Irlanda del Nord
Parte del Regno Unito; comprende la sezione nordorientale dell’Irlanda, cioè buona parte dell’Ulster, nome con cui a volte è indicata questa unità amministrativa. La separazione di sei delle nove contee della regione storica dell’Ulster, all’atto della costituzione dello Stato libero d’Irlanda, diede vita nel 1921 alla provincia dell’Irlanda del Nord. Il Parlamento regionale fu dominato dalla maggioranza protestante e anglofona dell’Ulster unionist party. Le discriminazioni, economiche, politiche e sociali subite dalla consistente minoranza cattolica determinarono uno stato di tensione tra le due comunità religiose che si protrasse per decenni, esplodendo verso la metà degli anni Sessanta. Mentre si riaffacciava sulla scena politica l’organizzazione estremista nazionalista dell’IRA, il movimento dei cattolici per i diritti civili subì le violente reazioni delle componenti della comunità protestante organizzate in formazioni paramilitari. A fronte dell’incremento dei disordini, nel 1969 intervenne direttamente l’esercito del Regno Unito, la cui azione repressiva culminò nel 1972 a Londonderry, quando nel corso di una marcia pacifista per le vie della città furono uccisi 14 dimostranti cattolici (Bloody sunday, «domenica di sangue»). Nello stesso anno il governo di Londra sospese il Parlamento regionale e assunse il controllo diretto della provincia. Mentre fallivano i tentativi di mediazione politica, lo scontro si radicalizzò e crebbe l’attività terroristica dell’IRA, che intraprese operazioni armate su vasta scala anche nel resto del Regno Unito. Una prima schiarita si ebbe con l’accordo anglo-irlandese sottoscritto dai premier dei due Paesi nel 1985 a Hillsborough (Belfast), che istituì una conferenza intergovernativa sulle questioni irlandesi attribuendo alla Repubblica d’Irlanda un ruolo consultivo. L’accordo, che riconosceva l’inalterabilità dell’assetto dell’I. del N. senza il consenso della maggioranza dei suoi cittadini, fu osteggiato dagli unionisti protestanti, ma contribuì a una riconsiderazione da parte di molti sull’uso della lotta armata. La situazione nordirlandese rimase caratterizzata da esplosioni di violenza terrorista anche dopo la cosiddetta Dichiarazione di Downing street (1993), in cui il premier J. Major si dichiarò disposto a rinunciare alla sovranità britannica sulla provincia purché la volontà irlandese in tal senso si esprimesse in un referendum. Una svolta decisiva si ebbe con la vittoria di T. Blair nel 1997, che favorì la ripresa del colloquio. Il trionfo laburista in Gran Bretagna aveva rimosso un pesante impedimento al dialogo: la dipendenza del precedente governo conservatore dai voti unionisti per avere la maggioranza parlamentare. Blair dichiarò per la prima volta la disponibilità del suo Paese a rinunciare alla pregiudiziale di sempre, il disarmo dell’IRA, per accettare la partecipazione del Sinn féin ai negoziati. Nel 1998 l’accordo di Belfast (o del Venerdì Santo) sancì il diritto all’autodeterminazione dell’I. del N. e l’istituzione di un Parlamento nordirlandese con potere legislativo e con il compito di eleggere il primo ministro del governo regionale. Inoltre, Gran Bretagna e Repubblica d’Irlanda si dichiaravano disposte a cambiare le rispettive Costituzioni, rinunciando la prima alla sovranità sull’I. del N. e la seconda a rivendicazioni territoriali nordirlandesi. Il patto fu poi approvato per via referendaria contestualmente nell’I. del N. e nella Repubblica d’Irlanda. Nelle elezioni per il Parlamento (1998), le due forze emergenti furono l’Ulster unionist party di D. Trimble e il Roman catholic social democratic and labour party di J. Hume, entrambi sostenitori dell’accordo, i cui leader divennero rispettivamente premier e vice-premier di un governo condiviso fra cattolici e protestanti. Il processo di pace registrò negli anni successivi fasi di arresto a causa della questione del disarmo dell’IRA, precondizione posta da Trimble per accettare il Sinn féin nell’esecutivo e non contemplata dagli accordi di Belfast, che portò alla ripresa del controllo diretto inglese sulla provincia e alla sospensione del regime di autonomia del Parlamento nordirlandese. In uno scenario politico caratterizzato negli anni seguenti dalla polarizzazione del voto (2003) sui partiti più radicali dei due fronti – il Democratic unionist party del reverendo I. Pasley fra i protestanti e il Sinn féin di G. Adams fra i cattolici – la rinuncia ufficiale alla lotta armata da parte dell’IRA (2005) è stata seguita (2006) dalla sottoscrizione di un nuovo accordo fra le principali formazioni politiche. Le elezioni del 2007 hanno confermato la leadership del Democratic unionist party e, dopo la firma di uno storico patto fra i vincitori e il Sinn féin, è stato formato un governo presieduto da Paisley e con la presenza di tutte le più importanti forze politiche.