IRAN
IRĀN. – Demografia e geografia economica. Storia. Bibliografia. Letteratura. Bibliografia. Sitografia. Cinema. Bibliografia
Demografia e geografia economica di Matteo Marconi. – Stato dell’Asia sud-occidentale. La crescita demografica tra il 2005 e il 2014 ha portato a un aumento della popolazione di circa l’11,9%, arrivata a 78.470.222 abitanti, secondo una stima UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs). La dinamica demografica non è legata alle migrazioni, ma all’incremento naturale (13,8% nel 2012). La maggioranza relativa della popolazione (circa il 30%) è compresa tra 15 e 29 anni, mentre la speranza di vita è leggermente aumentata, raggiungendo 74,0 anni (2013). La maggior parte degli iraniani vive in aree urbane, con il picco di Teherān, che vanta ben 12.183.391 abitanti. L’accesso all’acqua potabile e la disponibilità giornaliera di calorie si mantengono su standard elevati, mentre la spesa per la sanità si è quasi dimezzata negli ultimi anni. Notevole, invece, la spesa per l’istruzione, pari al 3,7% del PIL (2013), che ha portato a rendere obbligatoria l’istruzione elementare per garantire un alto livello di alfabetizzazione. Nell’immatricolazione universitaria è da rimarcare che le studentesse superano in numero gli studenti. In costante diminuzione è il numero degli analfabeti, che si è fissato nel 2012 al 15,7%. A causa delle sanzioni economiche dei Paesi occidentali nei confronti dell’I., nel 2013 il PIL era in contrazione (−1,9%) e l’inflazione aveva raggiunto livelli preoccupanti (35,2 nello stesso anno). Nel 2014 il PIL era dato in ripresa (1,5%), anche in conseguenza dell’alleggerimento delle politiche sanzionatorie.
Un’ulteriore criticità è data dalla guerra dei prezzi, in corso nel 2014 sugli idrocarburi, che minaccia un’economia fortemente dipendente da gas e petrolio. Si pensi che nel bilancio statale del 2013 le spese hanno superato le entrate di ben il 75% e la disoccupazione ha raggiunto il 12,9%. Sebbene nel 2014 il PIL sia tornato con segno positivo, la guerra dei prezzi sugli idrocarburi decisa dall’Arabia Saudita pone seri interrogativi sul futuro. L’impatto della crisi economica sulla popolazione è calmierato dal controllo statale sui costi dei beni di consumo. Nel settore primario il fabbisogno nazionale continua a non essere coperto per mancanza di risorse idriche sufficienti alla coltivazione estensiva e la produzione delle maggiori merci agricole è rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi anni. La percentuale di iraniani impiegati nel settore agricolo va diminuendo costantemente (circa 18% nel 2013), mentre aumenta l’importanza relativa del settore terziario. L’industria estrattiva rimane la principale attività economica iraniana. L’I. è il terzo produttore mondiale di gas naturale, con un aumento della produzione pari al 50% tra il 2006 e il 2012. Per quanto riguarda il petrolio è il sesto produttore mondiale, con una produzione costante negli ultimi anni, perlopiù diretta in Cina. Una delle questioni più delicate dal punto di vista economico e politico è la volontà iraniana di produrre energia elettrica attraverso lo sviluppo della tecnologia nucleare, richiesta che viene giustificata con la necessità di destinare maggiori quote di idrocarburi all’esportazione. Le spese militari risultano basse rispetto al PIL (2,4% nel 2014), nonostante il Paese sia impegnato in una notevole proiezione geopolitica.
