IRLANDA.
– Demografia e geografia economica. Storia. Architettura. Bibliografia. Cinema
Demografia e geografia economica di Isabelle Dumont. – Stato dell’Europa nord-occidentale. Secondo una stima UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs), nel 2014 l’I. aveva una popolazione di 4.677.340 abitanti. Il Paese possiede il tasso di natalità più alto dell’Unione Europea (15,0‰ nel 2013), registra la più forte crescita naturale (+8,5‰, 2013; fonte Eurostat) ed è però al quarto posto per il saldo migratorio negativo (−5,6‰; 2013, fonte Eurostat). Dopo un periodo molto favorevole, tra il 1995 e il 2007, durante il quale l’economia crebbe annualmente del 6% (gli anni della cosiddetta celtic tiger), il 2008 segnò la svolta negativa di questo grande sviluppo. L’esplosione della bolla immobiliare e la crisi mondiale misero in difficoltà il sistema bancario e lo Stato si indebitò per salvaguardarlo. Alla fine del 2010, il governo irlandese è stato costretto a sottoporsi al piano di salvataggio (prestito di 85 miliardi di euro) organizzato dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca centrale europea e dalla Commissione europea. Il 15 dicembre 2013 l’I. è uscita ufficialmente dal piano e ha fatto il suo ritorno a tutti gli effetti sui mercati finanziari. Da allora l’economia è sembrata dare qualche segno di ripresa e il tasso di disoccupazione ha registrato una leggera diminuzione: nel 2014 il tasso generale è stato dell’11,2% e quello giovanile (meno di 25 anni) del 25,9%, valori comunque ancora lontani da quelli del 2007, che si attestarono rispettivamente al 3,8% e al 9,1% (Eurostat). Nel 2014 i prezzi del mercato immobiliare sono tornati timidamente a rialzarsi nella capitale, dopo aver subito un tracollo nei sei anni precedenti (−55%). Anche dopo la crisi, i vantaggi fiscali rimangono un elemento chiave nella strategia irlandese per attirare gli investimenti diretti stranieri (settori della farmacia, informatica, servizi finanziari). Sebbene il peggio sia passato, la situazione socioeconomica degli irlandesi rimane tuttavia delicata. Il forte indebitamento delle famiglie costituisce un limite a una solida ripresa, mentre la forte emigrazione di giovani e gli squilibri territoriali sono altri segni lasciati dalla politica di austerità degli ultimi anni, durante i quali il governo ha diminuito il numero dei dipendenti pubblici e i loro stipendi, ha abbassato i sussidi sociali, ha aumentato drasticamente la VAT (Value Added Tax, equivalente dell’IVA, Imposta sul Valore Aggiunto), ha istituito nuove tasse (fondiaria e acqua). Si stimano in 479.800 le persone che hanno lasciato l’I. tra il 2009 e il 2014, il 40,26% delle quali aveva tra i 15 e i 24 anni (Central statistic office); le destinazioni privilegiate di questa nuova emigrazione sono state il Regno Unito (quasi il 25% nel 2013), l’Australia (17%), gli Stati Uniti (7%), il Canada (6%).
Inoltre, la ripresa coinvolge soprattutto le città (Dublino, Cork e Galway), mentre le piccole località e le campagne sono testimoni di un’ulteriore degradazione socioeconomica: spopolamento, scarsità di attività commerciali e di servizi. Nel 2012, su 144 investimenti multinazionali effettuati, tre quarti erano destinati alle due più grandi città d’I. e soltanto uno è arrivato in Donegal (la cui principale cittadina, Letterkenny, è stata la località a svilupparsi maggiormente durante il boom).
