IRAP e professionisti: l'autonoma organizzazione
L’individuazione dei caratteri fondanti del concetto di attività autonomamente organizzata riferito ai lavoratori autonomi ha destato, sin dall’introduzione dell’IRAP, rilevanti perplessità, al punto che, a tutt’oggi, il dibattito di dottrina e giurisprudenza sul tema non sembra giunto ad univoche conclusioni. In questa prospettiva, appare utile ripercorrere brevemente l’evoluzione giurisprudenziale in materia e dare conto degli ultimi approdi interpretativi della Suprema Corte: la conferma della perdurante attualità della querelle è data, infatti, dalla rilevanza mediatica ricevuta dalla recente pronuncia resa dai giudici di legittimità (cfr. Cass., S.U., 10.5.2016, n. 9451) che, da ultimo, tenta una ricostruzione sistematica della nozione di attività autonomamente organizzata riferibile ai professionisti.
L’Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) è stata istituita con il d.lgs. 15.12.1997, n. 4461 ma, nonostante la longevità di questo tributo, molti dubbi interpretativi ancora oggi attengono all’esatta configurazione del presupposto impositivo riferita, in particolare, ai lavoratori autonomi, in relazione ai quali resta l’oggettiva difficoltà di accertare, di volta in volta, la sussistenza dell’attività “autonomamente” organizzata.
A questo proposito, l’art. 2 del citato decreto individua il presupposto nell’«esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi» nel territorio della regione, specificando altresì che «l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta» e confermando in tal modo la particolare ampiezza dell’ambito di applicazione dell’IRAP, che si renderebbe operante in relazione a qualsiasi attività produttiva (economica e non) contraddistinta dalla presenza di un’“autonoma organizzazione”. Coerentemente, anche la soggettività passiva IRAP risulta molto estesa, come dimostra già una prima lettura dell’art. 3 del d.lgs. n. 446/1997 ove, con previsione generale, è stabilito che «soggetti passivi dell’imposta sono coloro che esercitano una o più delle attività di cui all’art. 2». Tra questi, il citato art. 3 annovera espressamente alla lett. c) anche «le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate» – a norma dell’art. 5, co. 3, del t.u.i.r – «esercenti arti e professioni», di cui all’art. 53, co. 1, del t.u.i.r (ex art. 49, co. 1, cd. “vecchio” t.u.i.r, ante riforma 2004).
Data la particolare ampiezza dell’IRAP – che colpisce una serie di attività eterogenee, come quelle di impresa commerciale, di lavoro autonomo nonché quelle di mera erogazione svolte da enti non commerciali o enti pubblici – sin dalla sua introduzione si è posto il problema di valutare se e quando possa considerarsi integrato il presupposto impositivo in relazione ai lavoratori autonomi, per i quali non sempre sussiste un’organizzazione (oltre che del lavoro proprio) anche di (ulteriori) fattori della produzione (rappresentati da beni strumentali, capitale e lavoro “altrui”).
In questo senso, già nel 2001, la Corte costituzionale, dopo aver affermato che l’assoggettamento ad imposizione «del valore aggiunto prodotto da ogni tipo di attività autonomamente organizzata, sia essa di carattere imprenditoriale o professionale» è «pienamente conforme ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva, identica essendo, in entrambi i casi, l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta», aveva precisato che «mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui»2.
Se la Consulta, nel corso del tempo, ha avuto modo di fugare i dubbi di legittimità costituzionale di questo peculiare tributo3, le perduranti criticità in ordine alla natura ed alla configurazione del presupposto impositivo lo hanno successivamente esposto ad ulteriori sospetti relativamente all’eventuale sua incompatibilità con il quadro normativo europeo. Precisamente, si era ipotizzato un contrasto dell’IRAP con l’art. 33 della dir. n. 77/388/CE (cd. Sesta dir. IVA; attuale art. 401 della dir. di refusione del 28.11.2006, n. 2006/112/CE), ai sensi del quale non è consentito ai singoli Stati membri introdurre un’imposta sulla cifra d’affari avente le caratteristiche essenziali dell’IVA.
