Ira
Il termine ira, usato comunemente come sinonimo di furore, sdegno, indignazione, collera, esprime un'emozione violenta, in genere spiacevole, che si accompagna a uno stato di tensione dovuto alla presenza di ostacoli, reali o immaginari, che non permettono la realizzazione di attività o desideri. L'individuo può mettere in atto comportamenti aggressivi verso sé stesso, gli altri o gli oggetti, per placarsi e sperimentare una sensazione piacevole di allentamento della tensione iniziale.
L'ira è comunemente intesa come sinonimo di rabbia, anche se il primo termine si differenzia nel segnalare una particolare predisposizione all'azione e all'attacco. Più precisamente, la rabbia può essere originata da situazioni ambientali esterne che vengono registrate come minaccia alla sicurezza personale e che, a loro volta, automaticamente innescano le reazioni neurovegetative di difesa, quali mutamenti tonicoposturali e vasopressori, base necessaria a istantanee reazioni di efficace contrapposizione al pericolo. L'ira, invece, è un'emozione più profonda, più a lungo contenibile e perciò anche modulabile in varie sfumature e direzioni, ma, soprattutto, è prevalentemente provocata dalla intollerabilità di oggetti e condizioni già interiorizzate. Per questo motivo, sperimentare l'ira può tradursi in atteggiamenti di attacco diretto attraverso particolari schemi comportamentali, come avviene per la rabbia e la paura, ma può anche innescare modalità più articolate di difesa, quali, per es., l'evitamento dell'aggressione oppure la trasformazione simbolica della lotta in disputa verbale, utilizzando le strategie di differenziazione della situazione specifica e avvalendosi per il proprio vantaggio di strumenti a più alto livello di sviluppo filogenetico.
Si è visto come la definizione di ira sia strettamente correlata con la possibilità di mettere in atto comportamenti aggressivi o di attacco diretto. In tale sede può essere utile un richiamo alle concezioni etologiche di tali comportamenti e ai significati che questi assumono nelle specie animali nel corso della filogenesi. N. Tinbergen (1951, 1953) e altri hanno evidenziato che nelle specie animali l'espressione di un comportamento ostile risponde al bisogno innato di conservare la specie e l'individuo. Attraverso la funzione aggressiva (v. aggressività), infatti, l'animale definisce e protegge il territorio di sopravvivenza, difende la propria da altre stirpi, organizza e comunica le posizioni gerarchiche necessarie per la vita di gruppo. Gli studi etologici hanno dimostrato che per gli animali più evoluti l'aggressività, istinto vitale che produce importanti catene di comportamenti innati, soltanto raramente assume espressioni distruttive, volte all'annientamento dell'altro, ma si trasforma in reciproco distanziamento man mano che le specie apprendono l'uso di comportamenti rituali di segnalazione. In questo modo l'animale non mette in atto direttamente l'aggressività, ma utilizza la minaccia, manifestando lo stato emotivo in cui si trova per spaventare l'altro e farlo desistere. L'evoluzione da comportamenti inizialmente aggressivi e cruenti all'uso di moduli comunicativi rituali, caratterizzati da uno specifico repertorio comportamentale, che realizza l'attacco aggressivo attraverso un copione segnaletico, senza pervenire allo scontro fisico, ha permesso da un lato la possibilità di comunicare le emozioni suscitate dalla situazione specifica, dall'altro la creazione di un vincolo sociale. L'animale, infatti, comunicando le proprie intenzioni con l'esibizione del rituale aggressivo, esprime le proprie emozioni e realizza l'attacco, sentendosi placato e stabilendo una nuova regola sociale. Perché un rituale sia accettato e risulti efficace, i moduli comportamentali che lo caratterizzano devono essere ripetuti e riconosciuti entro il gruppo e tra gruppi limitrofi, acquisendo così lo stesso significato per tutti i membri della specie e per le specie cointeressate. In questo modo l'ira diventa per l'animale pulsione motrice di un processo fisiologico, che predispone le lontananze di sicurezza e il consolidamento di diritti che riducono le necessità di lotta. Gli studi di K. Lorenz (1966) e di molti altri dimostrano che l'evoluzione dai gruppi animali superiori ai gruppi umani mantiene intatti e pienamente funzionali i comportamenti istintivi della concatenazione - reazione, segnalazione, rituale comunicativo di distanziamento - e anche quelli primari di cortocircuito tra emozione e scatenamento aggressivo. Tuttavia lo specifico evolutivo umano aggiunge un salto incommensurabile di qualità organizzativa con la trasformazione dei segni in simboli, potenti strumenti di interpretazione e comunicazione della realtà. Per questo l'uomo è libero di aggredire brutalmente e ciecamente, di organizzare e usare concatenazioni sia geneticamente sia culturalmente trasmissibili di rituali sociali di reciproca collocazione e distanziamento, di elaborare infine piani di difesa e attacco di complessa strategia; l'applicazione di questi piani comporta una verifica dei risultati, nonché la possibilità di modificare continuamente le strategie. Emotivamente quindi parliamo di rabbia incontrollabile, di ira repressa o contenuta, di ira fredda: non è la qualità emozionale che cambia, ma il livello di integrazione dell'emozione nella nostra complessa organizzazione psichica.