Storia di Silvia Moretti. – Considerato dagli analisti politici e dalle maggiori potenze mondiali elemento imprescindibile nella normalizzazione della situazione mediorientale, l’I. dei primi decenni del 21° sec. continuava a ritagliarsi uno spazio da protagonista nella regione finanziando movimenti e Paesi amici: il partito libanese sciita Ḥezbollāh, i sunniti palestinesi di Ḥamās e soprattutto il dittatore siriano Baššar al-Asad il cui regime veniva minacciato dalla fine del 2011 da una sanguinosa guerra civile. Il disegno egemonico iraniano appariva da sempre in rotta di collisione con la visione assolutistico-dinastica dell’Arabia Saudita, campione dell’ortodossia sunnita, con la quale l’I. sciita combatteva una sfida dai toni drammatici per la supremazia regionale. L’atteggiamento aggressivo dell’I., forte del suo programma nucleare in fase avanzata e delle sue reiterate minacce allo Stato di Israele, attirava l’attenzione degli Stati Uniti la cui influenza politica in Medio Oriente appariva compromessa dalla lunga crisi irachena e dal fallimento delle scelte fin lì operate nei conflitti in corso. In questo contesto, l’I. si profilava quale potenziale interlocutore di Washington nonostante tutt’altro scenario avesse prefigurato nel 2005 il successo di Maḥmūd Aḥmadīnejād nelle elezioni presidenziali. La sua lunga presidenza (2005-13), caratterizzata da un ritorno all’oscurantismo e all’intolleranza, aveva conosciuto un momento di crisi profonda in occasione delle elezioni presidenziali del giugno 2009 che intercettarono il forte malcontento diffuso nella società civile e tra i giovani, la punta più avanzata dell’opposizione al regime con una spiccata e significativa presenza femminile. Oppressi dalla pervasività quotidiana dei divieti imposti dalla morale religiosa (per es., la separazione in pubblico tra uomini e donne cui si vorrebbe impedire, in assenza di parentela stretta, anche il minimo contatto fisico), i giovani scesero in piazza per appoggiare i candidati riformisti.
L’annuncio della vittoria elettorale di Aḥmadīnejād, con oltre il 62% dei voti, fu immediatamente contestato dal le opposizioni, che organizzarono imponenti manifestazioni di piazza in segno di protesta. In pochi giorni, dopo la conferma della validità del voto da parte della Guida suprema, il Paese precipitò nel caos e, mentre centinaia di migliaia di cittadini si riversavano nelle piazze chiedendo trasparenza politica e maggiori libertà (il movimento prese il nome di Onda verde dal colore dei vessilli agitati nelle strade), le immagini della rivolta e della brutale repressione da parte delle forze di polizia facevano il giro del mondo. La crisi di consenso intorno ad Aḥmadīnejād, che ridusse al silenzio l’opposizione, non intaccò il potere di controllo del clero sciita: una struttura teocratica, quella degli āyatollāh, tetragona a qualsiasi variazione politica, e che conservava inalterata la sua capillare penetrazione nella società e un ampio spazio di manovra in ambito economico.
Sul fronte internazionale, tra il 2011 e l’inizio del 2013, l’amministrazione statunitense ribadiva la linea delle sanzioni per punire l’I. per il suo programma nucleare, colpendo oltre al mercato petrolifero e petrolchimico anche il settore bancario e finanziario iraniano. Dopo l’elezione del religioso moderato Hassan Rouhani alla presidenza (giugno 2013), l’I. sembrava ritrovare un cauto ottimismo nella speranza di vedere archiviata una stagione di oltranzismo oscurantista all’interno e di scelte economiche velleitarie e poco fortunate all’esterno. Il nuovo presidente, infatti, s’impegnò in primo luogo a riabilitare la reputazione dell’I. nel consesso internazionale per cercare di limitare i danni provocati dallo scontro aperto con l’Occidente, operando al contempo per far crescere la sintonia con alcuni Paesi del Golfo (῾Omān, Qaṭar, Emirati Arabi Uniti). La questione nucleare ritornava così al centro dell’attenzione della comunità internazionale e l’I. sembrava rinunciare a far leva sul suo programma atomico come strumento