Con discreta sorpresa, comunque, il tributo in esame è riuscito a superare indenne anche il vaglio del giudice europeo: sebbene infatti gli Avvocati generali si fossero espressi per l’incompatibilità dell’IRAP rispetto alla direttiva IVA, la Corte di Giustizia ha escluso analogie strutturali o funzionali fra i due tributi e ha valutato l’IRAP pienamente conforme alla normativa dell’UE4.
A seguito di tali decisivi accadimenti, la Corte di cassazione è stata infine costretta a prendere una chiara posizione in merito, tra l’altro, alla riferibilità del presupposto impositivo dell’IRAP ai lavoratori autonomi con un nutrito gruppo di sentenze depositate il 16.2.2007, data che a tutt’oggi è ricordata dall’opinione pubblica come “dies Irap” o “Irap day”5.
A partire dal 2007, inoltre, la Suprema Corte non ha mancato di fornire criteri interpretativi generali sul tema. Nel corso degli anni vi sono state numerose pronunce che hanno riguardato le condizioni di applicabilità dell’IRAP ai lavoratori autonomi ma nonostante ciò, ancora oggi, permane l’oggettiva difficoltà di distinguere l’attività professionale resa in forma tendenzialmente individuale (in relazione alla quale l’impiego di mezzi e/o dell’opera “altrui”, al più, costituisce un mero ausilio) dall’attività svolta nell’ambito e per il tramite di un’autonoma organizzazione, intesa quale requisito idoneo ad “accrescere” la capacità produttiva del lavoratore autonomo.
Sul punto si sono, da ultimo, espresse le Sezioni Unite della Corte di cassazione che, con la sentenza 10.5.2016, n. 94516, hanno confermato e arricchito l’orientamento interpretativo giurisprudenziale emerso nel corso del tempo, delineando un quadro sistematico che, almeno in via teorica, dovrebbe permettere ai contribuenti di meglio orientarsi in un settore impositivo, a tutt’oggi, poco trasparente e piuttosto articolato.
La sentenza n. 9451 resa dalle Sezioni Unite è ormai nota e ha destato grande interesse a livello mediatico soprattutto perché rappresenta l’ultimo tassello di un lungo percorso evolutivo compiuto dai giudici di legittimità in ordine all’esatta configurazione del presupposto impositivo dell’IRAP in relazione alla categoria dei lavoratori autonomi.
Le Sezioni Unite, da un lato, hanno confermato il consolidato principio di diritto in base al quale l’esercizio dell’attività di lavoro autonomo è escluso dall’applicazione dell’IRAP «solo qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata», di modo che è onere del contribuente «che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza» di autonomia organizzativa nello svolgimento dell’attività; dall’altro, hanno ritenuto che i confini dell’“autonoma organizzazione” riferiti alla categoria dei lavoratori autonomi dovessero essere ulteriormente circoscritti.
Fino alla citata pronuncia, infatti, in base alla costante giurisprudenza della Suprema Corte, la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione nei confronti dei lavoratori autonomi era stato riconosciuto allorché il contribuente:
a) fosse stato, sotto qualsiasi forma, responsabile dell’organizzazione e non fosse, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse. Si tratta del cd. profilo soggettivo dell’autonoma organizzazione, in base al quale il soggetto passivo deve essere il titolare dell’organizzazione che, specularmente, non può essere ricondotta ad entità o strutture organizzative riferibili a terzi7;
b) avesse impiegato beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si fosse avvalso in modo “non occasionale” di lavoro altrui. È il cd. profilo oggettivo dell’autonoma organizzazione, per cui la combinazione di beni strumentali, di capitale e lavoro altrui deve risultare “non occasionale” e deve eccedere, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività.
Ebbene, in questo quadro ricostruttivo, le Sezioni Unite avvertono la necessità di fornire ulteriori «precisazioni concernenti il fattore lavoro», in quanto il riconoscimento della rilevanza ai fini IRAP dei mezzi personali di cui l’esercente arti o professioni si avvale per lo svolgimento della propria attività dipende dalla circostanza che il “lavoro altrui” arrechi effettivamente un apporto significativo all’attività.
