IRENEO di Lione, santo
I. stesso afferma (Adv. Haer., III, 11, 2 e lettera a Florino, in Eusebio, Hist. Eccles., V, 20-24) di essere stato a Smirne uditore di Policarpo dal quale, già vecchio, I., ancora giovinetto (παῖς ἔτι ὤν), fu iniziato alla dottrina degli apostoli. Poiché il martirio di Policarpo va riportato al 155, difficilmente I. può essere nato prima del 135-140 (Th. Zahn sale, senza alcuna verosimiglianza, al 115). A Smirne I. udì anche la predicazione di un "presbitero" discepolo dei discepoli degli apostoli. La cultura d'I. rivela una profonda conoscenza della Bibbia e dei principali scrittori cristiani (specialmente Papia di Gerapoli e Giustino), ma anche poeti e filosofi profani non gli sono ignoti, sebbene, forse, di seconda mano.
All'epoca della persecuzione di Marco Aurelio (177-78) I. è in Gallia prete nella chiesa di Lione (v. gallia, XVI, p. 319). Quando e perché I. abbia abbandonato l'Asia non è dato sapere. L'appendice al Martirio di Policarpo nel manoscritto di Mosca parla di un soggiorno d'I. a Roma dopo la morte di Policarpo, ma la notizia sembra tutt'altro che sicura. Probabilmente la venuta d' I. nella Gallia coincide col sorgere della comunità lionese.
Giunta notizia a Lione dei contrasti che il movimento montanista (v. montanismo) aveva suscitato in seno alle chiese al suo sorgere, I., che certo doveva vedere di buon occhio il movimento, fu dai martiri lionesi inviato a Roma per intercedere presso papa Eleuterio (lettera di presentazione in Eusebio, Hist. Eccles., V, 24, 18) a favore dei profeti frigi. Al suo ritorno, morto Fotino, primo vescovo di Lione, I. gli succedette e durante il suo episcopato dovette dedicarsi a diffondere il cristianesimo nelle Gallie specialmente fra i Celti. Scoppiato lo scisma pasquale (v. pasqua) fra i vescovi orientali (capeggiati da Policrate di Efeso) seguaci dell'uso di celebrare la Pasqua il 14 di nisan, e Vittore di Roma, patrocinante l'uso occidentale di celebrare la Pasqua la domenica successiva il 14 di nisan, I., per quanto favorevole all'uso occidentale, intervenne energicamente presso Vittore (lettera presso Eusebio, Hist. Eccles., V, 23 segg.) e riuscì a ricondurre la pace nella Chiesa. Siamo al 190-191: ed è questa l'ultima notizia che abbiamo d'I.; il suo martirio, attestato da Girolamo nel Commentario ad Isaia (LXIV, 4), sembra doversi escludere da chi tenga presente che Tertulliano, Ippolito, Eusebio e lo stesso Girolamo nella notizia biografica dedicata a I. nel De viris illustribus (35) tacciono completamente su questa circostanza. La festa d' I. è celebrata il 28 giugno (Martirologio romano).
L'opera principale d' I. è un vasto scritto (comunemente, ma impropriamente, citato col titolo latino di Adversus haereses) intitolato "Ελεγχος καὶ ἀνατροπὴ τῆς ψευδωνύμον γνώσεος (Smascheramento e confutazione della falsa gnosi; editio princeps di Erasmo, Basilea 1526; l'edizione più completa e attendibile è quella del Harvey, Cambridge 1857, che va completata con i nuovi frammenti del testo greco pubblicati da A. Papadopulos-Kerameus, in 'Ανάλεκτα ἰεροσολυμιτικῆς σταχυολογίας, I, Pietroburgo 1891, pp. 387-389; cfr. anche la vecchia edizione del benedettino Massuet riprodotta in Migne, Patrol. Graeca, VII; trad. francese di lunghi estratti collegati dal sunto, a cura di A. Dufourcq, nella collezione La pensée chrétienne, I, Parigi 1905). L'opera, rivolta contro alcuni movimenti gnostici o da I. assimilati allo gnosticismo, fu redatta all'epoca di papa Eleuterio (175-189) ed è giunta a noi integralmete solo in versione latina (che risale forse al sec. II o alla prima metà del III), la fedeltà della quale è dimostrata dai frammenti del testo greco (il primo libro quasi per intero) conservati in citazioni di scrittori posteriori. L'opera è divisa in cinque libri editi forse a più riprese (i primi due certo insieme).