La maggior parte degli antropologi considera l'ira un'emozione primaria fondamentale, caratterizzata da una mimica facciale universale, spontanea, riscontrata in tutte le culture umane e, quindi, potenzialmente innata e motrice di comportamenti filogeneticamente trasmessi e selettivamente perfezionati. Altri ricercatori, invece, prevalentemente psicologi, focalizzano l'attenzione esclusivamente sui processi di apprendimento, negando la presenza di qualsiasi elemento innato. Una mediazione è rappresentata da P. Ekman (1977), il quale ipotizza, per quanto riguarda l'ira e le altre emozioni primarie (quali felicità, tristezza, paura, disgusto e, seppur controversa, sorpresa), l'attivazione di un programma di espressione facciale universale codificato geneticamente, che però può essere modificato dall'intervento dei processi cognitivi. L'emozione, in particolare l'ira, è uno stato di disposizione o di attivazione di specifici sistemi comportamentali, caratterizzata da risposte biologiche solo parzialmente percepibili dal soggetto stesso o da un osservatore esterno (battito cardiaco, variazione della pressione ecc.), da risposte tonicoposturali, che permettono la tensione o il rilassamento del corpo, da risposte motorie strumentali (mordere, colpire, scappare), da risposte motorie espressive (mimica facciale, gesti, vocalizzazioni) e da una componente esperienziale soggettiva, che consiste nel vissuto cosciente che il soggetto prova quando è irato (Reisenzein 1983). Tale definizione permette di considerare l'emozione come agente adattativo che l'individuo possiede per affrontare l'ambiente esterno, in seguito alla sollecitazione di specifici stimoli o modificazioni ambientali. L'uomo, attraverso l'emozione, è in grado di valutare l'intensità dello stimolo in relazione ai propri bisogni, di predisporsi ad affrontare tali situazioni e di comunicare all'ambiente il proprio stato interiore, le proprie intenzioni e reazioni. Nella specie umana l'emozione assume inoltre una specifica funzione comunicativa per segnalare lo stato dell'organismo, per poter prevedere e pianificare le azioni in modo adeguato. Mentre per gli animali inferiori tendono a prevalere le posture di interazione, nei Primati e negli organismi più evoluti aumenta l'importanza espressiva del volto. Nel corso dello sviluppo di ciascun individuo, l'espressione emotiva si adegua ai comportamenti adulti, seguendo le regole culturali e sociali vigenti, e viene sottoposta al controllo dei meccanismi cognitivi che permettono di scegliere se informare o no l'altro sulle proprie emozioni. La possibilità che l'uomo possiede di elaborare un'esperienza emotiva consente di passare da un piano prevalentemente neurovegetativo e motorio, caratterizzato da schemi ormonali, vascolari e comportamentali fissi, all'opportunità di affrontare le situazioni esterne anche su un piano razionale, in grado di collocare nello spazio e nel tempo l'emergenza contingente. I bambini molto piccoli, quando provano rabbia, reagiscono violentemente, in modo esplosivo e immediato; dalla seconda infanzia fino alla preadolescenza esprimono in forma ritualizzata le emozioni appetitive e aggressive suscitate dalle relazioni interpersonali: con la ritualizzazione essi manifestano i propri turbamenti e comunicano il proprio stato e le proprie intenzioni. Con il progredire dell'età, i comportamenti ritualizzati diminuiscono e si integrano con i sistemi comunicativi tipicamente umani, rappresentativi e coscienti. L'espressione dell'aggressività evolve così nell'essere umano da un'iniziale esplosività all'uso degli automatismi comportamentali tipici dei bambini, alla formalizzazione simbolica e intellettuale, quali la disputa verbale, la battuta ironica e l'insulto. L'emozione in questo senso può essere considerata come l'origine della socialità e come il punto di incontro tra l'organico, lo psichico e il sociale.
