IRONIA (gr. εἰρωνεία da εἵρων, lett. "interrogante")
È, precisamente, modo d'interrogare altrui fingendo di non sapere, o almeno esagerando, per reazione o per modestia, il proprio non sapere. Si esercita in modo particolare contro quella che Aristotele dice il contrario dell'ironia, la millanteria (ἀλαζονεία) e cioè contro coloro che credono o vogliono far credere di sapere.
Il carattere dell'εἰρωνεία contraddistingue anzitutto il procedimento speculativo di Socrate, che dichiarandosi ignorante chiede lume all'altrui sapienza, per mostrare come quest'ultima si chiarisca inferiore al suo stesso sapere di non sapere (e, in questo senso, il motivo dell'ironia è ancora più caratteristico del metodo socratico che quello della "maieutica", il quale già meglio si riconnette all'idea platonica della preesistenza dei concetti da mettere in luce). E continua a compenetrare anche il pensiero platonico, per lo meno negli aspetti polemici, onde esso non solo riprende e descrive la stessa ironia socratica, ma anche (per es. nel Parmenide) combatte dottrine altrui fingendo di assumerle come vere e deducendone con simulata serietà l'assurdo: generando cioè, la παιδεία dalla παιδιά, l'insegnamento dallo scherzo ironico.
Differisce dall'ironia socratica (che non è simulazione ma dubbio metodico e illuminata coscienza), pur da questa movendo (cfr. Arist. Eth. Nic., IV, 13, 1127 b 25, dove è ricordata espressamente l'ironia di Socrate), quell'ironia che è esaminata a più riprese nei libri morali di Aristotele e che è raffigurata, nell'aspetto e nel tipo dell'ironico, dal primo dei Caratteri di Teofrasto: nella quale è accentuato essenzialmente il concetto di simulazione; e da tale punto di vista morale sono poste sul medesimo piano, ambedue come simulazione, ironia e millanteria, anche se poi distinta la prima, per un meno d'immoralità, dalla seconda, e meno biasimata. E sullo stesso concetto di simulazione, indipendente del tutto oramai dall'ironia socratica, si fonda la figura retorica dell'ironia: "un discorso che dice il contrario di quel che le parole significano", come la definiscono i retori; i quali confortano la definizione con numerosi esempî descrittori, e di poeti massimamente.
La distinzione, corrente nei manuali di retorica, tra ironia e sarcasmo, dei quali il secondo avrebbe un contenuto di serietà che alla prima mancherebbe, è senza dubbio vana e convenzionale, in quanto un'ironia che fosse del tutto priva di serietà si confonderebbe con la semplice celia e non solo verrebbe a perdere ogni importanza nella storia del pensiero, ma altresì ne avrebbe una molto limitata in quella stessa dell'arte. Tuttavia quella distinzione può esser mantenuta nel senso che con essa s'indicano due atteggiamenti psicologici differenti: il primo più pacato e sottile, il secondo più appassionato e vigoroso. L'ironia ha un carattere spiccatamente intellettualistico ed è propria di periodi di civiltà progredita e raffinata e di temperamenti proclivi al dubbio metodico, i quali, pur non negando realtà a un ideale superiore, anzi aderendovi intimamente, non credono alla possibilità o almeno all'imminenza della sua attuazione e, fingendo di giustificare o addirittura di ammirare le manifestazioni contrarie a esso che in realtà condannano, dimostrano una cotale commiserazione e quasi un'indulgenza per l'umana debolezza. Il sarcasmo, pur nascendo anch'esso dalla considerazione del trionfo attuale del turpe e del vile, che si vede pubblicamente e generalmente preferito all'onesto e al nobile, è proprio di tempi più aspri e di caratteri più semplici, più interi e più entusiastici, e si manifesta con espressioni in cui la presunta lode è subito intesa, senz'ombra di equivoco, come rampogna sdegnosa, che si accresce anzi d'intensità attraverso la forma indiretta in cui si esprime e da questa, poi, passa facilmente a quella diretta, all'invettiva.