di terrore avviando con gli stessi Stati Uniti negoziati segreti ospitati nel novembre 2013 in ῾Omān. In quello stesso mese l’accordo siglato a Ginevra tra l’I. e il gruppo dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania venne salutato dal presidente statunitense Obama come il successo del nuovo corso diplomatico per il quale l’I., in cambio di un alleggerimento delle sanzioni, s’impegnava a porre un freno al suo programma nucleare. La fase finale del negoziato, dopo l’appuntamento interlocutorio di luglio 2014, si svolgeva in un clima di crescente scetticismo: nel mese di novembre, infatti, non si facevano significativi passi in avanti sulla questione, centrale, dell’arricchimento dell’uranio, cui l’I. non era disposto a rinunciare del tutto come invece chiedevano gli Stati Uniti, e lo slittamento di ulteriori sei mesi faceva il gioco di quegli attori regionali impegnati a delegittimare l’I., primi fra tutti i sauditi e gli israeliani. Ad aprile 2015, accolto da grande entusiasmo in I. e dalla condanna senza appello di Israele, arrivava in extremis l’accordo preliminare che prevedeva la revoca di tutte le sanzioni contro l’I. in cambio di una sensibile diminuzione nel numero delle centrifughe già installate e del costante monitoraggio dei siti nucleari iraniani da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). Il 14 luglio 2015, con la firma conclusiva degli accordi, la ripresa del dialogo tra I. e Stati Uniti, fortemente voluta dal presidente Obama, appariva un fatto compiuto, chiudendo così un lungo periodo di forti tensioni tra i due Paesi. Nuovi orizzonti geopolitici si aprivano in Medio Oriente: sollevato dalla pesante umiliazione economica delle sanzioni, l’I. poteva rilanciare la sua politica di espansione regionale lasciando intravedere all’interno una speranza di riforme e aperture liberali per la società civile che le invocava da tempo e, all’esterno, un possibile rimescolamento delle alleanze.
La domanda sull’inclusione/esclusione dell’I. nella questione cruciale della sicurezza regionale rimaneva comunque aperta e trovava una sponda in tutti i focolai di crisi: dalla Siria al Pakistan, dall’Afghānistān all’Irāq dove, tra marzo e aprile del 2015, consiglieri militari e combattenti iraniani contribuivano alla liberazione di Tikrit dalle milizie del gruppo terroristico dello Stato islamico (IS).
Bibliografia: «Limes», 2012, 1, nr. monografico: Protocollo Iran; M. Axworthy, Revolutionary Iran. A history of the Islamic republic, Oxford-New York 2013; M.J. Zarif, What Iran really wants. Iranian foreign policy in the Rouhani era, «Foreign affairs»,2014, 93, 3, pp. 49-59.
Letteratura di Bianca Maria Filippini. – Il panorama letterario iraniano continua a registrare una maggiore fortuna delle opere in prosa, in termini sia di produzione sia di accoglienza, a scapito della poesia, forma letteraria privilegiata dalle origini della tradizione letteraria persiana fino, almeno, al secolo scorso. Nel mondo della prosa è il racconto breve (dāstān-e kutāh) che più si attaglia a raccontare con immediatezza i repentini cambiamenti e traumi, primi fra tutti la rivoluzione del 1979 e la lunga guerra Irān-῾Irāq combattuta negli anni Ottanta, di una nazione in cerca di equilibrio.
La più recente letteratura iraniana si è allontanata in misura sempre maggiore da un programmatico impegno sociale e si è mostrata invece incline a riflettere sulle storie minute della quotidianità in cui si annidano ansie, frustrazioni e speranze comuni a diverse latitudini. Si tratta di una letteratura di domande sul senso di sé e della vita che travalica confini spazio-temporali per assumere una dimensione universale.
Nel panorama letterario iraniano degli ultimi dieci anni si conferma una massiccia presenza femminile. Catapultate sulla scena sociale dalla rivoluzione e dalla guerra, le donne dominano la scena letteraria sia in termini di numero di lettori, di impatto sociale sia in termini di trattazione di temi di urgente interesse come le relazioni di genere e le problematiche identitarie.
