cosmopolita.
Nel 1775 tradusse in versi e pubblicò la Berenice di Racine, alla quale unì un’Ode sulla tragedia letta precedentemente all’Accademia Filarmonica di Verona e due discorsi, sull’Arte tragica e sulle Maschere, andati perduti.
Nel 1776 pubblicò a Verona un’edizione in due tomi delle Poesie scelte volgari e latine del prozio Marcantonio Pindemonte, scomparso due anni prima, nella quale inserì una Prefazione e un elogio dell’abate Bartolomeo Lorenzi. Qualche mese dopo diede alle stampe anche la versione delle Argonautiche lasciata incompiuta dal prozio, corredandola di due saggi propri: una sìncresis tra il poema di Valerio Flacco, la Tebaide di Stazio e la Farsaglia di Lucano, e uno scritto sullo Stazio volgare del cardinale Marco Cornelio Bentivoglio d’Aragona, alias Selvaggio Porpora.
L’anno successivo, sempre a Verona, pubblicò insieme con Girolamo Pompei la raccolta poetica In morte dell’ornatissima dama co. Teresa Colloredo Pellegrini.
Nel 1778 uscì anonima, a Firenze, la sua prima tragedia, l’Ulisse, con alcune Osservazioni contro di essa, che l’autore dedicò a una dama (identificabile in Paolina Secco Suardo Grismondi, la Lesbia Cidonia dell’Invito mascheroniano, già sua ospite nella villa di Illasi). La tragedia era già stata presentata al celebre concorso parmense voluto da Du Tillot, ma senza successo.
Fu però il 1779 a segnare il vero avvio della carriera letteraria di Pindemonte. Il 4 marzo, nella tappa romana del viaggio in Italia, fu accolto in Arcadia, assumendovi un nome significativo delle sue aspirazioni di tragediografo, Polidete Melpomenio, e recitandovi alcune Stanze composte per l’occasione, stampate nel maggio a Roma con dedica a Lesbia Cidonia. Nell’ambiente intellettuale romano conobbe fra gli altri Raimondo Cunich, Angelica Kauffmann e Vincenzo Monti. Giunto a Napoli, vi strinse amicizia con Aurelio de’ Giorgi Bertola e l’ambiente massonico partenopeo, e di lì salpò alla volta di Malta e della Sicilia, per il viaggio navale prescritto dalla militanza gerosolimitana (e ricordato anni dopo da Ugo Foscolo nei Sepolcri). A quel periodo risale la composizione di due tragedie perdute, I fratelli nemici e Geta e Caracalla, e delle tre prime epistole – a Lesbia Cidonia, alla salonnière veronese Silvia Curtoni Verza, già interprete della Berenice da lui tradotta in una rappresentazione in casa dei conti veronesi Marioni (1765), e alla ‘dipintrice celeberrima’ Angelica Kauffmann – poi confluite nei Versi di Polidete Melpomenio, editi da Bertola a Bassano nel 1784.
Continuava intanto il sodalizio con Girolamo Pompei: nei Volgarizzamenti dal latino e dal greco pubblicati a firma di entrambi a Verona nel 1781, Pindemonte includeva sue versioni da Orazio (l’ode IV, 13, A Lice invecchiata), Catullo (Le nozze di Peleo e Teti) e Saffo (l’Inno a Venere). Intanto fruttificavano le relazioni allacciate con gli ambienti letterari capitolini: un Elogio del Pompei uscì sull’Antologia romana, e a Maria Cuccovilla Pizzelli, l’eclettica salonnière di Palazzo Bolognetti, indirizzò un’epistola per la prematura morte della figlia Violante.