In altri termini, «occorre che le mansioni svolte dal collaboratore non occasionale concorrano o si combinino con quel che è il proprium della specifica (professionalità espressa nella) attività diretta allo scambio di beni o di servizi» contemplata dall’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997.
Dunque, non è sufficiente che i mezzi personali siano «eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione», perché occorre tener conto della «diversa incidenza» che assume «l’avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui quando questo si concreti nell’espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive, che rechino all’attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o, appunto, generico».
Ne consegue che il principio di diritto deve essere precisato in quanto il requisito dell’autonoma organizzazione che integra il presupposto dell’IRAP ricorre quando il contribuente:
i) «sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse»;
ii) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive».
Tralasciando le evidenti difficoltà applicative che la sentenza n. 9451 non è in grado di risolvere, soprattutto allorché sembra attribuire rilevanza all’unico collaboratore “generico” assunto a tempo pieno, con ciò spingendo l’interprete ad interrogarsi se le medesime conclusioni circa l’esclusione dal tributo possano valere o meno anche per i professionisti con più collaboratori “generici” part time – tema questo che è stato già sollevato dalla stampa specializzata – merita evidenziare che essa apre definitivamente la strada alla presentazione delle istanze di rimborso da parte di tutti i lavoratori autonomi che finora hanno versato il tributo in via cautelativa, perché avevano alle loro dipendenze un collaboratore con funzioni meramente “esecutive”.
Tale soluzione interpretativa, peraltro, sottolineano le Sezioni Unite, vale «tanto per il professionista che per l’esercente l’arte, come, più in generale, per il lavoratore autonomo ovvero per le figure “di confine” individuate nel corso degli anni dalla giurisprudenza di questa Corte».
È evidente che la pronuncia in esame non possa, ex se, risolvere definitivamente le criticità che il tributo, a tutt’oggi, solleva – e che derivano, principalmente, dalla disciplina normativa che lo ha istituito e che ne regola l’applicazione – ma è indubbiamente un contributo giurisprudenziale importante perché offre lo spunto per alcune riflessioni di più ampio respiro, anche in ordine ad una possibile chiave di lettura del presupposto impositivo dell’IRAP.
In primo luogo, le Sezioni Unite si collocano nel solco del consolidato orientamento giurisprudenziale che ha portato al “superamento” dell’interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale; infatti, è stata progressivamente abbandonata la visione “qualitativa” del concetto di organizzazione cui il presupposto dell’IRAP si riferisce, per approdare ad una interpretazione che si può definire “quantitativa”8.
Questa visione “quantitativa” è stata adottata dalla Corte di cassazione a partire dal 2007 ed è stata successivamente sviluppata in relazione alla riferibilità del presupposto impositivo ai lavoratori autonomi ed ai piccoli imprenditori.
A questo proposito, merita segnalare che a partire dal 20099, la Suprema Corte ha escluso dal presupposto applicativo dell’IRAP anche i piccoli imprenditori di cui all’art. 2083 Cod. Civ. – e cioè, i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e/o dei componenti della famiglia – riconoscendo l’esigenza «ai fini del regime di assoggettamento all’IRAP, di una piena assimilazione dei piccoli imprenditori ai lavoratori autonomi, per garantire una parità di trattamento imposta dalla ratio del tributo»10.
In base al consolidato trend giurisprudenziale di questi anni, quindi, si è finito in sostanza gradualmente per individuare due diverse categorie di contribuenti:
• da un lato, lavoratori autonomi e piccoli imprenditori, in relazione ai quali sarebbe possibile argomentare l’esclusione dall’IRAP perché considerati soggetti, di norma, “poco organizzati” e che impiegano in misura minima beni strumentali e lavoro altrui;
• dall’altro, imprenditori e lavoratori autonomi che sarebbero considerati soggetti passivi IRAP ex lege, realizzando tout court il presupposto del tributo perché, “per natura”, contribuenti “autonomamente organizzati”.