Il primo libro descrive successivamente varî sistemi ereticali (Tolomeo, Valentino, Marco, Simon Mago, Basilide, Carpocrate, Cerinto, Ebioniti, Nicolaiti, Marcione, Taziano, Ofiti) ma ha di mira soprattutto Valentino e i suoi due discepoli, Tolomeo e Marco, che - specialmente il secondo - svolgono un'attiva propaganda in Gallia. I., di fronte alle simulazioni alle quali ricorrono gli gnostici per velare la loro vera dottrina, ha inteso smascherarli (ἔλεγχος vale appunto "smascheramento" più che "esposizione") giacché "rivelare i loro sistemi significa vincerli". Gli storici dello gnosticismo si sono posti il problema dell'attendibilità e della fondatezza di questa "rivelazione". E il problema, data la scarsezza delle fonti gnostiche originali, è della massima importanza giacché l'opera d' I. è l'opera forse più ampia, certo più antica (il Σύνταγμα di Giustino contro le eresie, al quale I. con tutta probabilità attinge, è infatti perduto) che noi possediamo sui movimenti gnostici. Occorre intanto osservare che l'opera d'I., scritta cirea mezzo secolo dopo il fiorire dei grandi maestri gnostici, riflette più che altro le deformazioni subite dalla gnosi attraverso le elaborazioni degli epigoni. Del resto, se I. si è certamente preoccupato di attingere le sue informazioni agli scritti originali degli eretici da lui confutati (è quello che sembra provare il confronto fra quanto I. dice dei Barbelognostici, I, 29, 2 e alcuni documenti gnostici scoperti, ma solo in parte pubblicati, da C. Schmidt), non sembra che egli abbia sempre rettamente compreso e riferito ciò che leggeva: per fare un esempio solo, basta confrontare la lettera di Tolomeo a Flora con ciò che I. dice di questo gnostico, pure a lui contemporaneo. I. schematizza con eccessivo semplicismo le dottrine dei suoi avversarî, stabilisce fra essi affìnità e parentele del tutto arbitrarie; sembra avere intuito, sì, che il problema posto dagli gnostici è in fondo un problema di natura etica concretato nel duplice presupposto che la materia sensibile è il Male e che - di conseguenza - l'opera della redenzione va concepita al di fuori di questa materia, anzi come liberazione da questa; ma in fatto rivolge le sue armi polemiche contro le conseguenze che simili presupposti fatalmente comportavano nel campo cosmologico, teolegico, antropologico.
Dopo lo "smascheramento", la "confutazione"; e questa occupa, senza un ordine molto preciso, i libri II-V dell'opera. È questa, cer. o, la parte più notevole dell'Adoersus haereses, fondamentale per la storia dell'elaborazione concettuale del messaggio cristiano. I. è stato definito, a buon diritto, il padre della teologia cattolica, e anche se il suo pensiero non si presenta come un corpus elaborato di dottrine (I. non ha davvero una mentalità di teologo sistematico), ma anzi appare formulato per via polemica, non si può negare che la teologia cristiana riceve in I., in più di un punto, la sua prima e chiara formulazione, anche se le sue enunciazioni non hanno quel significato generale che spesso si attribuisce ad esse.
Agli gnostici che negano la creazione del mondo da parte di Dio, I. mostra che, sia ammettendo una materia preesistente a Dio (ipotesi dualista), sia ricorrendo a teorie emanatistiche e affermando che la creazione è quasi sviluppo della sostanza di Dio (ipotesi panteista) si viene a distruggere la vera nozione di Dio, essere infinito, che chiude in sé l'universalità degli esseri, e, perfetto, non è identificabile con le imperfezioni della materia. Solo l'ipotesi creazionista risolve ogni difficoltà.
L'ipotesi di un unico dio creatore è del resto, per quanto assai misteriosa a comprendere, l'unica autorizzata dalle due sole fonti che consentono all'uomo di conoscere la verità: la Scrittura e la tradizione (I. si pronuncia esplicitamente in senso contrario all'idea di Giustino che i maggiori rappresentanti della filosofia greca abbiano conosciuto sia pure in parte la verità). La Scrittura: giacché Vecchio e Nuovo Testamento (I. s'indugia a lungo a mostrare la concordanza dei due Testamenti e come gli eventi narrati nel Nuovo siano prefigurati e annunciati nel Vecchio) sono opera del Verbo di Dio. Non è qui il caso d'insistere sull'importanza d'I. per la storia del canone scritturale: basti ricordare che I. nega l'origine paolina della lettera agli Ebrei e accoglie nel canone neotestamentario anche il Pastore di Erma (v.). La tradizione: in forza della quale quella dottrina è riconosciuta vera che è stata professata dagli apostoli, da essi trasmessa ai vescovi loro successori nelle chiese da quelli fondate e sempre osservata da questi senza deviazione. Notissimo è il passo (III, 3,1-2) nel quale I. parla della chiesa fondata da Pietro e Paolo a Roma, asserendo che "ad hanc... ecclesiam, propter potentiorem (altri legge potiorem) principalitatem necesse est omnem convenire ecclesiam, hoc est eos qui sunt undique fideles, in qua semper ab his qui sunt undique conservata est quae est ab apostolis traditio". Nel qual passo chi riferisce l'inciso "in qua" a "ad hanc... ecclesiam" anziché a "omnem ecclesiam" conclude che I. ha dipinto la Chiesa di Roma non solo come quella che ha una potior principalitas in quanto fondata da Pietro e Paolo, ma come la chiesa alla quale tutte le chiese debbono attingere la norma di fede.
