Iran
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geografia umana ed economica
di Nicola Pedde
Stato dell'Asia sud-occidentale. I dati dell'ultimo censimento nazionale del 2006 sono ancora parziali e in corso di elaborazione da parte dell'Ufficio iraniano di statistica. I dati preliminari rilevano come il numero complessivo degli abitanti abbia superato i 68 milioni di unità, con un incremento di oltre 7 milioni rispetto al censimento del 1996 e di oltre 3 milioni rispetto al rilevamento statistico intercensuale del 2001. Trova, quindi, conferma il vertiginoso aumento demografico del Paese, sebbene rispetto al precedente decennio la natalità sia in lieve decremento, a sostegno della maggiore e incisiva azione da parte delle autorità governative per favorire una crescita più contenuta e, soprattutto, per promuovere un adeguato programma di informazione a sostegno delle donne e delle famiglie in generale. Il tasso di natalità è tuttora superiore al 17‰; l'aspettativa di vita è progressivamente aumentata (con evidenti differenze tra le aree urbane e quelle rurali), contribuendo considerevolmente a sostenere i numeri complessivi della popolazione. La fase acuta della transizione de-mografica è tuttora in corso e risulta improbabile una significativa variazione di tendenza nel corso del prossimo decennio, per cui la popolazione complessiva è destinata quasi certamente a incrementarsi ulteriormente. Oltre il 26% della popolazione è di età inferiore ai 15 anni, e la percentuale sale al 69% considerando gli individui sino ai 46 anni di età. Di questa popolazione estremamente giovane, circa il 53% è composta da esponenti di sesso maschile. In termini di distribuzione della popolazione, con valori altamente irregolari e disomogenei, è diminuita la percentuale della popolazione rurale (38% nel 2006), che vive generalmente in villaggi di medio-grandi dimensioni, in forte prevalenza distribuita lungo l'asse nord-sud del Paese e in maggioranza a ridosso della catena montuosa degli Zagros. Incrementata è pure la percentuale della popolazione urbana, che raggiunge il 61% e viene alimentata soprattutto dalle città principali: Teherān, Mašhad, Iṣfahān, Tabrīz e Šīrāz. Il ceppo iranico rappresenta la maggioranza della popolazione, con valori all'incirca del 54% sul totale: i Persiani sono il gruppo principale, seguiti da Gilaki, Mazandarani, Curdi, Luri e Beluci. La restante parte della popolazione è composta dalle genti di ceppo turco, Arabi e minoranze residuali.
Dominata dal settore degli idrocarburi, l'economia iraniana ha conosciuto una fase di declino tra il 1998 e il 2001, allorché i ricavi derivanti dalla vendita di prodotti petroliferi erano diminuiti sen-sibilmente in funzione della generale tendenza al ribasso del merca-to petrolifero e, non ultimo, di un decremento nell'interesse delle compagnie petrolifere straniere, in conseguenza della lentezza del governo iraniano nel rivedere le formule contrattuali per le attività dell'upstream (ossia le attività di esplorazione per la ricerca di nuovi giacimenti, di perforazione e di messa in produzione dei pozzi) e del downstream (ossia le attività di trasporto, raffinazione e marketing). A tale fenomeno, l'I. aveva cercato di fornire adeguata risposta con la promulgazione nel 2002 della nuova legge per la protezione degli investimenti stranieri che, sebbene non di diretto interesse per la contrattualistica, ha comunque rappresentato un passo avanti nella politica di apertura del Paese andando a sostituire la precedente normativa promulgata alla metà degli anni Cinquanta. In termini economici e industriali, tuttavia, il governo non era riuscito a intervenire con sufficiente incisività per promuovere una diversificazione industriale e infrastrutturale, l'una e l'altra indispensabili per assorbire crescenti quantità di manodopera disponibile. L'I. deve fronteggiare ogni anno una domanda di nuovi posti di lavoro: stime ufficiose individuano in circa 700-800.000 le nuove unità di forza lavoro a fronte di una capacità di assorbimento che si dovrebbe aggirare sulle 200.000 unità. Tutto ciò in un sistema caratterizzato da una popolazione in larghissima parte composta da giovani e con un sistema industriale, fondato sul petrolio, sempre meno in grado di produrre nuova occupazione e, soprattutto, interessato a profili progressivamente più specialistici. Nei primi cinque anni del nuovo millennio, nonostante il critico andamento della politica interna e il crescente isolamento internazionale, anche l'I. ha potuto beneficiare dell'incremento dei prezzi petroliferi. I cospicui guadagni, oltre a far crescere il PIL a un tasso medio annuo del 5,6%, sono stati largamente utilizzati per compensare il decremento dei volumi delle casse pubbliche generato nel corso degli anni Novanta del 20° sec. e, in misura minore, al fine di incrementare il tradizionale sistema di compensazione per l'occupazione attraverso il sostegno a favore dell'offerta nel settore pubblico. Non sono peraltro venuti meno, nel corso dei primi anni del 21° sec., gli investimenti effettuati dai principali Paesi europei che, anzi, in alcuni casi hanno addirittura incrementato il proprio volume d'affari e l'interscambio con l'Irān. Sotto la nuova presidenza di M. Ahmadinejad (Aḥmadīnežād), infine, il Paese si è detto pronto e favorevole allo sviluppo di nuovi e più proficui assi di collaborazione in direzione dell'Asia orientale, dell'America Latina e del subcontinente indiano, aree sempre più interessate dalla crescita nei valori della domanda di idrocarburi e particolarmente propense allo sviluppo di nuove relazioni commerciali atte a garantire la sicurezza e la continuità degli approvvigionamenti. Cina e India, potenzialmente, sono in procinto di diventare gli interlocutori privilegiati dell'I., parallelamente agli storici partner europei e alla Russia, impegnata quest'ultima anche nel concreto sviluppo del programma nucleare locale.