Tra i nomi emersi in questo periodo figurano Sārā Sālār (n. 1966) e Mahsā Moheb῾ali (n. 1972), vincitrici del prestigioso premio Golshiri (dedicato a uno dei padri della narrativa contemporanea iraniana) nel 2010, rispettivamente con Ehtemālan gom shode-am (Probabilmente mi sono persa), nella categoria miglior primo romanzo, e con Negarān nabāsh (Non ti preoccupare), nella categoria miglior romanzo. Dalla scrittura personale e convinta della Sālār emerge un ritratto della capitale con tutti i lati oscuri delle metropoli occidentali e anche il romanzo della Moheb῾ali ha come protagonista una delirante Teherān scossa da violente ondate sismiche. Continuano a essere prolifiche autrici ormai acclamate da critici e lettori come Farkhonde Āghā᾽i (n. 1956), Shivā Arastu᾽i (n. 1962), Nāhid Tabātabāi (n. 1958), Faribā Vafi (n. 1962). Quest’ultima, in particolare, pluripremiata (di cui si ricorda Ba῾d az pāyān, 2014, Dopo la fine) si distingue per aver portato alla ribalta – attraverso un linguaggio minimalista e uno spiccato tono intimistico – storie di donne comuni, impegnate nella difficile gestione di una quotidianità familiare in cui il proprio ruolo appare sempre più angusto. I racconti della Vafi, come quelli di molte altre scrittrici iraniane contemporanee, scavano, non senza humour, nell’instabilità dei ruoli di genere, la cui crisi sembra rientrare in una più ampia e complessa domanda sulla formazione dell’identità individuale, pubblica e nazionale.
La letteratura postrivoluzionaria si caratterizza, rispetto al passato, per un’ampia diversificazione di temi, linguaggi e tecniche di narrazione. Scrittori come Mohammad Rezā Safdari (n. 1953), ad es., rientrano nel novero dei cosiddetti autori regionali, le cui opere sono permeate dell’atmosfera e dei colori della propria zona di origine e offrono un’ampia messe di informazioni etnografiche.
Nel campo della più recente letteratura per l’infanzia e l’adolescenza ricordiamo nomi come Faribā Kalhor (n. 1961), Mortezā Khosronejād (n. 1954) e Mohammad Rezā Yusefi (n. 1953).
Sconfinata è la produzione che rientra nel genere della letteratura di guerra o della Sacra difesa (defā῾-e moqaddas, termine utilizzato dalla propaganda della Repubblica islamica per definire la ‘guerra imposta’ da Ṣaddām Ḥusayn). Tra gli autori di racconti e romanzi incentrati sui temi della guerra e dell’alienazione, frutto dell’esperienza diretta della vita al fronte, si annoverano Habib Ahmadzāde (n. 1964), autore di Dāstānhā-ye shahr-e jangi (2006, Racconti dalla città in guerra) e Shatranj bā māshin-e qiyāmat (2008, Partita a scacchi con la macchina del Giudizio universale), e Ahmad Dehqān (n. 1966; Man qātel-e pesaretān hastam, 2010, Sono l’assassino di tuo figlio). Queste opere, per quanto spesso strumentalizzate a fini propagandistici, non mancano di chiari intenti critici e sono caratterizzate da una quasi totale mancanza di demonizzazione del nemico.
Un caso letterario ampiamente sostenuto dal governo iraniano è quello del monumentale Dā (2008, Madre), opera in cui Seyyede A῾zam Hosseini (n. 1972) raccoglie le testimonianze di una ragazza, Zahrā Hosseini, durante la presa di Khorramshahr. Nel 2009 quest’opera ha ricevuto il più prestigioso premio letterario governativo, intitolato al noto intellettuale prerivoluzionario Jalāl Āl-e Ahmad, alla presenza del ministro della cultura Seyyed Mohammad Hosseini e dello speaker del Parlamento ῾Ali Lārijāni.
Tra i più audaci esperimenti nel campo della narrativa postmoderna si ricordi su tutti il caso di Abu Torāb Khosrāvi (n. 1956) che, dopo i successi di ῾Asfār-e kātebān (2000, I libri degli scribi) e Rud-e rāvi (2003, Il fiume Ravi), nel 2014 ha ricevuto il premio Jalāl Āl-e Ahmad per il suo romanzo Malekān-e ῾azāb (Gli angeli del tormento). Tra i più popolari scrittori iraniani approdati alla letteratura seguendo gli ideali della rivoluzione va citato Mostafa Mastur (n. 1964), la cui ultima raccolta di racconti (Tehrān dar ba῾d az zohr, 2010, Teherān nel pomeriggio) è stata ristampata 12 volte in meno di un anno. Tra i più giovani autori vi sono Rezā Amirkhāni (n. 1973), appartenente alla cosiddetta generazione della moschea, i cui romanzi si rivelano sempre best seller che attraggono insieme sostegno governativo e successo di pubblico pur non raccogliendo un giudizio unanime da parte della critica, e Mohammad Tolou῾i (n. 1979) che, con un linguaggio innovativo, ha dato voce ai personaggi più originali della recente narrativa iraniana.