Nel 1782 videro la luce a Verona i due poemetti La Fata Morgana, ispirato al fenomeno ottico osservabile sullo stretto di Messina, e Gibilterra salvata, prima attestazione dell’anglofilia dell’autore, celebrante l’eroica resistenza del generale inglese Elliott contro gli assedianti gallo-ispani. Riedita quest’ultima a Venezia l’anno seguente unitamente a una biografia dell’Elliott, compose forse un’Ifigenia in Tauri (non identificabile, pare, con quella sullo stesso soggetto presentata al concorso parmense del 1784 ed edita come pindemontiana da Peri), e nel 1783 pubblicò a Milano una Dissertazione sul gusto delle belle lettere in Italia, presentata a un altro concorso – bandito dall’Accademia di Mantova e vinto da Matteo Borsa – e poi inclusa, profondamente rielaborata, nell’edizione bassanese (1785) del Volgarizzamento dell’Inno a Cerere scoperto ultimamente e attribuito a Omero. Nel 1784, a Milano, incontrò Giuseppe Parini. Acquistata in quell’anno la villa di Avesa, sui colli veronesi, che gli sarà distrutta nel 1796 dalle truppe francesi (sarà poi l’amica Elisabetta Contarini Mosconi a ospitarlo per la villeggiatura a Novare), iniziò nel 1785 a comporvi le Poesie e le Prose campestri. Delle prime uscì un Saggio per i tipi bodoniani nel luglio 1788, introdotto da una Lettera alla signora contessa Teodora da Lisca Pompei di Elisabetta Contarini Mosconi.
Il mese successivo partì per un grand tour di quasi un triennio in Svizzera, Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda, Germania, Boemia, Moravia e Austria. A Parigi, dove assistette in compagnia di Vittorio Alfieri alla presa della Bastiglia, pubblicò il poemetto La Francia (1789), sull’onda delle speranze destate dalla convocazione degli Stati Generali, e compose altri versi ispirati alla Rivoluzione: il sonetto Per l’albero della libertà e l’ode Sopra i sepolcri dei re di Francia nella chiesa di San Dionigi. Al progetto di un «viaggio poetico» sono riconducibili i versi ispirati a luoghi, paesaggi o personaggi visitati (Passando il Mont Cenis; Per la Certosa di Grenoble; Lago di Ginevra; Cascata fra Maglan e Sallenche; Ghiacciaie di Boissons e del Montavert; Ferney, già soggiorno del Signor di Voltaire; Per Gesner; Alla fanciulla Agnese H***; Sul sepolcro di Laura in Avignone; Valchiusa; Sul sepolcro del Petrarca in Arquà).
Sulla strada del ritorno, nel 1790 (o, secondo una testimonianza epistolare, nel 1791), pubblicò anonimo a Nizza (ma con la data di Londra) l’Abaritte. Storia verissima, palinodia delle giovanili infatuazioni illuministico-massoniche, conte philosophique e Bildungsroman insieme, riedito a Venezia nel 1792. Uscivano intanto il sermone sui Viaggi (Venezia 1793) e le prime novelle in ottave: l’Antonio Foscarini e Teresa Contarini (in un volume di Novelle cofirmato da Tommaso Gargallo e pubblicato a Napoli da Pietro Napoli Signorelli, 1792) e la Clementina (Venezia 1793).
Tra aprile e maggio 1795 vide la luce a Verona il Saggio di prose e poesie campestri.
Senza dubbio uno degli esiti più significativi dell’opera pindemontiana e insieme della tarda Arcadia, la raccolta si compone di 10 brevi prose, ciascuna introdotta da epigrafi tratte da poeti classici latini (Orazio, Virgilio, Lucrezio, Persio), e di 12 poesie di vario metro (terzine, sciolti, ode, canzone, ottava), fra cui le celebri La solitudine, Alla Luna, La Melanconia, La Giovinezza e il poemetto Le quattro parti del giorno (Il Mattino, Il Mezzogiorno, La Sera, La Notte): versi di «mesta armonia» (secondo la definizione foscoliana dei Sepolcri) in cui risalta la peculiare cifra poetica pindemontiana, quella ‘bianca malinconia’ (leucocolìa) che cala come velo uniforme su di uno scenario, appunto, ‘campestre’. Sorta di «minori Rêveries d’un promeneur solitaire» (Fubini, 1959, p. CV), le Prose fungono da «complemento e ideale amplificazione descrittiva, riflessiva e digressiva delle Poesie» (Ferraris, 1990, risvolto di copertina), e meglio di queste esprimono il gusto per la solitudine campestre, in linea con l’idillismo di Gessner, l’elegismo di Gray e Legouvé, il descrittivismo lirico di Thomson e Delille.