L’approccio “quantitativo” può essere, non senza fondamento, considerato opinabile e foriero di ulteriori criticità applicative ma occorre prendere atto del fatto che, ancora oggi, questa soluzione interpretativa si dimostra l’unica ragionevolmente percorribile anche in ragione, come verrà meglio chiarito al paragrafo successivo, della perdurante assenza di interventi legislativi chiarificatori sul punto.
È in questa prospettiva che merita sicuramente soffermarsi sull’ultima affermazione della Corte di cassazione che appare di grande importanza al fine di chiarire un quadro interpretativo che è apparso spesso incoerente proprio in relazione alle figure soggettive “di confine”, pur menzionate tout court tra i soggetti passivi di questo tributo secondo quanto previsto dal citato art. 3 del d.lgs. n. 446/1997.
Si vuole fare riferimento, in particolare, all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite con le sentenze 13.4.2016, n. 7291 e 14.4.2016, n. 7371, con le quali la Suprema Corte ha negato alle associazioni tra artisti e professionisti, agli studi associati e alle società semplici la possibilità di provare l’assenza dell’autonoma organizzazione, ritenendo che l’esercizio dell’attività in forma “associata” determini ex lege l’integrazione del presupposto dell’IRAP.
In particolare, con la sentenza n. 7291, dopo aver escluso «i tratti dell’associazione tra professionisti» nell’ipotesi della «forma associativa della medicina di gruppo essendo questo, piuttosto, un organismo promosso dal Servizio sanitario nazionale», le Sezioni Unite hanno ritenuto che «quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3, – comprese quindi le società semplici e “le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni”, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, comma 3, lett. c), – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione».
Con la successiva sentenza n. 7371, poi, le Sezioni Unite hanno riconosciuto la soggettività passiva IRAP di una società semplice esercente attività di amministratore condominiale perché «a tenore del secondo periodo dell’art. 2, “costituisce in ogni caso presupposto d’imposta l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato”. Il requisito della autonoma organizzazione dell’attività non è quindi richiesto in relazione all’attività delle società e degli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, in quanto l’attività esercitata da tali soggetti, a mente del secondo periodo dello stesso art. 2, costituisce in ogni caso presupposto d’imposta». Quindi, in tale sede, le Sezioni Unite hanno ulteriormente precisato che «la “prova contraria” può avere qui ad oggetto non l’insussistenza dell’autonoma organizzazione nell’esercizio in forma associata dell’attività, ma piuttosto l’insussistenza dell’esercizio in forma associata dell’attività stessa»11.
Pur con tutte le cautele del caso, sembra ragionevolmente ipotizzabile che la pronuncia n. 9451 in esame possa in qualche modo portare ad un ripensamento della questione e condurre al graduale superamento dell’orientamento testé menzionato, che sembra piuttosto focalizzato sulla rilevanza della forma organizzativa prescelta dal soggetto che svolge l’attività: secondo questo orientamento, cioè, vi sarebbe una “presunzione legale assoluta” di integrazione del presupposto impositivo per le attività che sono svolte secondo una determinata veste giuridica.
Le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 9451, invece, hanno condivisibilmente confermato la necessità di verificare – proprio in relazione alle figure soggettive “di confine”, quali sono indubbiamente le attività professionali ed artistiche esercitate in forma associativa – l’effettiva sussistenza di quel quid pluris o di quel “valore aggiunto” che integra la nozione di “autonoma” organizzazione in grado di potenziare ed accrescere l’attività produttiva del libero professionista.
È evidente, infatti, che anche volendo accedere all’opinabile orientamento sopra citato, potrebbe sostenersi al più che la forma istituzionale prescelta per l’esercizio dell’attività professionale possa essere indicativa dell’esistenza di una forma di “organizzazione”, intesa come impiego coordinato di capitale, beni strumentali e lavoro (proprio e altrui), ma ciò non implica necessariamente la sussistenza di quella “autonomia” organizzativa che, ex se, dovrebbe rappresentare una precisa qualificazione dell’assetto organizzativo ai fini dell’IRAP e che non dovrebbe essere ridotta e/o confusa con la mera “organizzazione di fattori produttivi”.