Come si è visto in precedenza, l'ira è collegata a uno stato di tensione che l'individuo avverte a livello fisico. L'intensità di tale emozione, come peraltro delle altre emozioni umane primarie, si modifica nel corso dell'esistenza e varia sia qualitativamente sia quantitativamente da un soggetto all'altro. In psicoanalisi l'espressione diretta di emozioni quali rabbia, ira, sdegno, viene connessa direttamente con la frustrazione di quei bisogni fondamentali che il bambino sperimenta fin dai primi giorni di vita. Mentre negli stadi iniziali di sviluppo il bambino tende a conseguire un appagamento immediato delle proprie esigenze allo scopo di ottenere piacere, in un secondo tempo acquisisce la capacità di posticipare il raggiungimento della soddisfazione, limitando quelle reazioni emotive intense e dirette in funzione di un adattamento migliore alla realtà. L'aggressività esplosiva e totale del bambino molto piccolo è necessaria, perché, non disponendo di mezzi comunicativi più raffinati e mirati, ed essendo quasi del tutto impotente a soddisfare i propri bisogni, egli deve assolutamente catalizzare l'attenzione e la cura degli adulti; inoltre, se amato, viene protetto dalla seduzione che la sua stessa fragilità esercita su chi lo ama e dal fatto che la sua aggressione è proporzionalmente innocua. In seguito, affinandosi la capacità di distinguere gli stimoli esterni da quelli appartenenti al proprio mondo interno, il bambino diventa capace di mediare il bisogno con la realtà esterna e di posticipare le reazioni immediate, prevedendo la soluzione, momentaneamente negata. Tale processo si verifica grazie al rapporto che il bambino stabilisce con le figure significative di riferimento. Sono queste che gli permettono di acquisire fiducia in un rapporto provvido che garantisce la positività del posticipo della risposta di soddisfazione, ma che contemporaneamente educa alla canalizzazione costruttiva delle componenti aggressive. Il ruolo congiunto delle due figure parentali assume, secondo F. Fornari (1979), un'importanza fondamentale per aiutare il piccolo da un lato a comprendere ciò che sta provando, dall'altro a tentare modalità diverse, consistenti in comportamenti convalidati e tollerati dalla comunità nella quale vive. Ciascun genitore infatti costituisce uno dei due poli alternativi di riscontro e di richiesta, collocati insieme al bambino all'interno di un unico circuito relazionale e funzionale. Il maschile e il femminile divengono identificabili da parte della persona in divenire, e quindi sono assumibili anche come propria identificazione, nel processo di assimilazione e differenziazione che è la base primaria della formazione di identità e socialità. Queste ultime rappresentano i parametri sui quali trasformare in un mondo interno ordinato la molteplicità delle esperienze: responsabilità-trasgressione, socialità-intimità, autorevolezza-accoglienza ne costituiscono alcune sfaccettature, concretamente percepibili ed esercitabili. Comprendere le qualità dinamiche delle immagini mentali e contemporaneamente la loro matrice affettivamente ed esperienzialmente radicata nel circuito relazionale familiare, che viene messo in moto dalla imperiosa esigenza vitale di ciascun Sé al suo ingresso nella realtà, consente di mettere a fuoco come l'ira possa innescarsi anche in rapporto a immagini nonché a relazioni esistenziali ormai intrinseche all'individuo, allorché la loro carica frustrante venga evocata, rivivificata da incidenze esteriori, che apparentemente possono sembrare insignificanti.
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