RICCIARDI, Irene
RICCIARDI, Irene. – Nacque a Napoli il 14 novembre 1802 da Francesco e da Luisa Granito dei marchesi di Castellabate.
Il padre fu avvocato, consigliere di Stato sotto Giuseppe Bonaparte e ministro di Giustizia e Culto sotto Gioacchino Murat, insignito del titolo di conte dei Camaldoli nel 1814, ministro della Giustizia, degli Affari ecclesiastici e della Polizia generale durante l’ottimestre costituzionale, da luglio a dicembre 1820.
Secondogenita di cinque figli (con Elisabetta, Giulio, Giuseppe e Giovanni, quest’ultimo morto a soli quattordici mesi), fortemente influenzata dalla figura materna, Irene ricevette un’educazione molto diversa da quella riservata alle giovani donne delle famiglie aristocratiche dell’epoca, tanto da essere ricordata per questo, insieme alla sorella, nelle memorie della scrittrice anglo-irlandese Marguerite Power Gardiner, contessa di Blessington, vissuta a Napoli fra il 1823 e il 1826 e assidua frequentatrice di casa Ricciardi (Russo, 2006, pp. 32 s.). La madre, infatti, contravvenendo al volere del marito, decise di occuparsi personalmente della formazione dei figli, adottando un modello educativo che non penalizzasse le figlie femmine, altrimenti destinate dal padre al collegio di S. Marcellino, con l’usuale esclusione dai più gravi soggetti di studio.
Seguita anche da stimati precettori, tra i quali Francesco Fighera per la musica e Ferdinando Colonna per il disegno, la giovane Irene Ricciardi, oltre allo studio della poesia e della danza, prese lezioni di matematica, botanica, chimica e francese. Il fratello Giuseppe, custode memoriale della famiglia, registrò i progressi della sorella, «la quale giunse ben presto a ritrarre mirabilmente, […] e a cantare, sotto la disciplina del Crescentini, in modo dilicatissimo» (Ricciardi, 1873, p. 86). Le letture consigliate dalla madre e i puntuali racconti delle vicende della Repubblica napoletana del 1799, alla quale Luisa Granito prese parte attiva, ebbero una profonda influenza sulla formazione civile dei figli, soprattutto di Irene e Giuseppe che da adulti condivisero gli ideali politici della donna.
Con il trasferimento della famiglia a Portici, presso la cosiddetta villa di Lauro, venne istituito nella sala principale del palazzo un teatro domestico dove i fratelli e le sorelle Ricciardi solevano rappresentare opere in musica su libretti del poeta abruzzese Angelo Maria Ricci, amico di famiglia. Tale consuetudine, promossa dalla madre, venne poi preservata negli anni, anche presso la villa del Vomero, residenza della famiglia dal 1816, dove proseguirono le rappresentazioni di drammi e commedie di autori quali Carlo Goldoni, Antonio Simeone Sografi, Giovanni Giraud e Silvio Pellico. L’esperienza teatrale di quegli anni influenzò probabilmente la carriera di librettista di Irene Ricciardi che, proprio tra le mura domestiche, acquisì precocemente una notevole familiarità con le scene.
Il vivace ambiente intellettuale del salotto Ricciardi – tra i più importanti luoghi di ritrovo dell’élite napoletana negli anni Venti e Trenta, frequentato, tra gli altri, da Cesare Dalbono, Giuseppe Ferrigni, Giuseppina Guacci, Paolo Emilio Imbriani, Basilio Puoti e Carlo Troya – contribuì a suscitare in lei quell’attenzione per la causa patriottica riscontrabile nei suoi versi. Verso la fine degli anni Venti, infatti, esordì sulla scena poetica napoletana e prese parte – insieme a Giuseppina Guacci, Elisa Liberatore, Laura Beatrice Oliva, Virginia Pullico e Paolina Ranieri – al circolo delle poetesse sebezie, che si riuniva nei principali salotti partenopei recitando versi di argomento patriottico. Nel 1827 la famiglia compì un lungo viaggio attraverso le principali città del centro-nord della penisola e i giovani Ricciardi vennero allora in contatto con alcuni dei protagonisti del panorama culturale italiano, come Ippolito Pindemonte, Vincenzo Monti, Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi, Pietro Giordani e Giovan Pietro Vieusseux, e con figure femminili di assoluto rilievo quali Isabella Teotochi, Teresa Albarelli e Marina Querini.