È evidente lo scarto fra la definizione del presupposto del tributo sottesa all’originario disegno legislativo e quella effettivamente percepita nell’esperienza concreta quale si è conformata per effetto dei ripetuti interventi giurisprudenziali in materia.
A questo proposito, merita segnalare che il discrimen “quantitativo” individuato dalla Suprema Corte è, e rimane, determinante per comprendere la successiva evoluzione normativa del tributo ed in questo senso ha già determinato alcuni “adattamenti” del presupposto impositivo, come testimoniato dagli interventi legislativi e di prassi sul tema.
Quanto alla prassi, è noto che l’Agenzia delle entrate ha definitivamente recepito e fatto proprio il menzionato orientamento giurisprudenziale già con le circolari 13.6.2008, n. 45/E e 28.5.2010 n. 28/E.
È stata quindi superata l’originaria impostazione di cui alla circolare ministeriale 4.6.1998, n. 141/E e alla risoluzione 31.2.2002, n. 32/E. Con la prima, erano stati inizialmente tratteggiati i caratteri principali dell’imposta ed in tal sede, relativamente alla locuzione “autonomamente organizzata” riferita all’attività, l’Amministrazione aveva precisato che l’intento legislativo era di «escludere dall’ambito di applicazione del tributo tutte quelle attività che, pur potendosi astrattamente ricondurre all’esercizio d’impresa, di arti o professioni, non sono tuttavia esercitate mediante un’organizzazione autonoma da parte del soggetto interessato. È il caso, ad esempio, dell’attività di collaborazione coordinata e continuativa che si configura soltanto laddove non vengano impiegati propri “mezzi organizzati”».
Successivamente, con la risoluzione n. 32/E, l’Agenzia, dopo aver ammesso che, in via di principio, «alcune attività professionali debbano essere escluse dall’Irap, in quanto appunto, prive dell’elemento organizzativo», aveva ritenuto che tale esclusione riguardasse soltanto le attività professionali «svolte in assenza di una pur minima organizzazione» quali quelle «a contenuto intrinsecamente artistico o professionale rese dai collaboratori coordinati e continuativi» nonché quelle «rese in via occasionale» ovvero quelle «altre attività di lavoro autonomo indicate nei commi 2 e 3 dell’art. 49 del Tuir [ora art. 53; n.d.r.] che, infatti, come le collaborazioni coordinate e continuative, non realizzano la soggettività passiva per l’applicazione dell’Irap».
Aveva perciò concluso che «l’esistenza pur minima del requisito dell’organizzazione sia una connotazione tipica del lavoro autonomo» e che, pertanto, dovesse considerarsi soggetto al tributo il professionista – nella specie, un consulente contabile e fiscale – che svolgesse l’attività «nella propria abitazione, senza l’impiego di beni strumentali, né con l’ausilio di collaboratori e dipendenti».
A fronte del tempestivo adeguamento della prassi, il legislatore si è mostrato meno propenso ad intervenire sul quadro normativo del tributo e ad adattare la disciplina normativa al “diritto vivente”.
In questo senso, alcuni dei correttivi degli ultimi anni all’impianto normativo complessivo del tributo appaiono di difficile interpretazione.
A questo proposito, si ricorda che, originariamente, l’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997 prevedeva soltanto che l’attività esercitata dovesse essere “organizzata” ed infatti la previsione concernente l’“autonomia” dell’organizzazione è stata introdotta solo successivamente, ad opera dell’art. 1, co. 1, d.lgs. 10.4.1998, n. 137.
Da allora, in effetti, la latitanza del legislatore è stata piuttosto evidente e si è protratta per il successivo decennio. Solo con l’art. 1, co.104, l. 24.12.2007, n. 244, il legislatore è espressamente intervenuto per “esentare” dall’IRAP i contribuenti che si avvalevano del cd. regime dei minimi (successivamente modificato dall’art. 27 del d.l. 6.7.2011, n. 98). Sul punto, l’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 45/E del 2008 (par. 5.4.2) aveva, peraltro, precisato che le condizioni per accedere al regime di favore in esame avessero valenza sostanzialmente interpretativa, di modo che gli uffici avrebbero potuto considerare inesistente il presupposto dell’autonoma organizzazione nei casi in cui il lavoratore autonomo avesse presentato i requisiti sostanziali del contribuente minimo, e ciò a prescindere dalla circostanza che lo stesso avesse optato o meno per il relativo regime fiscale.
