SALVIANI, Ippolito
SALVIANI, Ippolito. – Nacque a Città di Castello nel 1514 da Aurelia Tiberti e da Salustio, membro di una notabile famiglia cittadina.
Non è noto il luogo in cui si formò. Giunse a Roma tra il 1538 e il 1540. Dopo circa un decennio di attività nella città, nel 1550 fu annoverato tra i medici della famiglia di Giulio III (Biblioteca apostolica Vaticana, Ruoli, 1, c. 23r) e mantenne la carica fino alla morte del pontefice occorsa nel 1555 (19, c. 73v). Durante il pontificato di Paolo IV si allontanò dal palazzo apostolico. Nel 1560, con la raccomandazione del cardinale Vitellozzo Vitelli suo concittadino, provò nuovamente a entrare nei ranghi dei medici apostolici, ma senza successo (37, c. 12).
La funzione di archiatra gli aprì le porte di diverse istituzioni cittadine. Tra il 1551 e il 1552 fu medico dell’ospedale S. Spirito (Archivio di Stato di Roma, S. Spirito, 1891, mandato 321, 1892, mandato 1144). Quasi contemporaneamente venne nominato professore dello Studium Urbis, dove tra il 1552 e il 1569 detenne la lettura di medicina pratica. Le fonti universitarie mostrano come egli fosse tra i docenti più stimati e meglio retribuiti.
Nel 1559, anno in cui insegnava in concorrenza con il celebre anatomista Bartolomeo Eustachi, gli fu accordato uno stipendio annuo di 220 scudi. Dieci anni dopo il suo salario aveva raggiunto i 300 scudi. Tra le opere su cui si fondavano i suoi corsi, il Canone di Avicenna, e in particolare il libro III dedicato alle patologie e la prima sezione del libro IV sulle febbri. Nel 1564 venne chiamato a fare le veci del camerlengo nella cerimonia di conferimento delle lauree (Marini, 1784, II, p. 306). Quando nel 1566 Silvio Antoniano scrisse una lettera ai cardinali della congregazione per l’Università, egli rivolse alcune lodi a Salviani e alla qualità del suo insegnamento, riconosciuta dagli studenti che accorrevano numerosi ai suoi corsi (Archivio segreto Vaticano, arm. XI, t. 93, cc. 6r-8r).
Alla sua attività universitaria rinvia la redazione del De crisibus ad Galeni censuram liber (Roma 1556), indirizzato a Giovanni Morone, cardinale protettore dell’Università. In seguito all’incarcerazione di quest’ultimo, Salviani ritirò gli esemplari del trattato per poi rimetterli sul mercato nel 1558 con un nuovo dedicatario, Vitellozzo Vitelli, successore di Morone come cardinale protettore dello Studio. All’interno del trattato Salviani riprese, semplificò e commentò numerosi passaggi del De crisibus di Galeno e altri passi galenici sulla prognosi. L’opera accorda una grande importanza alla comprenetazione tra studio delle autorità ed esercizio pratico della medicina. Alla didattica universitaria Salviani affiancò un insegnamento extra-accademico. L’empirico Giovan Battista Zapata lo definisce infatti suo precettore, facendo anche riferimento a una miracolosa quintessenza di vetriolo realizzata dal medico che denoterebbe anche un suo interesse per la iatrochimica (Meravigliosi secreti di medicina e chirurgia, Venezia 1586, p. 110).
Membro del Collegio dei medici, nel 1566 Salviani fu designato protomedico e, secondo l’uso, promulgò un bando generale per il controllo della medicina e della sanità (Roma, Blado, 1566). Negli anni successivi fu molto attivo nell’istituzione esaminando i futuri dottori in medicina, sorvegliando la composizione dei medicinali nelle spezierie e dirimendo controversie interne (Archivio di Stato di Roma, Università, b. 48, cc. 9r, 19v-20r, 39rv). Nel 1568 venne scelto insieme al collega Aurelio Stagno per lavorare a una riforma degli statuti del Collegio (ibid., c. 10v).