Nel 1832 Irene Ricciardi dovette affrontare la grave perdita della madre che, ammalatasi di morbillo per assistere le figlie affette dal medesimo male, morì il 17 marzo. L’occasione luttuosa segnò la nascita della profonda amicizia con la poetessa Giuseppina Guacci, che si unì all’unanime compianto della città recitando versi in onore della patriota napoletana.
Il cospicuo corpus epistolare che attesta il rapporto d’elezione tra Irene e Giuseppina – «una femminil coppia solinga / bella di un’amistà priva d’esempio» (G. Guacci Nobile, Rime, Napoli 1839, p. 112), come recitano i versi Ad Irene Ricciardi – consta di circa trecento lettere inviate da Guacci all’amica tra il 1833 e il 1840; non vi è però traccia delle risposte di lei (Russo, 2004, p. 272). Dalle lettere di Guacci si evince che le due amiche erano solite scambiarsi pareri sui reciproci componimenti poetici, pubblicati poi su autorevoli strenne e riviste napoletane come l’Iride e l’Omnibus, e sulla linea poetica da adottare: evitare «soggetti meschini» e «cantare sempre argomenti italiani» (Russo, 2006, p. 101).
Nel 1837 sposò il compositore Vincenzo Capecelatro, più giovane di lei di dodici anni, al quale rimase sempre legata nonostante i ripetuti tradimenti di lui. Come avrebbe ricordato la nipote Enrichetta, infatti, la zia, che «non era bella e zoppicava» (Capecelatro Carafa, 1926, p. 6), a causa della coxalgia che la afflisse sin dalla nascita, «fu per tutta la vita innamoratissima del marito che le voleva bene e la rispettava, pur cedendo di continuo ad altre attrattive» (p. 7). La coppia non ebbe figli.
Il matrimonio segnò anche l’inizio di un proficuo sodalizio artistico che la vide librettista per le musiche composte dal marito. L’esordio di lui, il 10 aprile 1837, presso il teatro della Società filarmonica napoletana con La soffitta degli artisti (a Napoli nel 1837), farsa per musica adattata al teatro italiano da Irene Ricciardi, sancì la prima importante collaborazione fra i due. Nel 1838 la coppia partì per Parigi, dove rimase fino al 1842. Nella capitale francese Irene entrò in contatto con il circolo degli esuli italiani di cui faceva parte anche il fratello Giuseppe, repubblicano affiliato alla Giovine Italia, e conobbe illustri intellettuali quali Alphonse de Lamartine, Victor Hugo e Alfred de Musset.
A Parigi, oltre alla scrittura di romanze (Il mendico, La persuasione, Il cappuccino), di un trio (La fuga. Scena veneziana) e della celebre canzone La sorrentina, testi musicati dal marito e raccolti in Echo de Sorrente (Parigi 1840), intraprese la carriera di giornalista in qualità di inviata per il periodico napoletano Il Lucifero. Negli articoli della rubrica Rivista parigina trattò argomenti di cultura, costume e società, con particolare attenzione alla rassegna musicale e teatrale. Non tralasciò però l’attività poetica, pubblicando una prima raccolta di versi (Napoli 1842) e alcuni componimenti selezionati da Antoine Ronna per la raccolta Gemme, o Rime di poetesse italiane antiche e moderne (Parigi 1843).
Il 1842 fu l’anno della morte del padre e del ritorno a Napoli, dove ebbe un ruolo fondamentale nella circolazione all’interno dei circoli intellettuali antiborbonici degli scritti del fratello esule. A Giuseppe fu infatti sempre unita da un rapporto elettivo, basato sulla condivisione dei medesimi ideali politici e sullo scambio di opinioni in merito ai reciproci manoscritti.
Nel 1843 scrisse un dramma in due atti, Sara, ovvero la pazza di Scozia (Palermo 1843) su musiche di Nicolò Gabrielli; tra il settembre del 1844 e l’aprile del 1845 diede alle stampe nella sezione Novelle dell’Omnibus un romanzo breve in dieci capitoli, Aroldo. Nel 1845 pubblicò sulla strenna napoletana La Sirena la novella in versi Romilda di Marbach e nel 1848 uscì a Milano La Mandola, una raccolta di quattordici canzonette per musica.