Nel non trascurabile campo della poesia alcuni dei nomi più apprezzati negli ultimi anni sono quelli di Bahāre Rezāi (n. 1977), Rojā Chamankār (n. 1981), Minou Nosrat (n. 1957), Ahmad Rezā Ahmadi (n. 1940), ῾Ali Asadollāhi (n. 1987), Rezā Chāichi (n. 1962).
Non c’è dubbio che gli anni di presidenza Aḥmadīnejād (agosto 2005-agosto 2013) sono stati difficili per il mercato librario, con un aumento vertiginoso del costo della carta e vessazioni ai danni delle case editrici indipendenti e dei comitati organizzatori di premi letterari non governativi. Il mercato, bloccato da controlli censori molto meticolosi, ha proposto perlopiù ristampe, spesso soggette a revisione. Sul terreno della cultura, e in particolare della narrativa, si sono combattute vere e proprie battaglie politiche che hanno danneggiato autori e lettori.
Tra le personalità letterarie scomparse in questo periodo vi sono Esmā῾il Fasih (1935-2009), autore del celebre Sorayā dar eghmā (1984, Soraya in coma) e del primo romanzo sul tema della guerra Irān-῾Irāq, Zemestān-e shasto do (1987, L’inverno dell’83); Simin Dāneshvar (19212012), moglie di Jalāl Āl-e Ahmad e una delle poche autrici attive fin dall’epoca pahlavī, e la poetessa Simin Behbahāni (1927-2014), ricordata come ‘la leonessa dell’Irān’, che nel 2013 aveva ricevuto il premio ungherese Janus Pannonius, una sorta di Nobel per la poesia.
Bibliografia: J. Mirsādeqi, Fiction II (C). The short story, e H. Yavari, Fiction II (B). The novel, in Encyclopaedia Iranica, ed. E. Yarshater, 9° vol., New York 1999, rispett. pp. 592-97 e580-92; K. Talattof, The politics of writing in Iran. A history of modern Persian literature, New York 2000; Strange times, my Dear. The PEN Anthology of contemporary Iranian literature, ed. N. Mozaffari, A. Karimi-Hakkak, New York 2005, 20112; M. Sharifi, Farhang-e adabiyyāt-e fārsi (Dizionario della letteratura persiana), Teherān 1387/2008, 1390/20114; M. Smurzynski, Il romanzo postmoderno nell’Iran postrivoluzionario, in L’Iran e il tempo. Una società complessa, a cura di A. Cancian, Roma 2008, pp. 181-96; A. Vanzan, Figlie di Shahrazād. Scrittrici iraniane dal XIX secolo ad oggi, Milano 2009; General introduction to Persian literature, ed. J.T.P. de Bruijn, London-New York 2009; The necklace of the Pleiades. 24 essays on Persian literature, culture and religion, ed. F. Lewis, S. Sharma, Leiden 2010; S. Rahbaran, Iranian writers uncensored. Freedom, democracy, and the world in contemporary Iran, Champaign 2012; «Europe. Revue littéraire mensuelle», 2012, 997, nr. monografico: Littérature d’Iran; Tehran noir, ed. S. Abdoh, New York 2014.
Sitografia: http://www.parsagon.ir/; http://rendaan.blogspot.it/; http://vazheganekhis.blogfa.com/.