Una prima raccolta delle rime varie apparve a Pisa nel 1798 (Poesie di Ippolito Pindemonte); una seconda, con lo stesso titolo, a Parma nel 1800, comprensiva anche delle prime quattro epistole (poi riunite in volume nel 1805 con le altre otto scritte tra 1801 e 1803, e ricomprese nell’edizione completa uscita a Firenze nel 1809). Intanto, senza trascurare le versioni dai classici greco-latini (Proclo, la Batracomiomachia, Ovidio, Platone) e moderni (Milton), riprendeva il genere tragico, iniziando nel 1797 la stesura dell’Arminio, la tragedia ‘bardita’ pubblicata a Verona soltanto nell’agosto 1804, e componendo l’anno successivo l’Annibale in Capua, dato alle stampe postumo. La quinta edizione dell’Arminio (Verona 1812) recherà anche tre Discorsi teorico-critici (La recitazione scenica e una riforma del teatro; L’Arminio e la poesia tragica; Due lettere di Voltaire su la «Merope» del Maffei), premiati al concorso bandito quell’anno dall’Accademia della Crusca.
Elaborato a partire da spunti tacitiani attraverso la mediazione di Les Chérusques di J.-G. Bauvin (1772), l’Arminio, la più fortunata delle tragedie pindemontiane, inscena l’incontenibile ambizione di regno del principe cheruscio a dispetto degli altri guerrieri e del popolo; la catastrofe, che ha luogo nella selva di Teutoburgo, conduce a un doppio suicidio: di Baldero, figlio di Arminio, che così evita di macchiarsi del sangue paterno, e dello stesso Arminio, vinto in battaglia dal futuro genero Telgaste. Evidenti gli innesti alfieriani, shakesperiani e ossianici, che Pindemonte riconverte «in funzione patetica» (Camerino, 2005, p. 145).
Intanto, la pubblicazione, a Brescia, nel maggio del 1807, di un carme foscoliano a lui indirizzato, i Sepolcri, gli fece deporre l’idea di un poemetto di quattro canti in ottave su I Cimiteri, abbozzato tra maggio e giugno 1806, inducendolo a rispondere con una sua epistola sui Sepolcri, edita poco dopo a Verona, sempre nel 1807, unitamente al carme foscoliano.
Al 1817 data l’edizione definitiva delle Prose e poesie campestri, cui fu aggiunta una Dissertazione sui giardini inglesi e sul merito in ciò dell’Italia, già presentata nel 1792 all’Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova e stampata nel volume IV degli Atti accademici, infine raccolta nello stesso 1817 insieme a testi di Pier Luigi Mabil e di Melchiorre Cesarotti nelle Operette di varj autori intorno ai giardini inglesi ossia moderni. Nel 1819 uscirono a Verona la princeps dei Sermoni e la settima edizione dell’Arminio.
L’ultimo decennio vide un diradarsi della produzione. Non mancarono versi di vario impegno e riuscita: Il colpo di martello del campanile di San Marco in Venezia, Verona 1820; un sonetto per la morte di Napoleone e il Tributo alla memoria dell’astronomo Cagnoli, 1821; le tre canzoni del 1823 – Sul ritorno del capitano Parry; Per madamigella Bathurst che morì annegata nel Tevere; In morte di Antonio Canova –; la traduzione in versi dal francese di una favola russa, Le due botti, per la raccolta del conte Orlov uscita a Parigi nel 1825 (B. Montanari, 1834, p. 312, parla di una seconda fiaba tradotta, Il villano e l’ascia, di cui però non è traccia nella raccolta Orlov); il poemetto sul Teseo canoviano del 1826; le Stanze per Bartolomeo Lorenzi, 1828; e poco altro. Ma due soli furono i lavori di rilievo, entrambi frutto di lunga applicazione: la fortunata versione dell’Odissea, intrapresa fin dal 1805 e pubblicata in due volumi a Verona e Livorno nel 1822 dopo l’anticipazione a stampa dei primi due canti nel 1809, e gli Elogi di letterati italiani (ma tutti veronesi, tranne il veneziano Gasparo Gozzi e il trevigiano Giovambatista da San Martino: Scipione Maffei, Leonardo Targa, Giambattista Spolverini, Giuseppe Torelli, Lodovico Salvi, Antonio Tirabosco, Filippo Rosa Morando, Girolamo Pompei), editi a Verona tra il 1825 e il 1826, anch’essi in due volumi.
L’Odissea, che la canonizzazione anche scolastica appaiò alla pur diversa e più originale Iliade del Monti, destinandola più di ogni altra opera pindemontiana a larga e lunga fortuna, va annoverata tra le prove più significative dell’omerismo neoclassico: l’originale si trasfonde in «formule auree di una disincantata sapienza, di una sottile malinconia del vivere che è tutta anche del traduttore e della sua epoca» (Marucci, 1998, p. XVIII).