Com’è noto, tale regime è stato poi abolito ad opera della l. 23.12.2014, n. 190 (l. di stabilità per il 2015) che, a decorrere dal 1° gennaio 2015, ha introdotto il cd. nuovo regime forfetario, destinato agli operatori economici di ridotte dimensioni, successivamente modificato dalla l. di stabilità per il 2016 (l. 28.12.2015, n. 208). In sintesi, il regime forfetario ha previsto l’applicazione a tali soggetti di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali, dell’IRAP e dell’IVA (cfr. art. 1, co. 64, l. n. 190/2014). Ne consegue che, a tutt’oggi, non è chiaro se questi contribuenti siano da considerare “per natura” esclusi dall’ambito applicativo soggettivo delll’IRAP, ovvero ne siano ricompresi ma in un certo qual modo “esonerati” perché destinatari di una misura di favore in ragione delle ridotte dimensioni “quantitative” dell’attività.
Un’altra rilevante novità sembrava essere quella introdotta dall’art. 1, co. 515, della l. 24.12.2012, n. 228 (l. di stabilità per il 2013), che istituiva, a decorrere dal 2014, un fondo per l’esclusione da IRAP dei titolari di imprese individuali (anche diversi dai piccoli imprenditori) e dei lavoratori autonomi (cd. fondo “anti-IRAP”) che non si avvalessero di lavoratori dipendenti o assimilati e che impiegassero, anche mediante locazione, beni strumentali di ammontare non eccedente determinate soglie da stabilirsi con apposito decreto ministeriale. Tale previsione normativa, tuttavia, non è mai entrata in vigore a motivo della mancata emanazione del decreto attuativo ed infine il suddetto fondo è stato eliminato ad opera dell’art. 1, co. 407, l. 27.12.2013, n. 147 (l. di stabilità per il 2014).
In questa prospettiva non ci si può che rammaricare anche (e soprattutto) per la mancata attuazione dell’art. 11, co. 2, della l. delega per la riforma fiscale (l. 11.3.2014, n. 23), che aveva imposto al Governo di chiarire «la definizione di autonoma organizzazione, anche mediante la definizione di criteri oggettivi, adeguandola ai più consolidati principi desumibili dalla fonte giurisprudenziale, ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all’imposta regionale sulle attività produttive».
L’unico recente intervento legislativo di rilievo in materia riguarda l’esclusione dei medici convenzionati dall’ambito applicativo del tributo. La l. di stabilità per il 2016 (cfr. art. 1, co. 125, l. n. 208/2015) ha, infatti, inserito nell’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997 il nuovo co. 1-bis, con il quale è stata esclusa l’autonoma organizzazione «di medici che abbiano sottoscritto specifiche convenzioni con le strutture ospedaliere per lo svolgimento della professione all’interno di tali strutture», a condizione che questi percepiscano per tali attività «più del 75 per cento del proprio reddito complessivo». In relazione a tale categoria di lavoratori autonomi, inoltre, è stabilita l’irrilevanza «in ogni caso» sia dell’«ammontare del reddito realizzato» che delle «spese direttamente connesse all’attività svolta» ai fini della verifica della sussistenza dell’autonoma organizzazione, mentre – relativamente ai medici in convenzione con il Servizio sanitario nazionale – è specificato che «l’esistenza dell’autonoma organizzazione è comunque configurabile in presenza di elementi che superano lo standard e i parametri previsti dalla convenzione con il Servizio sanitario nazionale»12.
