IRREDENTISMO
. Fu chiamato così, prima della guerra mondiale, il movimento diretto alla redenzione delle terre italiane rimaste soggette all'Austria dopo il 1866. La frase "terre irredente" fu pronunciata la prima volta da Matteo R. Imbriani dinnanzi alla bara di suo padre, in presenza di alcuni delegati triestini, nel 1877, giurando fedeltà alla loro causa. Associazione in pro dell'Italia irredenta si chiamò quello stesso anno l'organismo creato dall'Imbriani d'accordo con Giuseppe Avezzana, Giovanni Bovio, Luigi Zuppetta, Roberto Mirabelli e altri, appoggiati da Garibaldi, Saffi, Campanella, Carducci, Cavallotti, Missori, Canzio, Bertani e diversi noti ex-garibaldini e patrioti. Ma "irredentisti", diceva P. Fambri, era "aggettivo di canzonatura coniato a Vienna", che non si sarebbe dovuto usare in Italia. Invece, come "irredentisti", così "irredentismo" diventò subito d'uso comune.
Poiché la parola era nuova, essa diede l'impressione che si volesse iniziare una nuova lotta, mentre in verità si trattava della continuazione del Risorgimento, non potendosi considerare compiuta l'unità nazionale finché l'Italia non fosse arrivata alle sue frontiere naturali e storiche. Venuta in uso la parola nuova, essa ebbe più sensi, appunto a causa dell'errore originale: giacché, per gli agitatori del regno, si riferì sempre al movimento da loro iniziato; per gl'irredenti, invece, a tutta la loro attività nazionale, dopo il 1866, e spesso anche alla più antica. Per questa erronea impostazione iniziale e per influsso delle ideologie democratiche, l'irredentismo fu concepito come applicazione del principio di nazionalità e rimase sempre incerto quanto ai limiti delle desiderate rivendicazioni: se solo a oriente o se anche a occidente, dove erano altre terre italiane soggette a stranieri; e a oriente sino al Brennero o a Salorno, sino al Monte Maggiore o a Fiume, nel Quarnaro o anche in Dalmazia? Si fecero discussioni come se il problema non fosse mai stato discusso nel Risorgimento e non gli appartenesse. Si vagheggiarono soluzioni pacifistiche e umanitaristiche, cessioni spontanee da parte dell'Austria, scambî fra territorî italiani e balcanici. Nel movimento dell'irredentismo bisogna sempre distinguere l'azione svolta dagl'irredenti dentro le frontiere dello stato austriaco (Trentino, Alto Adige, Venezia Giulia e Dalmazia) da quella svolta nel regno. Fra gli stessi irredenti, mancò molto spesso un vero collegamento, e anche unità di programma. Come nel 1866 gl'Istriani pensarono per un momento di scindere la loro questione da quella più complessa di Trieste, così nel 1880 gli emigrati trentini parvero volere staccare la loro causa da quella della Giulia. Ci furono trentini disposti a fermare l'Italia sotto le Alpi, giuliani a fermarla in Albona. I Fiumani furono fatti entrare tardi nel campo dell'irredentismo, e i Dalmati si sentirono quasi sempre dimenticati se non esclusi. Malgrado tutto, però, la lotta contro il governo austriaco e poi contro le nazioni invadenti (Slavi e Tedeschi) fu eguale in tutte le terre dove si trovarono gruppi italiani e spesso più ardente, più superba in quelle più dimenticate. Tale lotta, combattuta sempre su due fronti, l'una per la difesa del patrimonio nazionale rimasto in consegna degl'irredenti dopo il 1866, l'altra per la liberazione dal dominio straniero, costituisce tutta la storia delle terre trentine e giuliane e gran parte di quelle dalmatiche sino alla guerra. In quanto all'irredentismo del regno, esso fu, malgrado le apparenze, parte molto essenziale della storia nazionale dopo il 1876, identificandosi col grave problema delle frontiere. Oltre a provocare incessanti manifestazioni nella politica interna, esso costituì un elemento fondamentale della politica adriatica e balcanica dell'Italia, dei suoi rapporti con l'Austria e di tutta la storia della Triplice Alleanza, nonché una delle ragioni storiche più potenti e più direttamente sentite per la guerra del 1915. In quanto fu lotta contro l'Austria, in prosecuzione immediata del 1866, esso costituì anche la vera continuazione del Risorgimento, e, attraverso l'interventismo, la guerra e il dopoguerra, e quindi Fiume e la questione dalmatica, costituì la congiunzione diretta e visibile fra Risorgimento e Fascismo.