I buoni risultati economici ottenuti nei primi anni del 21° sec. hanno avuto positivi riscontri anche in termini di PIL e di bilancia commerciale, ma non sulla disoccupazione, che è rimasta elevata (ufficialmente 11%), e sull'inflazione (15,6%), che ha ripreso a crescere nonostante una politica monetaria che ha avuto come esito una sopravvalutazione della moneta nazionale. Gran parte delle attività produttive è sotto il controllo dello Stato. Il settore agricolo costituisce circa il 20% del valore del PIL, con un intenso programma di sviluppo finanziato dal governo nel tentativo di limitare l'eccessiva esposizione della bilancia di settore, ancora largamente in passivo data l'ingente importazione di derrate alimentari. In modo prioritario, le attività agricole, che soffrono di una cronica scarsità d'acqua e dell'eccessiva divisione della proprietà terriera, sono concentrate sulla coltivazione dei cereali (area dell'Azerbaigian in particolare), del riso (area del Gilan) e dell'orzo, nonché del tè, bevanda nazionale (Gilan e Māzandarān). L'I. è poi uno dei maggiori produttori di datteri e di pistacchi, sebbene sia altamente penalizzato nell'espor-tazione da una cronica carenza infrastrutturale e dalla tenace concorrenza della Turchia soprattutto lungo la direttrice europea. Lungo le coste del Mar Caspio è sviluppata la pesca dello storione, pregiato per le uova con le quali si prepara il caviale: a Bandar-e-Anzalī opera un centro di raccolta e di lavorazione. Per quanto riguarda il settore secondario, l'I. è ancora pesantemente penalizzato dall'assenza di una diversificazione industriale e dalla carenza delle infrastrutture, con un sistema economico ancora largamente fondato sui proventi della produzione degli idro-carburi e di conseguenza sottoposto alla congiuntura mondiale. Il Paese detiene il 10% delle riserve mondiali di petrolio, mentre per il gas naturale è al secondo posto nel mondo per il totale delle riserve: nel 2004 sono stati prodotti circa 200 milioni di t di petrolio e 79 miliardi di m3 di gas naturale ed entrambi hanno rappresentato oltre l'80% delle esportazioni nazionali.
bibliografia
J. Amuzegar, Managing the oil wealth: OPEC's windfalls and pitfalls, London-New York 1998.
N.R. Keddie, R. Matthee, Iran and the surrounding world: interactions in culture and cultural politics, Seattle 2002. A.M. Ansari, Modern Iran since 1921: the Pahlavis and after, London-New York 2003.
Storia
di Silvia Moretti
Al passaggio del secolo in I. si manifestò in tutta la sua radicalità lo scontro tra il movimento riformatore, premiato dal consenso popolare nelle ultime competizioni elettorali, e le istituzioni più conservatrici del regime teocratico (Consiglio dei guardiani e organi del potere giudiziario innanzitutto), appannaggio delle forze più oscurantiste del Paese. Nella seconda metà del 1999, infatti, la protesta di decine di migliaia di studenti dell'università di Teherān in favore della libertà di stampa e contro l'oppressione culturale del regime provocò la violenta reazione degli organi del potere giudiziario che, forti dell'appoggio incondizionato delle moschee, dei mollā e dei corpi della polizia segreta, tra agosto e settembre decretarono o confermarono la chiusura di alcuni importanti organi di stampa riformisti e liberali. Nel mese di novembre, inoltre, una figura di alto profilo dello schieramento riformista, ̔A. Nūrī, già ministro dell'Interno, fu arrestato e condannato a cinque anni di prigione. Ciò nonostante, nel 2000 il responso delle urne fece registrare ancora una volta un importante successo dello schieramento riformista, che per la prima volta dalla rivoluzione islamica del 1979 conquistò la maggioranza in Parlamento (Maǧlis): dopo i due turni elettorali di febbraio e maggio, ai riformisti e ai loro alleati vennero attribuiti circa 200 seggi, mentre i restanti 90 andarono ai conservatori. Ma nel mese di aprile alcune leggi fortemente restrittive della libertà di stampa, emanate dal vecchio Parlamento a poche settimane dalla scadenza del mandato, colpirono duramente la stampa libera del Paese, schierata da sempre con il presidente S.M. H̱atamī, eletto nel 1997. Con l'appoggio incondizionato del potere giudiziario, infatti, oltre 20 giornali vennero chiusi e molti direttori e giornalisti arrestati.