Storia di Ilenia Rossini. – Mentre iniziava a frenarsi la vivace crescita economica del decennio precedente, le elezioni del 2007 confermarono per la terza volta consecutiva come primo ministro il conservatore Bertie Ahern, del partito centrista Fianna fáil («Soldati del destino»). Ahern rimase capo del governo fino al maggio 2008, quando rassegnò le dimissioni in seguito al coinvolgimento in un’inchiesta a sfondo finanziario: gli subentrò il compagno di partito Brian Cowen.
Negli anni successivi, il consenso per il governo si sgretolò sulla scia della crisi economica e finanziaria e delle misure tentate per arginarla (tagli salariali, aumento delle tasse, riduzione della spesa pubblica). Ciò ebbe riflessi, nel giugno 2008, nella bocciatura in un referendum popolare (53,4% dei no) del Trattato di Lisbona di riforma delle istituzioni comunitarie, promosso dal governo: nel settembre 2009, tuttavia, gli elettori approvarono il trattato (67,1%).
Nel novembre 2010, per risollevarsi dalla crisi, il governo irlandese chiese un prestito di emergenza al Fondo monetario internazionale (FMI) e all’UE, pari a circa 85 miliardi di euro. L’accordo prevedeva che l’I. diminuisse il proprio deficit attraverso tagli ingenti soprattutto nel settore sanitario, e fu duramente contestato. I Verdi, critici nei confronti dell’atteggiamento titubante del Fianna fáil che rallentava l’approvazione di queste misure finanziarie, uscirono dal governo (a cui partecipavano dal 2007), privandolo della maggioranza parlamentare.
Le elezioni anticipate del febbraio 2011 segnarono il crollo del Fianna fáil (dal 41,6% del 2007 al 17,4%): Enda Kenny, del partito conservatore Fine gael («Famiglia degli irlandesi») che aveva ottenuto il 36,1%, fu nominato primo ministro di un inedito governo di coalizione della sua forza politica con il socialdemocratico Labour party (19,4%). Il dibattito sull’UE assunse toni meno euroscettici negli anni successivi e, sottoposto a referendum, il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’UE fu approvato con il 60,4% di sì (maggio 2012).
Sul piano dei diritti civili fu approvata una nuova legislazione che legalizzava l’interruzione di gravidanza in caso di pericolo per la salute della madre (luglio 2013). A causa del forte sentimento cattolico diffuso tra gli irlandesi (non scalfito neanche dal riconoscimento da parte delle gerarchie cattoliche, dopo un iniziale ostruzionismo, degli abusi sessuali commessi su alcuni minori da sacerdoti dell’arcidiocesi di Dublino tra il 1975 e il 2004) questa legge suscitò molte opposizioni. Nel maggio 2015, in seguito a un referendum in cui ottenne il consenso del 62% dei votanti, fu approvata una modifica costituzionale in base alla quale il matrimonio poteva essere contratto da due persone, «senza distinzione di sesso».
Architettura di Leone Spita. – La produzione architettonica in I. ha avuto una notevole espansione negli anni della Celtic tiger (gli anni Novanta del 20° sec. e i primi anni del 21° sec. considerati il periodo di grande sviluppo economico del Paese), ma nel 2008, come molti Paesi europei, ha subito forse la più grave recessione della sua storia. Il settore dell’architettura si è quasi arrestato, molte imprese di costruzioni hanno cessato la loro attività e numerosi architetti sono emigrati; ma dall’inizio del 2014 l’industria delle costruzioni è in netta ripresa.
Alcuni significativi interventi, iniziati prima della crisi, sono stati comunque ultimati. Questi si concentrano principalmente nell’area di Dublino: il ponte strallato a campate disuguali di Santiago Calatrava, che si apre a 90° per il transito delle navi, rappresenta un omaggio al Paese con la forma che ricorda un’arpa (Samuel Beckett Bridge, 2009); l’edificio di McCullough Mulvin Architects, all’interno del Trinity College, un volume quasi sospeso destinato alla ricerca e al pensiero che collega due nuclei secondari e si confronta con la più nota Long Library (Long Room Hub, 2010); il teatro nell’area portuale di Dublino dello studio Daniel Libeskind (Grand Canal Theatre, 2010) che con i suoi angoli acuti, la trasparenza del vetro e l’uso del colore rappresenta un nuovo landmark urbano; e infine l’intervento di Henry J Lyons Architects (Criminal Court of justice, 2006-09) che ospita le 22 aule del tribunale illuminate da una facciata che è un dispositivo per il controllo acustico ed energetico.
