irascibile
. Il termine è usato da D. a designare l'appetito sensibile che è all'origine di ogni spinta o tensione dell'anima, e come tale è radice della forza d'animo, dell'audacia, sia rispetto al bene che al male. In tal senso l'appetito i. è termine medio che può determinarsi in senso positivo o negativo rispetto al proprio oggetto.
Il termine (latino irascibilis, greco θυμός o θυμικός) è usato da Platone per denotare una delle tre facoltà dell'anima (i., concupiscibile, razionale). Aristotele pone accanto alle tre facoltà dell'anima (vegetativa, sensitiva e razionale) una facoltà appetitiva, nella quale, accanto all'appetito razionale o volontà, si colloca l'appetito irrazionale, articolato a sua volta in i. e concupiscibile. Tommaso, seguendo Aristotele (Comm. Eth. II lect. V n. 293), distingue nell'appetito (" vis appetitiva ") sensitivo il concupiscibile dall'i.; questo " respicit bonum sub ratione cuiusdam altitudinis; sicut victoria dicitur esse quoddam bonum, quamvis non sit cum delectatione sensuum ", e continua: " Illae vero passiones quae respiciunt bonum vel malum sub ratione cuiusdam ardui, pertinent ad irascibilem: sicut timor et audacia respectu mali; spes et desperatio respectu boni. Quintum est ira, quae est passio composita, unde nec contrarium habet ".
Nelle due occorrenze dantesche, una in volgare, l'altra in latino, il termine appare in contesti che richiamano la necessità della subordinazione dell'appetito sensibile, cioè i. e concupiscibile, alla ragione: Cv IV XXVI 6 questo appetito, che irascibile e concupiscibile si chiama... a la ragione obedire conviene; anche Quaestio 48 sicut videmus de concupiscibili et irascibili in homine; quae licei secundum proprium impetum , ferantur secundum sensitivam affectionem, secundum tamen quod rationi oboedibiles sunt, quandoque a proprio impetu retrahuntur, ut paret ex primo Ethicorum (cfr. Eth. Nic. I 13, 1102b 13 ss.).