Nei primi mesi del 2001, in un clima di crescente tensione politica, l'I. si preparò alle elezioni presidenziali del 9 giugno che fecero registrare il nuovo successo del presidente H̱atamī con circa il 78% dei voti. La vittoria dei riformisti, tuttavia, non pregiudicò la posizione di forza dei conservatori nelle alte sfere del potere, come fu evidente dagli arresti e dalle accuse lanciate contro alcuni parlamentari, esponenti politici e giornalisti tra il dicembre 2001 e il gennaio 2002. Nei mesi successivi furono vietate dalle autorità religiose le commemorazioni delle giornate della rivolta studentesca del luglio 1999, mentre gli esponenti riformisti più in vista condannavano il blocco delle riforme sia politiche sia sociali operato dai conservatori più intransigenti, denunciando ancora una volta l'impotenza del Parlamento e del governo, impossibilitati ad aggirare il potere di veto del Consiglio dei guardiani su qualsiasi legge da essi presentata. Il potere arbitrario di supervisione di questo organo, un corpo non eletto di 12 membri (di cui sei esponenti del clero nominati dal leader supremo, e sei giuristi scelti dalle massime autorità giudiziarie e approvati dal Parlamento), minacciava l'effettiva realizzazione delle riforme promesse da H̱atamī al Paese. Nel settembre 2002 fu proprio quest'ultimo a presentare una bozza di legge che ventilava la possibilità di affidare al ministro degli Interni il compito di approvare i candidati ritenuti idonei per le competizioni elettorali, sottraendolo al Consiglio dei guardiani, e cercava anche di limitare il raggio d'azione del potere giudiziario e di altri alti organismi, obbli-gandoli a una maggiore aderenza al dettato costituzionale. Approvate preliminarmente dal Parlamento in novembre, le due proposte di legge furono sostenute dalla mobilitazione dei parlamentari liberali e riformisti che fecero blocco intorno a H̱atamī. Ma al di fuori del Parlamento i conservatori più intransigenti godevano di una grande libertà d'azione, come dimostrò il processo a H. Āġāǧarī, l'intellettuale riformista molto vicino al presidente H̱atamī, accusato di apostasia e blasfemia e di aver sostenuto pubblicamente la necessità di una riforma dell'Islam. La sua condanna a morte provocò non pochi malumori anche tra i conservatori, tanto da indurre il leader supremo, l'āyatollāh ̔A. Hāmene̔ī, a chiedere una revisione del caso, mentre nel Paese cresceva la mobilitazione tra gli studenti. Nel febbraio 2003 la Corte suprema annullava la prima sentenza, condannando Āġāǧarī ad alcuni anni di prigione. Alla fine dello stesso mese i risultati delle consultazioni amministrative segnalavano la prima inversione di rotta dalle elezio-ni del 1997: una partecipazione elettorale molto bassa, cui molti imputarono la sconfitta di H̱atamī, punito per il fallimento della sua politica di riforma, portò al successo i conservatori, che in alcuni importanti municipi, come a Teherān, si aggiudicarono il totale dei seggi. Figura emergente nel panorama politico iraniano fu quella del nuovo sindaco ultraconservatore della capitale, M. Ahmadinejad, un civile che negli anni Ottanta, durante il conflitto con l'Irāq, si era arruolato volontario nei Guardiani della rivoluzione, i cosiddetti pāsdārān, diventandone uno dei comandanti. Un mese dopo le con-sultazioni un nuovo pesante smacco per il fronte riformista fu la bocciatura da parte del Consiglio dei guardiani della proposta di legge presentata da H̱atamī, che auspicava l'eliminazione della supervisione sui candidati elettorali da parte del Consiglio stesso.