Se Dublino è stato il luogo dove si sono concentrati i lavori più noti, negli ultimi due anni, tra le opere di architettura più interessanti si segnalano alcuni edifici costruiti altrove. Tra questi, il museo ideato dagli architetti del comune di Waterford, nel Sud dell’I. (Waterford Medieval Museum, 2013), un progetto partecipato che si inserisce nel contesto urbano con una facciata curva che include una preesistenza medioevale; e la scuola di gaelico irlandese (Coláiste Ailigh,Letterkenny, 2013), nel Donegal, di McGarry Ní Éanaigh Architects, ispirata a linguaggi internazionali.
Bibliografia: S.A. Ó Muirí, Dublin architecture. 150+ buildings since 1990, Dublin 2014. Si veda inoltre: http://architectureireland.ie/ (11 luglio 2015).
Cinema di Bruno Roberti. – In I., dove era stata realizzata soprattutto una produzione documentaristica, negli ultimi decenni del Novecento si è ampliato l’orizzonte di un cinema d’autore, con caratteristiche tematiche e stilistiche precipue, e sono notevolmente aumentate opere di finzione. Questo è avvenuto a partire dai primi anni Ottanta con la creazione dell’Irish Film Board, primo ente cinematografico statale irlandese, chiuso nel 1987 e poi riaperto nel 1993 quando divenne complementare dell’Irish Film Institute (ex National Film Institute e poi Film Institute of Ireland), con una politica di investimenti statali basata su ampi finanziamenti pubblici che hanno contribuito a moltiplicare la produzione annuale. Nel 1985 erano nati inoltre il Film Base, orientato per dare aiuti a cineasti e videomakers indipendenti, e il Festival di Dublino. Nel 1992 ha preso vita l’Irish Film Centre, importante centro di servizi e ricerca, che ha riunito l’Irish Institute of Ireland, il Film Base e l’Irish Film Archive, archivio cinematografico irlandese di notevole rilevanza. Si è venuto così a configurare un vero e proprio sistema integrato per il cinema che comprendeva gestione, aiuti, ricerca, incentivi a nuovi autori, conservazione del patrimonio filmico, promozione della produzione irlandese. Questo ha permesso che nel nuovo millennio il cinema in I. trovasse una sua fisionomia precisa, orgogliosamente custode di una sua specificità che si è sviluppata su diverse linee: una fortemente realistica e attenta al dato quotidiano ed esistenziale, talvolta con venature tragiche o incline al melodrammatico, ma anche all’humour; una invece marcatamente fantastica, talvolta fiabesca talvolta ‘gotica’, spesso con sfumature noir e psicologiche; una terza che conserva la spinta documentaristica tipica della cinematografia irlandese del passato, legata sia alla tensione politica, sia all’indagine storica, sia all’antropologia del popolo e del paesaggio del Paese. Il racconto di personaggi emarginati e bizzarri, una ‘drammaturgia del paesaggio’ che elegge l’ambiente e la natura a essenziali elementi delle storie, una sensibilità musicale che avvolge e contribuisce a creare atmosfere melodrammatiche: sono questi tutti elementi ricorrenti nel nuovo cinema irlandese.