Perciò il sarcasmo s'incontra talvolta nella Bibbia, e in particolare nei Profeti, mentre vi manca l'ironia; è frequentissimo poi in Dante, che ne ha lasciato esempî celebri ("Godi, Fiorenza, poi che sei sì grande...", Inf., XXVI; "Fiorenza mia, ben puoi esser contenta...", Purg. VI; "Carlo venne in Italia, e per ammenda vittima fe' di Corradino...", Purg., XX); e si riscontra spessissimo nella satira politica: esempî a tutti noti quelli di Victor Hugo e del Carducci. Amaro sarcasmo, più che ironia, suonano alcune Operette morali del Leopardi. Ironia invece, talora così leggiera che non oltrepassa lo scherzo, si ha negli autori di temperamento "classico", p. es., in Orazio, in Luciano, nell'Ariosto; è già più seria e più profonda nel Cervantes. L'ironia del Pascal nelle Provinciales è molto vicina al sarcasmo. Maestro d'ironia è il Voltaire in molti dei suoi scritti polemici, p. es., in varî articoli del Dictionnaire philosophique, e soprattutto nei romanzi (Candide, Micromégas, Zadig, L'Ingénu). Nel Giorno del Parini l'ironia, pur sempre improntata a serietà e nobiltà d'intenti, perde di rado l'intonazione bonaria (ma si ricordi la tragicità della scena dell'espulsione del vecchio servo reo di trascuranza verso la "Vergine cuccia"), e tale è quasi sempre nel Giusti, pur con qualche accento, qua e là, d'impeto sdegnoso (si pensi all'Incoronazione). Il humour inglese, difficile a definirsi appunto perché espressione di una mentalità complessa e di una civiltà satura e stanca, ha talvolta l'amarezza del sarcasmo o si rivolge contro l'autore stesso in forma di "autoironia"; ma spesso si mantiene nei limiti di un'ironia temperata (v. umorismo). E. tale, non senza forse qualche derivazione diretta, è l'ironia pacata e benevola del Manzoni, in cui è fortemente accentuato il motivo dell'indulgenza a cui si è accennato sopra, e che sposa, attraverso il miracolo dell'arte, lo scetticismo filosofico alla carità cristiana. L'ironia goethiana, che culmina in Mefistofele ma si esplica anche altrove in figure immortali, come quelle di Wagner nella prima parte del Faust e dello scolaro nella seconda, risente, specialmente nei brani composti in età avanzata, di una certa acidità senile, ma in complesso si libra sovrana e serena, in conformità del temperamento apollineo del poeta.
Quando in un artista alla tendenza ironica si accompagnano forti qualità fantastiche, l'ironia sbocca nella parodia e nel grottesco, due generi che in realtà non differiscono dall'ironia se non per la diversità del temperamento degli scrittori.
Nei due maggiori ironisti della letteratura più recente, Anatole France e G. B. Shaw, questa diversità si manifesta in maniera caratteristica: piu intellettuale e più raffinato il primo, ma meno pittoresco e meno drammatico; il secondo, la cui vigorosa fantasia plastica poco si cura del buon gusto e della misura, s'ispira in realtà, nonostante le sue trovate buffonesche, a un ideale più serio e più profondo.
Il concetto d'ironia, dopo l'età socratico-platonica, torna ad assumere valore filosofico in quella del protoromanticismo germanico. Ironia è allora l'atteggiamento romantico di conclusiva superiorità dello spirito rispetto a ogni realtà finita, di cui abbia pur vissuto l'interesse: si comprende quindi come essa sia stata considerata costitutiva dell'arte (in cui appunto si sperimentava tale assoluta catarsi e autosufficienza) specialmente in sistemi estetici, come quello del Solger, seguenti alla concezione schellinghiana dell'arte come organo dell'assoluto, solo capace di comprendere, pur restando a essa superiore e indifferente, l'estrema dualità dialettica del reale.