La storia dell'irredentismo, quale movimento degl'irredenti, si può iniziare con le manifestazioni fatte da parecchie migliaia di giuliani dinanzi al re Vittorio Emanuele in Udine nel 1866, e con le agitazioni per l'autonomia, incominciate nello stesso anno nel Trentino. Lo aveva preannunciato Ricasoli, quando disse al re, sempre nel 1866, che finché l'Austria avesse posseduto un palmo di terra italiana, non vi sarebbe stata possibilità di pace duratura; o quando, in una circolare ai prefetti (15 novembre), scrisse che l'Italia, sicura di sé, poteva attendere ormai le occasioni propizie a conseguire ciò che ancora le mancava. Nel 1876, alla commemorazione di Legnano, la vista delle bandiere abbrunate di Trento e di Trieste e i discorsi di B. Cairoli e di G. Ferrari diedero nuovo impulso al movimento, per il quale, per le ragioni su citate, l'anno seguente fu coniata la parola irredentismo. Cairoli, F. Cavallotti e G. Mussi compresero in esso allora (ma per poco) anche Nizza, la Corsica e Malta. La questione d'Oriente, in quel tempo accesa, suscitò specialmente nei democratici l'illusione che si sarebbe potuto contrattare per una correzione della frontiera con l'Austria, permettendole l'avanzata verso Salonicco. Su questa prestigiosa base, fu condotta subito una tumultuaria agitazione, che ebbe il torto di essere posta su un'ipotesi fantastica e allarmò tutti i governi d'Europa. M. R. Imbriani, G. Avezzana, Bovio, Saffi, Garibaldi, che li appoggiava sempre con ardore, e pochi altri, ex-garibaldini, propugnavano l'idea irredentistica con passione sincera, scevra di partigianeria. Ma i più di essi seguivano idee che minavano gl'istituti militari o l'autorità dello stato; e con ciò rendevano impotente l'Italia di fronte a ogni problema internazionale. E quasi tutti i loro collaboratori e i comitati d'azione agitavano il problema irredentistico principalmente per far opposizione al governo. Vero è però che la politica di questo giustificava in parte quell'opposizione. Vero è altresì che, a parlare delle terre irredente, furono allora soltanto quei demoeratici e repubblicani e che, senza i loro clamori, la lotta piena di sacrifici che gl'irredenti conducevano nelle loro terre sarebbe rimasta, come era da alcuni anni, senza eco nella nazione. Depretis chiamava le aspirazioni su Trento e Trieste "des vieux cancans". L'Italia "Irredenta" pensò anche all'azione diretta, e Garibaldi, nel 1878, le preparò piani molto particolareggiati per un attacco contro Trento e Trieste. L'agitazione nei comizî e nella stampa e le dimostrazioni nelle terre irredente e quelle degl'irredenti nel regno presero tanta forza, che nel 1879 l'Austria, dopo aver loro contrapposto il libro Italicae res del colonnello Haymerle, radunò truppe nel Trentino, spaventando il governo romano e anche una parte della democrazia. Il movimento era però già così largo e profondo, che nessuna reazione poteva più stroncarlo. Nel 1880, il ministro austriaco degli Esteri affermò che esso aveva ormai mostrato che, in caso di complicazioni internazionali, l'Italia si sarebbe schierata fra gli avversarî dell'Austria. In realtà, benché l'idea sembrasse monopolio degl'irresponsabili comizianti, essa era anche nell'animo dei loro avversarî, che però credevano, come