Si tratta, a ben vedere, di un intervento limitato e marginale vista la rilevanza del problema. In attesa, quindi, che il legislatore risolva definitivamente la questione, non può che prendersi atto dell’approccio “quantitativo” suggerito dalla Corte di cassazione ai fini dell’accertamento, in concreto, della sussistenza dell’autonoma organizzazione, nella consapevolezza però che si tratta di un approccio che può essere di ausilio nella delimitazione soggettiva dell’ambito di operatività del tributo ma che non è in grado di risolvere a monte il problema di fondo, rappresentato dall’individuazione di quella “autonoma” organizzazione che, per le sue intrinseche caratteristiche, dovrebbe realizzare un potenziale incremento della produttività, rilevando quello specifico surplus apportato dalla struttura organizzativa alla capacità professionale del titolare dell’attività.
Note
1 Attuativo dell’art. 3, co. 143 e ss. della l. delega 23.12.1997, n. 662. In generale, per l’analisi di questo tributo si vedano le opere monografiche di Schiavolin, R., L’imposta regionale sulle attività produttive: profili sistematici, Milano, 2007; Procopio, M., L’oggetto dell’IRAP, Padova, 2003.
2 Cfr. C. cost., 21.5.2001, n. 156.
3 Cfr. C. cost., ordinanze, 23.7.2001, n. 286; 10.4.2002, n. 103; 21.10.2004, n. 309; 8.6.2005, n. 227; 21.6.2007, n. 227.
4 Cfr. C. giust., 3.10.2006, C475/03.
5 Cfr. Cass., 16.2.2007, nn. da 3672 a 3682. Fino al 2007, infatti, la Suprema Corte si era pronunciata sul tema soltanto con l’isolata sentenza 5.11.2004, n. 21203.
6 In Dir. Prat. Trib., 2016, II, 1623, con nt. di Procopio, M., Irap: l’incertezza dell’autonoma organizzazione nonostante l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione. Le Sezioni Unite si sono espresse a seguito della ordinanza di rimessione della Sezione Tributaria (Cass., 13.3.2015, n. 5040). Cfr. Brighenti, F., Irap professionisti: la segretaria va alle Sezioni Unite (o all’altare), in Boll. trib., 2016, 246, per l’analisi del contrasto interpretativo sorto negli ultimi anni in senso alla Corte di cassazione sul tema.
7 cfr. da ultimo sul tema Cass., 29.9.2016, n. 19325.
8 In tema si vedano, in particolare, Odoardi, F., Esclusa l’IRAP per i piccoli imprenditori: spunti per una nuova lettura del presupposto impositivo, in Riv. dir. trib., II, 2011, 91; Fantozzi, A.Paparella, F., Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2014, 394.
9 Cfr. Cass., S.U., 26.5.2009, nn. da 12108 a 12111, in Corr. trib., 2009, 2231, con nt. di Della Valle, E., Non sono assoggettabili ad Irap gli ausiliari dell’imprenditore privi di autonoma organizzazione; in Riv. giur. trib., 2009, 768, con nt. di Marongiu, G., L’IRAP tra l’operosa fatica dei giudici e la latitanza del legislatore.
10 Cfr. Cass., 13.10.2010, nn. 21122, 21123 e 21124, in Boll. trib., 2010, 1808, con nt. di Brighenti, F., Taxisti e contadini fuori dall’IRAP. In tema si veda anche Cardella, P.L., Anche i piccoli imprenditori sono esclusi dal campo di applicazione dell’IRAP, in Rass. trib., 2011, 212. Si veda però il parziale revirement della suprema corte che a partire da Cass., 8.5.2013, n. 10777 ha sostenuto la soggettività passiva IRAP del titolare dell’impresa familiare. Da ultimo, cfr. Cass., 17.6.2016, n. 12616.
11 La questione è stata oggeto peraltro dell’interrogazione parlamentare del 6.10.2016, n. 509690.
12 Cfr. Ris.28.9.2016,n. 82/E con la quale l’Agenzia delle entrate ha escluso la possibilità di verificare tramite interpello la sussistenza dell’autonoma organizzazione del medico in regime di convenzione con il SSN, trattandosi di accertamento fattuale, più in generale si veda circ. 18.5.2016, n. 20/E, ove l’Agenzia delle entrate fornisce, tra l’altro, chiarimenti sulla citata disposizione normativa, nonché sull’esclusione dall’IRAP delle imprese agricole disposta dal co. 70 dell’art. 1 della l. 208/2015.