Cinema di Massimo Causo. – Affermatasi sulla scena internazionale tra gli anni Ottanta e Novanta, con un gruppo di autori che seppero adattare al clima imposto dalla Repubblica islamica, dopo la rivoluzione del 1979, le spinte di rinnovamento espresse a metà degli anni Settanta dai registi della nouvelle vague iraniana, la cinematografia dell’I. si è affacciata al nuovo secolo confermando le caratteristiche di una produzione sorretta da alcune figure autoriali forti, che si fanno carico di un confronto problematico e profondo con le istanze di una società in bilico tra il rigore delle istituzioni religiose e l’anelito libertario e laico di ampie fasce della popolazione. In uno scenario gravato dalle vicende politiche, in cui l’elezione nel 2005 dell’ultraconservatore Mahmoud Aḥmadīnejād a presidente della Repubblica islamica ha portato a un inasprirsi del controllo sulla vita sociale da parte dei ‘guardiani della rivoluzione’ (i pāsdārān) e ha inaugurato un lungo periodo di isolamento internazionale del Paese, autori come Abbas Kiarostami (n. 1940), Mohsen Makhmalbaf (n. 1957), Jafar Panahi (n. 1960), Bahman Ghobadi (n. 1969), Asghar Farhadi (n. 1972) e Rafi Pitts (n. 1967) si sono fatti portatori di un’analisi problematica delle dinamiche sociali, che si traduce in un dissidio ora sottinteso nella forma del dramma, ora esposto con gli strumenti della poesia, ora dichiarato in una lirica ribellione al potere.
Sono questi gli anni in cui Kiarostami si è mosso tra la libertà espressiva della camera digitale leggera (ABC Africa, 2001; Dah, 2002, Dieci) e lo studio psicologico di personaggi immersi in scenari stranieri (l’Italia in Copie conforme, 2010, Copia conforme; il Giappone in Like someone in love, 2012, Qualcuno da amare), mentre Makhmalbaf, dopo aver lasciato con la sua famiglia l’I. ed essersi dedicato a progetti umanitari in Afghānistān, ha cercato nell’approccio filosofico alla realtà le ragioni di quel benessere spirituale negato all’uomo (Sex o phalsapheh, 2005, noto con il titolo Sex and philosophy; Faryad moorcheha, 2006, Viaggio in India; Bagheban, 2012, The Gardner), spingendosi infine a creare una metafora della follia del potere autoritario in The President (2014). Panahi, dopo aver denunciato la subalternità imposta alle donne dal regime (Offside, 2006), è divenuto invece protagonista di una forma di resistenza attiva dall’interno del suo Paese e, condannato nel 2009 a sei anni di prigione e all’interdizione dal fare film per aver partecipato ai moti di piazza conseguenti la contestata rielezione di Aḥmadīnejād, ha iniziato a produrre in clandestinità e con mezzi digitali leggeri opere in cui denuncia la sua condizione di prigionia e, per metafora, quella di tutto il popolo iraniano (In film nist, 2011, noto con il titolo This is not a film; Pardé, 2013, noto con il titolo Closed curtain; Taxi, 2015). Ghobadi, invece, affermatosi con due drammi ambientati nella comunità curda iraniana di cui è originario (Zamani barayé masti asbha, 2000, Il tempo dei cavalli ubriachi, e Lakposhtha parvaz mikonand, 2004, noto con il titolo Turtles can fly), si è imposto con Kasi az gorbehaye irani khabar nadareh (2009; I gatti persiani), vibrante affresco della scena giovanile di Teherān. Un netto rilievo internazionale ha raggiunto anche Farhadi, che, in opere come Darbâreye Eli (2009; About Elly), Jodái-e Náder az Simin (2011; Una separazione) e Le passé (2013; Il passato), unisce la predilezione per le problematiche di relazione e le dinamiche psicologiche a una innata capacità di mettere alla prova la tenuta drammatica di situazioni e personaggi. Chiare potenzialità ha mostrato infine l’emergente Pitts che, pur formatosi in Europa, non rinuncia ad ambientare in I. i suoi drammi rigorosi e metaforici (Sanam, 2000; Zemestan, 2005, noto con il titolo It’s winter; Shekarchi, 2010, The Hunter).
Bibliografia: S. Zeydabadi-Nejad, The politics of Iranian cinema. Film and society in the Islamic Republic, London 2010; S. Esfandiary, Iranian cinema and globalization. National, trans national, and Islamic dimensions, Bristol 2012.