gli uomini del vecchio comitato triestino-istriano e gli emigrati (il Combi e il Luciani, meglio di tutti) che i tempi non fossero maturi. Vi fu allora, come nei decennî seguenti, un irredentismo latente, veramente decisivo nel creare gli avvenimenti posteriori. Intorno all'Imbriani e al triestino A. Sulmona alcuni giovani triestini cospiravano per un'azione diretta e da essi, nel 1882, quando l'alleanza dell'Italia con l'Austria e una provocatrice esposizione austriaca a Trieste ebbero creato la convinzione che una risposta fosse necessaria, uscì Guglielmo Oberdan, il cui sacrificio fu voce di verità per l'irredentismo durante oltre trent'anni, onde Mussolini poté dire che l'Italia doveva andare a Trieste, anche perché quel martire ivi l'attendeva. I conflitti fra la polizia e i dimostranti che volevano commemorare Oberdan (più gravi quelli di piazza Sciarra a Roma) e lo sforzo che fece il governo della sinistra - privo d'ogni dignità di fronte all'Austria - per valorizzare l'impopolare alleanza, acuirono l'irredentismo. Questo fu da allora - nelle terre irredente e nel regno - azione per impedire che la nuova alleanza finisse col far dimenticare che l'unità nazionale non era compiuta. L'idea minacciava già allora la Triplice: Robilant disse nel 1886 all'ambasciatore austriaco che, mentre la pace europea durava, non c'erano pericoli da parte dell'Irredenta, ma che se la pace fosse stata turbata, non garantiva di nulla. Gl'Italiani che guidavano la lotta nazionale nelle terre soggette (e tutto attendevano da quel turbamento della pace) e gli emigrati che sino dal 1877 avevano nel regno comitati del tutto indipendenti dall'"Italia Irredenta" erano molto preoccupati del danno che le speculazioni repubblicane e democratiche facevano al diritto: essi pensarono necessaria la costituzione di un'associazione fuori dei partiti, fedele alle istituzioni, che cospirasse senza creare imbarazzi alla politica del governo. Anche per l'azione offensiva (dimostrazioni e agitazioni violente nella Giulia) Triestini ed emigrati avevano fondato nel 1880 una società segreta indipendente, l'attivissimo "Circolo Garibaldi". Da questa tendenza, dopo l'insuccesso della "Giovanni Prati" (1884) e per opera soprattutto di Felice e di Giacomo Venezian e di altri triestini nacque a Roma, nel 1889, la "Dante Alighieri". Il trentino Sartorelli aveva fondato nel 1885 la "Pro Patria" alla quale aderirono anche Giuliani e Dalmati. Nel 1890 essa fu sciolta dal governo austriaco, provocando larghe dimostrazioni nel regno. Crispi, che l'anno precedente aveva sciolto il comitato romano pro Trento e Trieste, nell'ottobre, in un discorso pronunciato a Firenze, condannò con aspre parole l'irredentismo. Però lo stesso ministro, che nel 1883 aveva fissato la differenza, essenzialmente irredentistica, fra Italia ufficiale e Italia geografica, subito dopo quel suo discorso sovvenzionò la "Dante Alighieri", dicendo al Bonghi: "cospireremo assieme contro l'Austria". I partiti d'estrema, per protesta contro Crispi, portarono a Roma la candidatura repubblicana del triestino S. Barzilai. Lo stesso anno Oriani affermava che Trento e Trieste non avevano tale importanza da dominare la vita della nazione, ma che l'immutato suo nemico era l'Austria.