Le cariche pubbliche ricoperte da Salviani non furono legate soltanto alla sua attività di medico. Divenuto cittadino romano prima del 1554, tra l’aprile e il giugno del 1565 venne nominato conservatore capitolino. Assieme ai colleghi Onofrio Camajano e Marc’Antonio Palosio nominò Pietro Tedellini custode delle antichità, mentre assieme ad altri magistrati cittadini si adoperò affinché due statue di Cesare e di Augusto fossero collocate nel Palazzo dei Conservatori (Marini, 1784, II, p. 314).
L’attività alla quale Salviani consacrò più tempo fu però lo studio della natura. Dalla fine degli anni Quaranta, cominciò a lavorare a un trattato consacrato ai pesci e corredato da raffinate incisioni in rame. L’impresa fu sostenuta da Marcello Cervini allora cardinale bibliotecario della Vaticana. Nel 1550 Cervini ordinò che fossero versati «delli denari della libreria a M° Hipolito Salviani scudi 7 di moneta, quali li si danno per far stampare un libro di pesci che s’ha porre in Libraria Apostolica» (Dorez, 1892, p. 310). Nel 1554 l’opera era pronta per le stampe, ma la morte di Cervini avvenuta l’anno seguente, ne ritardò la pubblicazione. Alla fine gli esemplari del trattato Aquatilium animalium historiae furono editi a Roma in due tempi, nell’ottobre del 1557 e poi nel gennaio del 1558. Il ricco paratesto dell’opera testimonia della capacità di Salviani di destreggiarsi nell’instabilità politica romana – a una dedica al cardinale Cervini ne è affiancata una al nuovo pontefice Paolo IV –, e del suo inserimento nei circoli intellettuali romani. La presenza di componimenti di Giacomo Cenci, Gabriele Faerno e Dionisi Attanagi, uniti ai suoi stretti rapporti con Cervini, invitano a ipotizzare una sua partecipazione all’Accademia Vitruviana. I versi che gli dedicò Juan de Verzosa, segretario d’ambasciata, rinviano invece ai suoi rapporti con la Roma spagnola, testimoniati anche da un inedito componimento che gli indirizzò l’umanista Juan Paez de Castro (Real Biblioteca del Monasterio de El Escorial, &-IV-22).
Nelle intenzioni di Salviani il trattato illustrato doveva costituire una summa delle conoscenze sui pesci. Ogni incisione in rame era affiancata da una historia della specie di pesce rappresentata, contenente una descrizione del suo aspetto e dei suoi comportamenti, alcune indicazioni sul suo habitat e, in alcuni casi, su un eventuale uso alimentare e medicinale. Una dettagliata tavola in apertura dell’opera indica i nomi dei diversi autori citati – Plinio, Aristotele, Galeno, Eliano, ma anche Erodoto, Ovidio e Strabone – e le edizioni di riferimento. All’interno delle historiae questo vasto sapere antico è ampliato sulla base delle osservazioni effettuate da Salviani e delle informazioni ottenute attraverso una fitta rete di scambi e corrispondenze con naturalisti, dotti o ancora diplomatici.
Un tramite importante per la realizzazione di questa erudita opera fu il nunzio apostolico in Portogallo Pompeo Zambeccari che da Lisbona inviò al Cervini alcuni disegni di pesci atlantici (De Witte, 1986, pp. 706 s.). Tra i corrispondenti di Salviani troviamo anche Pierre Belon, Guillaume Rondelet e Ulisse Aldrovandi. Sette lettere del medico al collega bolognese attestano un intenso scambio di informazioni, libri, specimina (Pinon, 2002). Tra gli altri naturalisti con cui Salviani entrò in contatto anche l’olandese Gisbert von Horst, medico dell’ospedale S. Maria della Consolazione di Roma (Aquatilium..., 1557, p. 58r).