Il 2004 si aprì con un nuovo scontro: nel mese di gennaio il Consiglio dei guardiani, in previsione della consultazione politica prevista per il mese successivo, non ammetteva alla competizione circa 2000 degli aspiranti 8000 candidati. Il provvedimento colpiva in modo mirato lo schieramento riformista, inclusi ottanta membri del parlamento in carica, e il richiamo di Hāmene̔ī non smosse il Consiglio dalle sue posizioni, fatta eccezione per la decisione di riammettere un piccolo numero di esclusi. Profondamente disorientato, lo schieramento riformista, indebolito dalle esclusioni, si divise e solo alcune formazioni coalizzate scelsero di partecipare alla competizione che si svolse in due turni (febbraio e maggio) e fece registrare una partecipazione popolare del 51%. Ai conservatori il successo delle urne assicurò la maggioranza dei seggi (195); i restanti 95 furono divisi quasi equamente tra riformatori e indipendenti. Per le elezioni presidenziali del giugno 2005 si ripropose lo stesso scenario: l'esclusione di due figure di spicco dello schieramento riformista provocò ancora una volta l'intervento di mediazione di Hāmene̔ī. In questo caso il Consiglio si pronunciò per il reintegro nella competizione dei due esclusi, uno dei quali, M. Mo̔īn, era considerato tra i candidati di punta dei riformatori. A sorpresa le elezioni furono vinte al secondo turno da Ahmadinejad, forte del sostegno e della capillare mobilitazione delle moschee, dei pāsdārān e dei basīj, un corpo paramilitare di volontari nato all'inizio degli anni Ottanta e che poteva contare su più di un milione di affiliati. In leggero vantaggio su Ahmadinejad al primo turno, lo sconfitto A.H. Rafsanǧānī, il potente conservatore moderato già presidente della repubblica dal 1989 al 1997, non aveva saputo convincere l'elettorato riformista, soprattutto i giovani e gli studenti tra i quali godeva di una forte impopolarità.
Una sapiente miscela di retorica nazionalista, populismo e giustizialismo in nome dell'Islam aveva premiato il neopresidente, la cui vittoria impose un brusco arresto alla vitalità e alla dialettica interna del Paese. Ma le difficoltà incontrate da Ahmadinejad nella formazione del suo primo governo lasciavano intravedere numerose contraddizioni e punti di svolta: in primo luogo, il reclutamento di una nuova classe politica tra le fila dei pāsdārān provocò, immediata, la prevedibile reazione dei poteri forti del Paese, i vertici del clero, arricchitisi con i proventi del petrolio e, fino all'ascesa di Ahmadinejad, protagonisti indiscussi della ribalta iraniana e dei rapporti internazionali. Nello scontro intorno alla nomina del ministro del Petrolio (per ben tre volte, infatti, il Parlamento bocciò per provata inesperienza i candidati proposti dal nuovo presidente), Ahmadinejad da una parte doveva far fede a quanto promesso in campagna elettorale spazzando via le 'mafie del petrolio' e ridistribuendo più equamente le entrate, ma dall'altra doveva anche garantire ai suoi grandi elettori un buona fetta del potere eco-nomico, subendo così la reazione degli āyatollāh.
Sul fronte internazionale le scelte di Ahmadinejad sembravano tutte convergere nell'ambizioso obiettivo di fare dell'I. una potenza regionale, anche sulla scia del fallimento della politica interventista degli Stati Uniti in ̔Irāq, che aveva permesso proprio all'I. di recuperare una posizione di forza in un Paese tradizionalmente ostile. La strategia aggressiva di Ahmadinejad faceva leva sul tradizionale nazionalismo 'persiano', nel tentativo di ricompattare attorno al regime una popo-lazione delusa da una stagione di riforme mai realizzate. Le pesanti invettive contro Israele, minacciata nella sua stessa esistenza, il sostegno alle azioni degli ḥezbollāh libanesi, la grande enfasi posta sul programma nucleare, sicuramente esponevano il Paese alle reiterate condanne del presidente degli Stati Uniti G.W. Bush, che fin dal 2002 aveva inserito l'I., con ̔Irāq e Corea del Nord, in un presunto 'asse del male' principale responsabile del terrorismo mondiale, ma permettevano altresì all'I. di guadagnare prestigio nella regione in una congiuntura di grave crisi che vedeva emarginati i Paesi tradizionalmente più moderati.
bibliografia
S.F. Sabahi, Storia dell'Iran, Milano 2003.
Limes, 2005, 5, nr. monografico: L'Iran tra maschera e volto.
A.M. Ansari, Confronting Iran: the failure of American foreign policy and the next great crisis in the Middle East, New York 2006.
R. Takeyh, Hidden Iran. Paradox and power in the Islamic republic, New York 2006.