Nel decennio seguente, l'irredentismo nel regno sempre più si esaurì, come scrisse Federzoni, in una specie di vaneggiamento romantico attraverso irresponsabili clamori comiziali. Ma ripetuti episodî della lotta nazionale delle terre irredente impressionarono nuovamente l'Italia. Anche gli episodî dell'attività dei circoli segreti (principale il "Circolo XX dicembre", a Trieste, dal 1891) fecero capire che gl'irredenti consideravano sempre l'Austria come l'oppressore e che il problema della rivoluzione unitaria era tuttavia aperto. L'insurrezione di Pirano contro l'imposizione di tabelle bilingui nel 1894, i gravi fatti di Trieste nel 1898 (dopo l'assassinio dell'imperatrice Elisabetta) e la potente affermazione della Giulia nel 1899 contro la tentata slavizzazione di Pisino trovarono larga risonanza in tutti gli strati del popolo. La tristezza del 1896 fu confortata dallo scoprimento del monumento a Dante in Trento e, l'anno seguente, con ripetute trionfali elezioni, i Triestini e gli altri Giuliani, battendo il governo e gli Slavi, vollero mostrare che, malgrado Adua, essi credevano fermamente nella resurrezione e nella grandezza della nazione. L'irredentismo delle terre soggette diede forse i primi segni del rinnovamento nazionale dopo la sciagura africana. Si può credere che re Umberto volesse quasi premiare questa fede a Monza, quando donava ai ginnasti trentini una statua della libertà. Il lutto delle stesse terre per la morte del re fu una solenne dimostrazione del sentimento che le legava alla patria comune. Le agitazioni durate oltre un ventennio, per quanto disordinate, avevano creato uno stato d'animo specialmente sulla gioventù per la quale tutta, rilevava l'ambasciatore germanico nel 1903, patriottismo e irredentismo erano la stessa cosa.
S'era allora a una nuova fase del problema, determinata anche dalla nuova politica estera. G. Prinetti, l'autore delle convenzioni del 1902, fu l'ultimo ministro che sovvenzionò l'azione degl'irredenti. Si sentirono da allora anche le ripercussioni della lotta per l'università italiana, ripresa con grande vigore dagl'irredenti, meno per avere l'istituto e più per avere un efficace strumento di agitazione contro l'Austria. Nel 1903 la visita del re a Udine diede origine ad ardenti manifestazioni irredentistiche, seguite da numerosissimi arresti nella Venezia Giulia. Romanticismo di G. Rovetta sollevò inaspettati entusiasmi. Lo stesso anno avvennero i primi fatti di Innsbruck (conflitti fra studenti italiani e tedeschi per l'università libera) con vastissima eco in tutto il paese. La fondazione della "Trento-Trieste" mostrò che l'agitazione passava ormai nel campo avversario all'Estrema: nazionalisti, come Piero Foscari e Giovanni Giuriati, diedero presto all'organizzazione disciplina e serietà. Sempre nel 1903 Ricciotti Garibaldi, che nel 1899 aveva fondato una Lega nazionale irredentista, convocò un convegno a Udine dove, con elementi della "Giovane Trieste" e dell'"Associazione ginnastica triestina" fu ordita una congiura per una violenta azione a Trieste: ma la congiura e le sue bombe furono scoperte dalla polizia austriaca nel 1904. Nel quale anno i più gravi fatti di Innsbruck, dove corse non poco sangue, risollevarono dimostrazioni antiaustriache in tutte le città d'Italia.