Morì a Verona il 18 novembre 1828, di «reuma cattarale di petto». Fu il primo fra i veronesi illustri cui il Municipio decretasse «l’onore della tomba» nell’apposito pantheon del nuovo cimitero cittadino (Archivio di Stato di Verona, Pindemonte-Rezzonico, b. 413).
Opere non menzionate. Il poeta e Verona. Idillio, in Per la venuta in Verona della signora principessa Corsini a sposa del sig. conte Marco Marioni, Verona 1783; Epitalamio per le nobili nozze del sig. co. Bartolomeo Giuliari colla sig.ra co. Isotta Dal Pozzo, Bassano 1784; Lettera al sig. cav. Clementino Vannetti sopra due celebri passi, l’uno di Virgilio, l’altro di Dante, Verona 1784; Osservazioni su la Didone, in Osservazioni di vari letterati sopra i drammi dell’abate Pietro Metastasio, Nizza 1785; sonetto Alla nobilissima e ornatissima dama co. Scotti Sanvitale, in Componimenti per le faustissime nozze co. Francesco Sanvitale e principessa Luisa Gonzaga, Parma 1787; Batracomiomachia d’Omero, Venezia 1794; Ode alla Repubblica Cisalpina, Bologna-Ferrara 1798; Canzone in morte di Vittorio Alfieri, Verona 1804 (rist. anast. Verona 2003); Traduzione de’ due primi canti dell’“Odissea” e di alcune parti delle “Georgiche” con due epistole, una ad Omero, l’altra a Virgilio, Verona 1809; Scherzi latini e italiani composti in una villa della Valpulicella, Venezia 1815; Dell’armonia imitativa nella poesia (1819, edita postuma in N.F. Cimmino, I. P. e il suo tempo, I-II, Roma 1968, I, pp. 469-479); In morte di Antonio Canova alla signora Silvia Verza, Verona 1824; La decima egloga di Virgilio tradotta in ottava rima, Verona 1825; Dell’uso delle favole nella poesia, Padova 1849; La Simpatia e l’Antipatia, Verona 1870; Ergasto. Novella finora inedita, Verona 1874; Lettera politica sulle vicende del 1796, a cura di C. Camuzzoni, Verona 1880; Lucietta. Novella inedita, Verona 1881; Annibale in Capua, a cura di V. Bertolini, Verona 1969; D. Tongiorgi, Una «filosofia della storia» nell’Università del Settecento. Note su Aurelio Bertola (con inediti di I. P.), in Giornale storico della letteratura italiana, 1997, 568, pp. 481-521 (in app., tre canzonette in ottonari al Bertola); Sulla convalescenza, a cura di G. P. Marchi, Santa Lucia ai Monti 2007.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Verona, Pindemonte-Rezzonico, bb. 66 (testamento), 413 (testamenti; determina municipale per l’«onore della tomba»), 414 (novelle Clementina, Lucietta, Ergasto; versi e una lettera di Tommaso Gargallo; Lettere autografe d’Ippolito: 4 a Saverio Bettinelli; 2 a Pietro Ponzilacqua; 25 a Pietro Giorio; 4 al nipote Carlo; sonetti e versi autografi), 432-434 (documenti sull’aggregazione all’ordine melitense, sulla nobiltà della famiglia ecc.), 436 (diplomi accademici). Verona, Biblioteca civica, Fondo Pindemonte: oltre alla residua biblioteca privata (2059 edizioni), vari manoscritti del poeta (bb. 941-942) e lettere a lui dirette (bb. 943-944): cfr. I. Quadranti, La biblioteca di casa Pindemonte e i libri di Ippolito. Studio bibliografico-filologico, I-II, Verona 2009, I, pp. 231-298. Ivi, Carteggi 40 (lettere e carteggio), 222 (brano dell’Elogio di Torelli; minuta di una supplica a favore di Pietro Cossali; passo di lettera a Isabella Teotochi Albrizzi), 269 (2 lettere al Giorio e a Gian Girolamo Orti; 2 ritratti) e 371 (71 lettere a Marianna Carminati Aleardi; 2 a Giuseppe Molini). Ivi, mss. 1064 (sonetto), 1483 (Elogio del Pompei), 1825 (Opuscoli), 1830-1831 (lettere a Francesco Negri), 2163 (Elogi del Pompei), 2200 (Poesie giovanili).