Sempre in compagnia del marito, negli anni successivi compì numerosi viaggi fra Parigi, Vienna e altre capitali europee, tanto da guadagnarsi l’appellativo di «zia viaggiatrice» (Russo, 2006, p. 106) da parte delle nipoti Luisa ed Elisabetta, figlie del fratello Giuseppe e di Clorinda Not. Nonostante i ripetuti spostamenti (nel 1855 fu a Firenze e nel 1858-59 di nuovo a Parigi), continuò a dedicarsi alla scrittura teatrale con il Gastone di Chanley (Firenze 1854) su musiche del marito e il progetto di una commedia per il teatro de’ Fiorentini (1858). Nel 1856 si dedicò altresì alla stesura di una guida di Napoli in francese che però rimase inedita, malgrado gli sforzi del fratello esule di trovare un editore.
Nel 1860 riabbracciò Giuseppe a Napoli dopo i lunghi anni di esilio. Scrisse due stornelli per voce di soprano: La pesca del corallo (Napoli 1861) e La Zingana (Napoli 1861).
Trascorse gli ultimi anni nella città natale, sempre animata dalla passione per la politica che continuò a condividere con il fratello, eletto deputato a Torino, e per il teatro, di cui fu assidua frequentatrice.
Morì a Napoli il 30 settembre 1870, dopo una lunga malattia.
Alla morte del cognato, nel 1874, Giuseppe Ricciardi raccolse tutte le carte della sorella e curò la raccolta Poesie scelte di I. R., precedute da un’introduzione di suo fratello Giuseppe (Napoli 1876), celebrando «l’indole schietta, il nobilissimo ingegno e la singolare virtù» (p. XXIV) dell’autrice. La sua produzione, tradizionalmente annoverata all’interno della lirica femminile di ispirazione patriottica, particolarmente ricca negli anni cruciali della stagione risorgimentale, merita di essere rivalutata alla luce della poliedrica attività di narratrice, librettista, drammaturga e giornalista.
Opere. Per una più completa rassegna dei libretti di Irene Ricciardi, si rimanda a G. Di Maria, Vincenzo Capecelatro musicista inonorato e ‘La Sorrentina’ canzone dimenticata, in Il Rievocatore, XXIX-XXX (1978-1979), pp. 4-25.
Fonti e Bibl.: Napoli, Biblioteca nazionale, Carte Ricciardi, per la cui descrizione si rimanda a M. Angarano Moscarelli, Inventario delle carte Ricciardi presso la Biblioteca nazionale di Napoli, Università degli studi di Napoli Federico II, Scuola di perfezionamento per archivisti e bibliotecari, tesi di laurea in archivistica, a.a. 1973-74.
Prose e versi in memoria di Luisa Granito Ricciardi contessa dei Camaldoli, Napoli 1833; F. Regli, Dizionario biografico dei più celebri poeti ed artisti melodrammatici, tragici e comici, maestri, concertisti, coreografi, mimi, ballerini, scenografi, giornalisti, impresari, ecc. ecc., che fiorirono in Italia dal 1800 al 1860, Torino 1860, pp. 108 s.; G. Ricciardi, Memorie autografe d’un ribelle, ovvero Prolegomeni del fuoruscito, Milano 1873, passim; O. Greco, Bibliografia femminile italiana del XIX secolo, Venezia 1875, p. 459; C. Villani, Stelle femminili. Dizionario bio-bibliografico, Napoli-Roma-Milano 1915, pp. 138 s.; E. Capecelatro Carafa d’Andria, Una famiglia napoletana nell’Ottocento, Napoli 1926; A. Vitulli, La famiglia Ricciardi, in La Capitanata. Semestrale della Biblioteca provinciale di Foggia, s. 1., 1997, vol. 5, pp. 81-105; A. Russo, «Alla nobile donzella I. R.». Lettere di Giuseppina Guacci Nobile, in Scritture femminili e storia, a cura di L. Guidi, Napoli 2004, pp. 271-293; Ead., «Nel desiderio delle tue care nuove». Scritture private e relazioni di genere nell’Ottocento risorgimentale, Milano 2006; Ead., I. R. C.: «zia viaggiatrice», poetessa e giornalista, in L. Guidi - A. Russo - M. Varriale, Il Risorgimento invisibile. Patriote del Mezzogiorno d’Italia, Napoli 2011, pp. 28-31.