Seguì un periodo di pochi anni, che vide nelle terre soggette svilupparsi in superficie e il socialismo internazionale e il popolarismo clericale, ambidue antirredentistici. Nel 1905 socialisti austriaci e italiani si radunarono a Trieste per un'azione comune contro l'irredentismo. Nel 1907, avvenuta la sconfitta elettorale del partito nazionale a Trieste e nell'Istria, il governatore austriaco Hohenlohe disse che "l'Irredenta era vinta". Poco più tardi, dopo il convegno di Desio, anche T. Tittoni, ministro degli Esteri, disse che l'irredentismo era morto. Ma questo era fondato su elementi troppo assodati per soccombere, elementi della cui potenza morale fautori e avversarî non avevano piena consapevolezza. Nel 1908 la crisi della Bosnia riaccese le energie e le speranze: la Nave di d'Annunzio corse i teatri fra continue dimostrazioni antiaustriache. Le elezioni comunali triestine del 1909, nelle quali il partito nazionale prese la sua completa rivincita, furono seguite, con un nuovo interesse, da tutta la stampa italiana. La campagna di Federzoni per il Garda appassionò. Forse nel Friuli e nel Trentino (come rilevava Mussolini nel 1911) una stasi del movimento si prolungò ancora. Ma non a Trieste, che, scrisse allora Mussolini, aveva "suscitato gli appetiti delle limitrofe popolazioni barbare" ed era "travagliata e divisa da feroci competizioni". La città viveva ormai in regime irredentistico quasi esasperato e mostrava a tutti d'essere una città italiana occupata da un odiato straniero. Ben presto però in tutte le terre soggette si ebbero maggiori impulsi: il risveglio nazionale del paese e la guerra di Tripoli ebbero profondissime ripercussioni dappertutto. Anche in Dalmazia l'irredentismo si tolse la maschera del "legalitarismo". A Fiume la "Giovane Fiume" affrontò il governo con ardore. A Bolzano, concretando l'assiduo apostolato di Ettore Tolomei, si formò il circolo irredentistico "Unione". Onde a Vienna non s'aveva torto quando si parlava dell'"idra dell'Irredenta", che più si batteva e più cresceva.
Nel 1910 anche il nuovo ministro degli Fsteri di San Giuliano ripeté che l'irredentismo era morto. Ma pochi giorni dopo, al congresso del partito nazionalista di Firenze, i discorsi di L. Federzoni e di S. Sighele mostrarono che esso, malgrado i socialisti e l'ostilità del gruppo della Voce e dei salveminiani, era ben vitale e anzi prendeva nuove forme, ben più operanti delle vecchie. Il nazionalismo (sul quale influì l'esperienza che i suoi capi avevano fatto delle nuove forze organizzative, dell'azione economica, dei sacrifici, della ferrea disciplina e dei generali problemi di politica estera a cui poggiava la sua azione il partito nazionale di Trieste) propugnò un irredentismi più forte e più ordinato, fondato su un generale risveglio di tutte le forze nazionali e su una grande preparazione militare. Il Chlumecky a Vienna rilevò subito quanto sarebbe stato più pericoloso per l'Austria questo nuovo irredentismo che non quelli che egli chiamava gli attacchi frontali dei romantici esasperati.
Negli ultimi anni prima della guerra mondiale influì a tenere l'irredentismo sul piano politico il processo di sfaldamento della Triplice: la nazione nella sua espansione si trovò continuamente dinanzi alla rivalità dell'Austria e alla necessità di abbatterla. Nel 1910 le manovre navali nell'Adriatico avevano suscitato vivi entusiasmi e l'affare di Cima Dodici notevole fermento: da allora, specie nei Balcani, l'attrito fu continuo. In quanto alle terre soggette, si comprese che l'Austria mirava non a risolvere il problema italiano, ma a sopprimerlo: ampie campagne di stampa ne parlarono con vigoroso patriottismo. Le commemorazioni del Cinquantenario (1911) fecero rivivere la passione del Risorgimento e sentire che il "grido di dolore" risonava ancora dall'Adige all'Adriatico. S'erano formati nuovi gruppi d'agitazione: molto attivi, quelli de "La Grande Italia" a Milano, dell'"Italia Nostra" e della "Corda Fratres" a Torino. Boselli teneva alla "Dante Alighieri" discorsi apertamente irredentistici. Il col. M. P. Negrotto organizzava i battaglioni della "Sursum Corda". Nel 1913 i "decreti Hohenlohe" (espulsione di regnicoli dall'amministrazione comunale di Trieste) portavano la questione irredentistica nel centro della politica nazionale. Le ultime grandi manifestazioni prima della guerra, si ebbero nel maggio del 1914, in seguito a un sanguinoso conflitto sorto a Trieste fra la popolazione da una parte e Slavi e polizia dall'altra.
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