Ampie bibliografie delle opere di e su P. in: Lirici del Settecento, a cura di B. Maier, Milano-Napoli 1959, pp. 905-909; C. Cappelletti, Ozio e virtù in fatto di belle lettere. Corrispondenza di I. P. con Angelo Mazza e Smeraldo Benelli 1778-1828, Verona 2009, pp. 297-313; I. P., Epistole e Sermoni, a cura di S. Puggioni, Padova 2010, pp. 109-127. Principali edizioni: Opere, Napoli 18542 (18613); Le poesie originali, a cura di A. Torri con un discorso di P. Dal Rio, Firenze 1858. Notevole il profilo psicofisiognomico coevo di I. Teotochi Albrizzi, Ritratti [1807], a cura di G. Tellini, Palermo 1992, pp. 71-74; sulle matrici culturali e salutistico-mediche della malinconia pindemontiana: Malinconia, salute, malattia, convalescenza nella letteratura veneta fra Sette e Ottocento. Il caso di I. P., a cura di M. Fantato, Verona 2013. Principali biografie: B. Montanari, Della vita e delle opere d’I. P. [18341] con uno scritto di V. Betteloni, a cura di G.P. Marchi, Verona 2003; N.F. Cimmino, I. P. e il suo tempo, cit.; e, più in sintesi, la Nota bio-bibliografica in I. Pindemonte, Abaritte. Storia verissima, a cura di A. Ferraris, Modena 1987, pp. LVII-LXV. Sulla famiglia Pindemonte: i saggi di G.M. Varanini e di B. Chiappa in Villa Pindemonte a Isola della Scala, a cura di B. Chiappa e A. Sandrini, Verona 1987, rispettivamente pp. 31-54 e 55-88. Principali studi: S. Gini, Vita e studio critico delle opere di I. P., Como 1899; M. Scherillo, I. P. e la poesia bardita, Messina 1920; O. Bassi, Fra classicismo e romanticismo. I. P., Milano 1934; M. Fubini, Introduzione, in Lirici del Settecento, a cura di B. Maier in collab. con M. Fubini, D. Isella, G. Piccitto, Milano-Napoli 1959, pp. IX-CXIX; E.M. Luzzitelli, I. P. e la Fratellanza con Aurelio de’ Giorgi Bertola tra Scipione Maffei e Michele Enrico Sagramoso, Verona 1987; Vittorio Alfieri e I. P. nella Verona del Settecento, a cura di G.P. Marchi - C. Viola, Verona 2005 (in partic. G.A. Camerino, Innesti alfieriani riconvertiti in funzione patetica. Arminio di I. P., pp. 145-162). Per l’epistolario, cfr. N. Cremonese Alessio, Carteggio di I. P. Bibliografia, Verona 1955; una schedatura dell’edito è in C. Viola, Epistolari italiani del Settecento. Repertorio bibliografico, Verona 2004, nr. 1585, pp. 468-473, nel Primo supplemento, Verona 2008, pp. 149-151 e nel Secondo supplemento dello stesso, Verona 2015, pp. 317-320 (ad ind. per il carteggio passivo). I nuclei a stampa più consistenti di lettere pindemontiane sono: N. Vaccalluzzo, Fra donne e poeti nel tramonto della Serenissima. Trecento lettere inedite di I. P. al conte Zacco, Catania 1930; G. Bosco Guillet, Il Pindemonte attraverso il carteggio di Verona, Torino 1955; N.F. Cimmino, I. P. e il suo tempo, Roma 1968, II; G. Baroni, I. P. - Giovanni Rosini. Carteggio (1802-1827), in Otto/Novecento, XI, 1987, pp. 129-205; I. Pindemonte, Lettere a Isabella (1784-1828), a cura di G. Pizzamiglio, Firenze 2000 (e C. Viola, Il nuovo, la tragedia, la storia. Sulle lettere di Pindemonte a Isabella, in Studi veneziani, XLVII, 2004, pp. 365-379); I. Quadranti, La biblioteca di casa Pindemonte, Verona 2009, I, pp. 103-229; C. Cappelletti, Ozio e virtù in fatto di belle lettere, cit. Abaritte: ed. A. Ferraris, Modena 1987. Prose e poesie campestri: ed. A. Ferraris, Torino 1990. Per le tragedie: S. Peri, I. P. Studi e ricerche coll’aggiunta della tragedia inedita Ifigenia in Tauri e di liriche inedite