Agli gnostici che concepiscono l'opera della redenzione al di fuori e contro la materia, I. oppone l'idea di un Cristo, figlio di Dio, Verbo increato ed eterno, che si è fatto uomo, nato da madre vergine, per costituirsi mediatore fra Dio e gli uomini, per far conoscere Dio all'uomo, per dare all'uomo incorruttibilità e immortalità e farne un figlio di Dio. Gesù Cristo in cui è duplice natura (umana e divina) in un'unica persona è quindi sì, per I., il dottore celeste che rivela la verità (in questo particolare I. mostra di aver subito anche una certa influenza delle idee stesse che egli combatte); il Salvatore che ci ha riscattati col suo sangue il secondo Adamo che ha restituito all'umanità ciò che la disobbedienza del primo le aveva fatto smarrire (per I. la vicenda terrena di Cristo è ἀνακεϕαλαίωσις, recapitulatio, della storia umana), ma è soprattutto il deificatore dell'uomo, a ciò indotto dall'immenso amore del Creatore per la sua creatura: "partito dalla teoria paolina del secondo Adamo, I. - ha osservato A. Dufourcq - tende la mano ai teologi per i quali, anche senza la caduta, il Verbo sarebbe disceso sulla terra per condurre l'uomo a Dio".
Agli gnostici che negano possibilità di salvezza alla carne umana I. oppone che l'uomo, armonico composto di carne e spirito uniti fra loro dall'anima che ne costituisce come il tramite, parteciperà integralmente alla resurrezione quando, distrutto l'empio dominio dell'anticristo sulla terra, Cristo risorto tornerà trionfante fra gli uomini: i giusti saranno allora raccolti in un millenario regno terrestre del quale Cristo stesso sarà re. La fede millenaristica d' I., in questa eco fedele di Papia di Gerapoli (v.; e v. millenarismo), appare però, se non negata (I. infatti ne tace del tutto) certo superata in un altro scritto d'I., l'unico conservatoci, insieme all'Adversus haereses, di una lunga serie.
Questa seconda opera ('Επίδειξις τοῦ ἀποστολικοῦ κηρύγματος, Esposizione della predicazione apostolica) - di cui si aveva notizia attraverso la testimonianza di Eusebio (Hist. Eccles., V, 26) - ci è stata conservata in versione armena in un codice del sec. XIII scoperto nel 1904 (testo armeno e trad. tedesca a cura di K. Ter-Mekertcean ed E. Ter-Minasseantz con note di A. Harnack, Lipsia 1907; trad. italiana a cura di U. Faldati, Roma 1923). La versione armena, che deriva quasi certamente dallo stesso originale greco, risale a epoca non determinabile con sicurezza: forse alla prima metà del sec. VII. Lo scritto, a carattere prevalentemente catechetico-edificativo, è diretto a un tale Marciano; comprende, secondo la divisione stabilita da A. Harnack, 100 brevi capitoli e non aggiunge gran che alle idee formulate nell'Adversus haereses che certo è cronologicamente anteriore all''Επίδειξις.
Bibl.: H. Ziegler, I., Berlino 1871; A. Dufourcq, Saint I., Parigi 1904; F. R. Hitchock, I of Lugdunum, Cambridge 1914; F. X. Roiron, in Rech. de science relig., 1917, p. 36 segg.; L. Saltet, in Bull. litt. eccles., 1920, p. 179 segg.; G. Esser, in Theologie und Glaube, 1922, p. 344 segg.; H. Kock, in Theologische Studien und Kritiken, 1920-21, p. 54 segg.; 1925, p. 183 segg.; E. Buonaiuti, Saggi sul cristianesimo primitivo, Città di Castello 1923, p. 79 segg.; K. Müller, in Zeitschr. für die neutestamentliche Wissenschaft, 1924, p. 216 segg.; G. N. Bonwetsch, Die Theologie des I., Gütersloh 1925; L. Spikowski, La doctrine de l'Église dans Saint I., Parigi 1926.