Salviani fu anche l’autore della commedia La ruffiana, pubblicata nel 1553 a Roma dai fratelli Dorico dopo essere stata rappresentata più volte in città. Essa fu l’oggetto di quattro riedizioni veneziane (1564, 1568, 1584 e 1595).
Tra le diverse attività di Salviani vi fu anche quella di stampatore. Egli fu infatti alla guida di una tipografia che tra il 1554 e il 1564 diede la luce almeno 21 opere, tra cui i suoi De crisibus e Aquatilium historiae, trattati di medicina, commedie, opere devozionali e brevi componimenti d’occasione. Non sono chiari i rapporti con la più celebre stamperia napoletana di Orazio Salviani e quelli con gli editori musicali romani Valerio Salviani e fratelli.
Malato gravemente dal 1569, morì nel 1572. Nel 1628 il suo corpo fu trasferito nella chiesa di S. Maria sopra Minerva.
Ebbe almeno due figli, Gaspare e Sallustio. Gaspare fu poeta stimato e fece parte dell’Accademia degli Umoristi. Sallustio seguì invece la professione paterna. Gli succeddette alla fine del 1570 come membro del Collegio dei medici. Nello stesso anno venne nominato professore di medicina teorica dello Studium Urbis, in seguito a un concorso che lo vedeva opporsi a Jacopo Falconio (Archivio segreto Vaticano, arm. XI, t. 93, p. 49). Nel 1579 fu designato medico dell’ospedale romano di S. Maria della Pietà e ricoprì la carica per circa un decennio. Scrisse tre opere legate al suo insegnamento che vennero tutte stampate a Roma da Giacomo Tornieri e Bernardino Donangeli, il De calori naturali acquisititio, et febrili libri duo (1586), il De urinarum differentiis causis et iudicis libri duo (1587) e le Variarum lectionum de re medica libri tres (1588), la cui lectio De melancholia et mania morbo et eius curatione si fonda sulla sua esperienza presso l’ospedale dei ‘pazzerelli’ di Roma. Nella Praefatio del De calori naturali acquisititio fa riferimento ad alcune sue opere storiche a oggi però perdute.
Fonti e Bibl.: G. Marini, Degli archiatri pontifici, Roma 1784, I, pp. 402-405, II, pp. 306 s., 314-317; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, Firenze 1810, pp. 30, 606-608; F. Donati, Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Castello, I-II, Città di Castello 1844, II, pp. 180-182; L. Dorez, Le cardinal Marcello Cervini et l’imprimerie à Rome, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, 1892, vol. 12, n. 1, pp. 289-313 (in partic. p. 301); C. Castellani, S., I., in Dictionary of scientific biography, XII, New York 1975, pp. 89 s.; Ch. De Witte, La correspondance des premiers nonces permanents au Portugal: 1532-1553, II, Lisbona 1986, pp. 706 s.; E. Conte, I maestri della Sapienza di Roma, Roma 1991, pp. 26, 30, 33, 41, 47, 54, 62, 68, 78, 90, 102, 110, 122, 910, 971, 1053 s., 1065; L. Pinon, Clématite bleue contre poissons séchés: sept lettres inédites d’I. S. à Ulisse Aldrovandi, in Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée, 2002, vol. 114, n. 2, pp. 477-492; L. Roscioni, Il governo della follia. Ospedali, medici e pazzi nell’età moderna, Milano 2003, pp. 220-234; E. Andretta, Roma medica. Anatomie d’un système médical au 16e siècle, Roma 2011, pp. 59, 66 s., 69, 84, 87 s., 90, 128 s., 145 s., 170, 172 s., 181, 200, 205, 213, 233, 241, 255-257, 266, 274, 281, 386-388, 390, 393, 395, 397-399, 408, 410, 412-414, 424, 426, 430-437; F. Egmond - S. Kusukawa, Circulation of images and graphic practices in Renaissance natural history: the exemple of Conrad Gessner, in Gesnerus, 2016, vol. 73, n. 1, pp. 29-72.