e rare, Rocca S. Casciano 19052; Arminio, a cura di V. Bertolini, Verona 1969; F. Fedi, Un programma per Melpomene. Il concorso parmigiano di poesia drammatica e la scrittura tragica in Italia (1770-1786), Milano 2007, pp. 71-90; I. Pindemonte, Issipile. Tragedia (Biblioteca Civica di Verona, Carteggi, 941), a cura di C. Viola, Verona 2011. Epistole e Sermoni: ed. S. Puggioni, Padova 2010. Per le poesie sparse: C. Viola, Per l’edizione delle rime varie di I. P., in Studi e problemi di critica testuale, 70, 2005, pp. 47-73. Sui Cimiteri e i Sepolcri: N. Ebani, I Sepolcri di I. P.: storia dell’elaborazione e testo critico, Verona 2002. Per il Saggio sopra i giardini inglesi: Operette di varj autori intorno ai giardini inglesi ossia moderni, a cura di A. Pietrogrande - G. Pizzamiglio, Trieste 2010. Edite solo in parte le Memorie intorno ad alcuni suoi viaggi (Verona, Biblioteca civica, Carteggi, 942, ff. 1-67): L. Sandri, I. P. in Inghilterra. Appunti di viaggio, in English miscellany. A symposium of history literature and the arts, ed. M. Praz, Roma 1950, pp. 243-263; E.M. Luzzitelli, Introduzione all’edizione dei diari dei viaggi d’I. P. in Europa (1788-1791) ed in Italia (1795-1796), Venezia 1987; Id., I. P. dalla loggia alla selva. Memorie e appunti dal viaggio in Europa (1788-1791), in Studi storici Luigi Simeoni, XL, (1990), pp. 133-171, e XLI (1991), pp. 311-349; G. Pizzamiglio, Note sul Viaggio poetico per la Svizzera di I. P., in Versants, 50, 2005, pp. 199-215; I. Caliaro - R. Rabboni, “A’ tuoi verdi anni…”. Sui viaggi e le memorie di Pindemonte, in Vie lombarde e venete. Circolazione e trasformazione dei saperi letterari nel Sette-Ottocento fra l’Italia settentrionale e l’Europa transalpina, a cura di H. Meter - F. Brugnolo, Berlin-Boston 2011, pp. 169-187. Sulla Dissertazione sul gusto delle belle lettere: C. Viola, «Quel fatal contagio»: la traduzione moderna nel dibattito sul “gusto presente”, in Traduzioni letterarie e rinnovamento del gusto: dal Neoclassicismo al primo Romanticismo, a cura di G. Coluccia - B. Stasi, I-II, Lecce 2006, II, pp. 225-250. Sull’Odissea: M. Mari, Momenti della traduzione fra Settecento e Ottocento, Milano 1994, pp. 425-455; ed. di V. Marucci, Roma 1998. Sull’anglofilia pindemontiana: E.H. Thorne, English friends and influences in the life of I. P., in Italian studies, XXII, 1967, pp. 62-77; G. Folena, Anglismi e anglofilia del Pindemonte, in Lingua nostra, LII, 1991, 1, p. 10; A.-V. Sullam Calimani, I. P. e la lingua inglese, in Quaderni veneti, 34, 2001, pp. 179-198; S. Cappellari, P. e Alfieri nelle lettere di Byron e William Parsons, in I. P. e Vittorio Alfieri nella Verona del Settecento, cit., pp. 163-180; L. Massa, “The living lyre”. Echi di Thomas Gray nella lirica di I. P., in Le forme della poesia, a cura di R. Castellana - A. Baldini, Siena 2006, pp. 293-300; C. Viola - F. Forner, Due corrispondenze inglesi di I. P., in Bearers of a tradition. Studi in onore di Angelo Righetti, a cura di A.M. Babbi - S. Bigliazzi - G.P. Marchi, Verona 2010, pp. 181-196. Curiose attestazioni della controversa fortuna pindemontiana sono la prosa satiresca di M. Mariotti, Amputatio capitis Ippoliti Pindemonte, Belluno 1913 (Vercelli 19262), e il romanzo di E. Emanuelli, Uomo del ’700. I. P., Genova 1933 (e Torino 2008); sulla fortuna ottocentesca: F. Bausi, Insospettate fonti: fortuna e sfortuna moderna di I. P., in L’ellisse, IV, (2009), pp. 87-127.