Alla prima tendenza, che compone una sorta di ‘elegia del quotidiano’, si possono ascrivere due film entrambi diretti da Lenny Abrahamson: Adam & Paul (2004), dove una coppia di junkers beckettiani compiono il viaggio di una giornata (come nell’Ulysses di James Joyce) in una Dublino deformata da situazioni assurde, e Garage (2007), delicato ritratto di un emarginato sullo sfondo di un villaggio irlandese. Ma anche film come Studs (2006) di Paul Mercier, che segue le avventure tragicomiche di una squadra di calcio, Once (2006) di John Carney, e Good vibrations (2012) di Glenn Leyburn e Lisa Barros D’Sa, che raccontano la condizione giovanile rispettivamente in una Dublino cosmopolita e nella Belfast anni Settanta della nascente scena punk underground. Il mondo giovanile assume toni tragici in film come Kings (2007) di Tom Collins, e Black ice (2013) di Johnny Gogan, mentre precari equilibri familiari sono al centro di Eamon (2009) di Margaret Corkery, My brothers (2012) di Paul Fraser, The stag (2013; The stag - Se sopravvivo mi sposo) di John Butler, Run & Jump (2013) di Steph Green. L’emarginazione sociale e la crisi economica fanno da sfondo alle solitudini raccontate in Nothing personal (2009) di Urszula Antoniak, in Rewind (2010) di P.J. Dillon, in Parked (2010) di Darragh Byrne e in The pier (2011) di Gerard Hurley.
Una cifra bizzarra e al contempo fantastica, immersa in atmosfere neoromantiche, ha caratterizzato il lavoro di due cineasti che si erano affermati sulla scena internazionale a partire dagli anni Settanta e Ottanta, John Boorman e Neil Jordan. Il primo, in questi anni, ha realizzato film di impianto classico, ma percorsi da atmosfere ambigue, caratterizzati da ambientazioni esotiche o dalla memoria della storia recente: The tailor of Panama (2001; Il sarto di Panama), dal romanzo di John Le Carré, Country of my skull (2004; In my country), con Juliette Binoche, The tiger’s tail (2006), Queen and country (2014). Il secondo con Breakfast on Pluto (2005), storia di un androgino, Ondine (2009), incontro tra un pescatore e una sirena, Byzantium (2012), storia di due donne-vampiro, ha tenuto fede alla capacità di raccontare favole contemporanee popolate di esseri ‘alieni’ nel senso di una ‘diversità’ e complessità psicologica. Questa linea fantastica ha assunto nei primi anni Duemila toni apocalittici legati soprattutto a una forte sensibilità ecologica con Grabbers (2012) di Jon Wright (ironica variazione del monster movie), One hundred mornings (2009) di Conor Horgan, The eclipse (2009) di Conor McPherson, Isolation (2005; Isolation - La fattoria del terrore) di Billy O’Brien. Mentre la linea realistica ha accentuato i toni drammatici ricostruendo la memoria ‘oscura’ dell’I. degli anni Cinquanta, o di quella delle lotte dell’IRA con film quali The Magdalene sisters (2002; Magdalene) dello scozzese Peter Mullan, vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 2002, Shadow dancer (2012; Doppio gioco) di James Marsh, Stella days (2011) di Thaddeus O’Sullivan.
Alla tendenza che ha esplorato il confine tra documentario e finzione vanno ascritti film come Red mist (2007) di Eamon Little, Chippers (2008) di Nino Tropiano, His & Hers (2009) di Ken Wardrop, Five minutes of heaven (2009; L’ombra della vendetta) di Oliver Hirschbiegel, con Liam Neeson, Bernadette - Notes on a political journey (2011) di Lelia Doolan, sulla vicenda della militante Bernadette Devlin McAliskey, sorta di Giovanna D’Arco dell’I. contemporanea, e Blazing the trail (2011) di Peter Flynn, sulle origini del cinema irlandese, ma soprattutto Hunger (2008) che ha rivelato le capacità inventive di uno dei cineasti più interessanti del millennio, l’inglese Steve McQueen, e che indaga con forza visiva inconsueta le ultime settimane di vita del militante dell’IRA Bobby Sands.